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Violenza sulle donne. Ministra Lorenzin sia più chiara

di Antonella Monastra

25 NOV - Gentile direttore,
in occasione della giornata mondiale contro la violenza degli uomini, è bene sottolinearlo, esercitata sulle donne, la Ministra Lorenzin si è sentita in dovere di lanciare un messaggio forte, ma decisamente poco chiaro. A partire dal modo con cui essa definisce la violenza non come fatto riguardante il genere ed estendendola a carico di tutti i soggetti fragili, non solo le donne, ma anche bambini ed anziani. È evidente che qui non si vuole sostenere che bambini ed anziani non meritino sostegno, tutela ed azioni di contrasto alle azioni violente ad essi rivolte. È però un errore non solo semantico, ma anche sostanziale e con concrete ricadute, assimilare la violenza "di genere" alle altre forme di violenza.

L'uso del termine "violenza di genere" sottende una posizione precisa che viene assunta contro ogni tentativo di mistificare e nascondere la vera natura del problema della violenza contro le donne che risiede nella struttura stessa delle nostre società e nella loro cultura, e non è attribuibile esclusivamente a una patologia individuale o familiare, né allo stupro, né tantomeno ad un problema di sicurezza riconducibile ad esempio agli stranieri, agli zingari od altri violentatori vaganti.

Le donne e i movimenti femministi, che ne hanno espresso la valenza politica nel corso dell'ultimo trentennio, hanno insistito sulla lettura della violenza come una conseguenza della disparità di potere tra uomini e donne e come lesione dei diritti di cittadinanza delle donne, e questo concetto è stato raccolto da tutta la legislazione internazionale in materia, per definire violenza contro le donne, come violenza di genere, utilizzata generalmente oggi per indicare la violenza contro le donne in tutte le sue forme.

La definizione ampia e dettagliata di violenza di genere compare per la prima volta in un documento internazionale nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla eliminazione della violenza contro le donne del 1993, primo strumento dei diritti umani internazionali che tratta esclusivamente della violenza contro le donne, un documento che è divenuto il punto di partenza e di riferimento di molti altri processi paralleli europei ed internazionali. Dunque violenza di genere come fenomeno complesso che richiede una lettura attenta e fuori da stereotipi mediatici e sociali di comodo. Stereotipi come quello della fragilità delle donne, riproposto dalla Lorenzin, soggetti da tutelare, proteggere e infine "controllare". Un controllo normativo sulla vita e sul corpo femminile che ha radici storiche lontanissime e a cui ancora oggi è difficile sottrarsi. Anzi, oggi più di prima. Solo la parentesi degli anni settanta vide la spinta dei movimenti femminili e femministi produrre nuova consapevolezza ed autodeterminazione nelle donne, una vera e propria sovversione del potere maschile attraverso la ri-appropriazione del proprio corpo che divenne presto cultura capace di esprimersi attraverso norme innovative  come la legge sulla interruzione di gravidanza e l'istituzione dei consultori, la legge sul divorzio e sul nuovo diritto di famiglia che finalmente nel 1975 abolisce l'autorità maritale, cioè la liceità, da parte del coniuge di far uso nei confronti della propria moglie di "mezzi di correzione" e “disciplina”.

Ma è solo un attimo e il respiro delle donne viene nuovamente soffocato dalla legge 40 sulla procreazione assistita che torna a considerare la donna un utero, un contenitore di embrioni, anche a scapito della sua salute, come ripetutamente sentenziato dalla Corte Europea dei Diritti dell'uomo. O viene soffocato dai reiterati tentativi di modificare la legge 194, proprio nelle parti che sanciscono la libertà di scelta esclusiva della donna, fino alla sua disapplicazione effettiva a causa del dilagare dell'obiezione di coscienza, da più parti denunciata nell'indifferenza totale di tutti i governi. E che dire della "industria ostetrica" che sin dall'invenzione del lettino da parto sino all'allattamento artificiale nega di fatto alle donne di vivere in modo libero e consapevole l'esperienza più significativa e decisiva della loro vita. La medicalizzazione di gravidanza e parto offerta e imposta in cambio di una sicurezza illusoria sono ancora una volta l'esercizio di un controllo tanto subdolo quanto documentatamente causa dell'incremento di eventi avversi.

La "neo-arretratezza" culturale della società italiana, ancora fortemente patriarcale, come ha rilevato nel nostro paese Rachida Manjoo nel suo rapporto sulla violenza di genere nel mondo, non è sufficiente a spiegare tanto accanimento verso l'autodeterminazione delle donne, c'è dell'altro. Se una donna è libera di scegliere, consapevole, padrona del proprio corpo è estremamente pericolosa perché non segue le leggi del mercato, anche di quello sanitario. Vuole conoscere, documentarsi e decidere cosa è meglio per sé. Richiede competenza e flessibilità al suo interlocutore sanitario. Si pensi alle logiche conseguenze, ad esempio, semplicemente nella scelta di allattare al seno: quali ricadute per le multinazionali produttrici di latte artificiale, biberon, tettarelle e affini? È per questo che il corpo delle donne deve rimanere "luogo pubblico", "oggetto" per gli uomini, "contenitore" per la scienza degli uomini, "proprietà" per la legge degli uomini, "immagine" per i media degli uomini.

Su tutto questo si fonda e si alimenta la violenza che è tragicamente sempre "di genere" anche se si connota come violenza sociale quando è impossibile essere pari nelle retribuzioni, quando si paga un peso maggiore nella precarietà e nella disoccupazione, quando è impossibile accedere nei luoghi decisionali malgrado le proprie competenze; che é sempre violenza di genere anche se ad esercitarla sono le istituzioni quando vengono negati i servizi essenziali che ricacciano le donne a casa per curare bambini, anziani e disabili.

Ci dice la Ministra che "Il nostro sistema sanitario mette infatti a disposizione di tutte le donne, italiane e straniere, una rete di servizi sul territorio, ospedalieri ed ambulatoriali, socio-sanitari e socio-assistenziali, anche attraverso strutture facenti capo al settore MaternoInfantile". Viene da chiedersi se la Ministra conosce davvero il territorio e il degrado in cui versano proprio le strutture facenti capo al settore Materno Infantile (sarebbe meglio dire della donna - che non è non solo mamma- e del bambino) come i consultori, servizi ormai alla corda, perché considerati zavorre improduttive dalla Sanità dei Ragionieri. I tagli, la restrizione dei Livelli Essenziali e, soprattutto, l'evidente incapacità della politica e delle istituzioni di creare nuovi paradigmi per rispondere ai nuovi bisogni di salute e di benessere, rendono poco credibili e formali le affermazioni della Ministra, intrappolata in una retorica d'occasione.

Sul tema della violenza maschile sulle donne non resta che attingere, in questo la Lorenzin non sbaglia, alle esperienze nate spontaneamente sul territorio da vari soggetti associativi e da reti che hanno sostituito in massima parte negli ultimi vent'anni la capacità di offrire sostegno e accoglienza alle donne e di elaborare politiche, cultura e competenze che in tutti gli ambiti dovrebbe avere chi governa. Laddove i servizi socio sanitari e i centri antiviolenza sono presenti e vengono offerti attivamente le donne smettono di essere fragili e denunciano con forza e determinazione e questo per molte di loro significa avere la possibilità di vivere una nuova vita. Dunque ad essere fragile non è la donna ma la volontà della politica e del Parlamento nell'investire con determinazione fondi adeguati risorse ed energie per garantire alle donne il diritto alla libertà, all’uguaglianza e alla sicurezza, riconoscendo nella violenza uno strumento lesivo di tali diritti ed un pesantissimo costo economico e sociale.

Antonella Monastra
Ginecologa Consigliera Comunale
Palermo


25 novembre 2013
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