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Farmaci biologici e biosimilari. Facciamo come negli Usa. Ma l'Aifa è in grado?

di Luigi Santoiemma

16 OTT - Gentile Direttore,
leggo con interesse l’articolo che commenta il I° Rapporto sull’acquisto e l’accesso dei Farmaci Biologici e Biosimilari. Pur essendo sostanzialmente d’accordo sulle conclusioni già espresse da una serie di position papers di diverse Società Scientifiche (anche se siamo in attesa di una riscrittura di quello della Società Italiana di Farmacologia annunciato come imminente) penso siano utili alcune riflessioni.
 
1) Il fatto che l’EMA abbia lasciato alle Autorità Sanitarie Nazionali il compito di fissare i criteri per approvvigionamenti e gare dei farmaci biosimilari, non esprime una sostanziale incertezza se lo stesso sia veramente o no “similare” con il farmaco biotecnologico a brevetto scaduto ma, semplicemente non entra negli aspetti regolatori nazionali. Ancora, il termine “similare” non esprime approssimazione nella riproduzione (come il farmaco “generico” non voleva esprimere una generica, approssimativa riproduzione) ma la constatazione che, in questo campo, è impossibile una riproduzione “atomo per atomo” che, pur tuttavia, non collide con la riproducibilità dell’effetto biologico/clinico.
 
2) EMA ha fissato le regole perché un farmaco biosimilare possa essere riconosciuto come tale. Stabilisce un percorso registrativo rigido e complesso, con una serie di dimostrazioni chimiche, farmacologiche, precliniche e cliniche che dimostrano sovrapponibile profilo di efficacia e sicurezza. La natura stessa dei farmaci biotecnologici, come ampiamente ripetuto in ogni ordine di condivisione scientifica sull’argomento, impedisce questa totale riproducibilità. Alcune minime differenze esistono già, inevitabilmente, data la complessità produttiva, tra un lotto e l’altro dello stesso farmaco. Quando poi vengono inseriti anche minimi cambiamenti/miglioramenti della catena produttiva dello stesso farmaco biotecnologico, a brevetto scaduto e non, deve essere presentata a cura della Azienda Produttrice, documentazione che nulla cambia negli esiti clinico-biologici. EMA, ancora, fissa per ogni prodotto biosimilare, i criteri da adottare negli studi farmacologici, preclinici e clinici, dato che, ovviamente, possono essere richieste diverse procedure dimostrative da farmaco a farmaco.
 
3) Interscambiabilità: nell’approccio”europeo” al problema, diversamente da quanto inteso sul mercato USA del farmaco, intendiamo la possibilità che, nel corso dello stesso ciclo terapeutico, venga somministrato ora un bio-originator, ora un biosimilare. Esiste letteratura che evidenzia, in diversi set terapeutici, l’assenza di diversi esiti nei trattamenti effettuati sempre con bio-originator o, alternando la somministrazione del primo e di un suo similare. Su questo aspetto, sia pur in un arco di tempo ragionevole, possiamo assumere un atteggiamento fortemente garantista, almeno fino alla dimostrazione diffusa della insussistenza del problema ma, nelle more, è fondamentale definire cosa si intende per “ciclo terapeutico”. Un paziente che assuma periodicamente dei G-CSF o ESA per correggere effetti ematologici indesiderati provocati da chemioterapia antiblastica non sta effettuando un unico continuativo ciclo terapeutico ma, di fatto, tante “nuove terapie”. Questo è un nodo indifferibile da risolvere, che rischia di ritardare la corretta adozione dei biosimilari che, non lo dimentichiamo, rappresentano un’ occasione  per la liberazione di risorse di cui il mondo sanitario italiano ha disperato bisogno.
 
4) Sostituibilità: dove intendiamo la possibilità che la prescrizione di un farmaco biotecnologico a brevetto scaduto effettuata dal clinico, venga sostituita nella erogazione al paziente, dal suo prodotto biosimilare. La tutela del gesto medico, depositario della conoscenza dei bisogni clinici del paziente deve essere garantita, senza dubbio alcuno. E’ però l’onere della prova cha va anche affidata al medico e non ad altri: ovvero, se egli ritiene che per quel paziente , in quel momento della sua storia clinica, sia indispensabile ricevere un prodotto biotecnologico a brevetto scaduto e non un suo biosimilare, deve dimostrare ,con evidenza che vada oltre la generica affermazione della “scienza e coscienza” ,questa necessità e quali prove la sostengano. Se queste prove non ci sono, la sostituibilità è garanzia di corretto uso delle risorse da parte del Sistema Sanitario.
 
Attenzione: nello sviluppo di un dibattito, eticamente corretto a tutela e garanzia del paziente e come tale non evitabile, sulle sottili differenze in termini di glicosilazione di un prodotto biosimilare rispetto al suo originator, dobbiamo evitare il rischio di avvitarci in infinite dispute finto-farmacologiche, continuando a pagare tanto quel che oggi, in tante parti del mondo costa meno. Rischio che potrebbe portare a, semplicemente, non poter curare più altri pazienti, altrettanto bisognosi di un intervento terapeutico altro, che il nostro Sistema potrebbe “ non potersi permettere” avendo disperso risorse che avrebbe invece potuto liberare.
 
Ultima considerazione: negli USA, col solito pragmatismo americano, il problema l’hanno risolto. Se FDA, agenzia federale del farmaco, ha stabilito che le prove esibite dall’Azienda produttrice, sono esaustive e coerenti con quanto richiesto da FDA stessa, il farmaco biosimilare è SOSTITUBILE e INTERCAMBIABILE. Se la documentazione prodotta non è in grado di provarlo il farmaco andrà registrato con diverso percorso come NUOVO farmaco biologico. Chi si assume l’onere di garantire? Naturalmente l’Autorità Sanitaria preposta, ovvero FDA.
AIFA, se ci sei, batti un colpo…
 
Luigi Santoiemma
Area Nazionale del Farmaco SIMG
Commissione Appropriatezza Prescrittiva Regione Puglia

16 ottobre 2013
© Riproduzione riservata

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