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Il Titolo V e la tutela della salute. Quando sussidiarietà e solidarietà non vanno di pari passo

di David Di Lello

13 FEB - Gentile direttore,
la nostra Costituzione all’art.32 “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” e la Legge n. 833 nel 1978, che istituì il Servizio Sanitario Nazionale, recepì questo dettato costituzionale prevedendo un sistema generalizzato e uniforme che avrebbe, almeno in teoria, dovuto garantire le stesse prestazioni a ogni cittadino sul tutto il territorio nazionale, delegando, comunque, alcune funzioni alle Regioni.
 
Successivamente con le Leggi n. 502/1992 e n. 229/1999 alle Regioni furono conferite funzioni di maggior rilevo nel campo della programmazione sanitaria, nel finanziamento e nel controllo delle attività delle Aziende Sanitarie, in nome dell’affermazione del principio di sussidiarietà, che ebbe la sua massima espressione nell’anno 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione e successivamente col Decreto Legislativo del 6 maggio 2011, n. 68.
 
Il risultato che ne è conseguito è noto ed ha generato confusione, conflittualità  per l’attribuzione di poteri (per esempio tra Stato e Regioni),  paralisi nei processi di decisionali, enormi difficoltà nel controllo della spesa pubblica e 21 (considerate le Provincie Autonome di Trento e Bolzano) Sistemi Sanitari differenti e con evidenti diseguaglianze tra le garanzie e i servizi offerti ai cittadini.
Quest’ultima affermazione è ancor più vera se si legge il rapporto Istat 2014 “Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo” in cui, nella parte riguardante la mobilità ospedaliera, è riportato: “l’emigrazione regionale per ricovero: un fenomeno diffuso in alcune regioni del Mezzogiorno. Il fenomeno della mobilità ospedaliera interregionale è particolarmente rilevante sia in termini quantitativi, sia perché riguarda quei pazienti che, per motivi di varia natura, si ricoverano in una regione diversa da quella di residenza….  In altri casi le motivazioni sono legate alle condizioni di salute e quindi alla necessità di usufruire di prestazioni di alta specializzazione non erogate dalla propria regione o alla maggiore fiducia nei servizi ospedalieri di altre regioni. I principali poli di attrazione sono concentrati nelle regioni del Centro-Nord.”
 
La modifica del citato Titolo V,  che intendeva maggiormente affermare, mutuandolo dagli Stati federali, il principio di sussidiarietà nella nostra Costituzione, modificando la ripartizione delle competenze tra Stato e Enti pubblici territoriali (Comuni,  Province,  Città metropolitane e Regioni), riconoscendo loro autonomia finanziaria, oggi viene rimessa in discussione, soprattutto per esigenze di controllo della spesa pubblica, volendo restituire alla legislazione esclusiva dello Stato alcune materie che erano precedentemente competenza della legislazione concorrente.
Sembra, infatti, che il principio di sussidiarietà sia stato interpretato ed applicato, presupponendo l'esistenza di una contrapposizione conflittuale tra i diversi livelli di governo, come strumento per minimizzare gli interventi, soprattutto di natura fiscale, dello Stato nei confronti delle comunità locali.
 
In questi giorni la questione è oggetto del dibattito politico e sembra investire il coordinamento della finanza pubblica, i trasporti, l'istruzione, il commercio con l'estero e il settore dell'energia, ma non la sanità.
 
E’, invece, auspicabile che questo processo di revisione della ripartizione delle competenze tra i vari livelli di governo coinvolga anche la tutela della salute; gli anni di commissariamento delle Regioni in Piano di Rientro, infatti, null’altro sono stati che l’affermazione della “clausola di supremazia” dello Stato presente negli ordinamenti di tipo federale.
 
L’impressione, tuttavia, è che questa clausola sia stata esercitata in tema di salute dallo Stato nei confronti di quelle Regioni “inadempienti” al solo fine di contenere la spesa pubblica e non anche di rendere più uniforme, efficiente  e di qualità la rete assistenziale.
 
Negli ultimi anni, infatti, si sono abbattuti ripetutamente tagli a cui però, in molti casi, non è seguita nessuna organizzazione che reinterpretasse in chiave moderna ed efficiente il Sistema Sanitario delle Regioni in difficoltà.
 
E’, dunque, necessario che il principio di sussidiarietà venga interpretato dallo Stato anche in chiave di tutela e di appoggio nei confronti di quelle Istituzioni “minori” (Regioni, Comuni) che hanno dimostrato di non farcela da sole, senza prevaricazioni, ma complementandolo con quello di solidarietà.
 
Quest’ultimo principio non dovrebbe essere inteso come esclusiva erogazione di aiuti in termini economici, ma anche come supporto, che si auspica temporaneo, in termini di progettualità e di organizzazione, ridefinendo, con spirito di supplenza, un nuovo rapporto tra lo Stato e gli Enti pubblici territoriali, in particolare con quelli in difficoltà.
 
Non si tratterebbe di un nuovo centralismo burocratico, ma del riconoscimento della prevalenza dello Stato, in caso di conflitti con gli Enti locali dovuti ad inefficienze e/o sprechi, necessario a  minimizzare richiami di tipo clientelare e localistici che spesso sono produttori di facili consensi elettorali, ma disastrosi sotto il profilo dell’efficienza della pubblica amministrazione, della spesa e del bene comune.
 
In conclusione ricordo l’enciclica “CARITAS IN VERITATE” in cui Papa Benedetto XVI afferma: “ Il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno.”
 
Dr. David Di Lello
Presidente Sezione Regione Molise AAROI-EMAC

13 febbraio 2014
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