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Il management della sanità italiana è un problema?

di Fabrizio Russo

22 APR - Gentile Direttore,
ho letto con interesse il ritratto del direttore generale tracciato da Fiaso e Agenas: “Una personalità forte, capace di relazionarsi facendo risaltare la dimensione dello scambio e della capacità di ascolto, che punta più sull’arma del saper convincere che su quella del comando. Leader però nell’accentrare il governo dell’azienda, con una spiccata propensione all’innovazione. Il tutto con senso della misura e, perché no, un tocco di eleganza che non guasta nel riconoscimento della leadership. Questo per definire le attitudini a dirigere. Da coniugare però con le competenze”.
 
Come dire competenze trasversali e competenze tecniche da applicarsi alla gestione dell’azienda sanitaria che però dovrebbe vedere riconosciuta una maggiore autonomia, affrancandosi dalla “libertà vigilata” alla quale è stata in questi anni “condannata” dall’istituto del commissariamento.
Ormai da troppo tempo manca questa figura manageriale in grado di rilanciare i diritti sopiti di tanti cittadini  e la motivazione dimenticata di tanti operatori, in qualche modo confermata dagli elevati numeri di assenze per malattie e dalle richieste di inabilità alle mansioni che mostrano una certa difficoltà causata dal clima organizzativo. La dimensione relazionale non deve però solo essere indirizzata alla sola “capacità di saper convincere”, quasi che il direttore generale fosse un pifferaio magico capace di incantare i suoi stakeholders.
 
La dimensione relazionale deve saper effettivamente realizzare quel processo di stakeholders engagement, di negoziazione partecipata, che porta a rilevare i fabbisogni dei membri della comunità di riferimento e a definire strategie condivise che non risentano soltanto dell’influenza dello stakeholder più forte (l’assessorato alla salute), ma che sappiano contemperare le legittime aspettative dei vari attori. Pur non volendo entrare troppo a fondo nell’argomento, per motivi di spazio, forse occorrerebbe rilanciare con più convinzione il valore del governo collegiale da estendersi non solo alla direzione amministrativa e sanitaria ma anche alla direzione infermieristica e a quella tecnica.
 
Il tutto con il senso della misura”. Sembra di risentire echeggiare l’antica locuzione latina: “in medio stat virtus”. Il problema della disonesta gestione raggiunge oggi picchi di gravità eccezionale, se è vero che “la corruption totale viene infatti stimata in 23,6 miliardi di euro l'anno” (QS 15 apr).Chi ha avuto esperienza di revisione contabile sa che nessun sistema di controllo interno è in grado di azzerare i rischi di frode; di fronte a tale deriva, a proposito di virtus, sarebbe meglio lavorare sulle qualità di chi guida le nostre aziende sanitarie ed inserire in questo paradigma, in questo “ritratto” del buon direttore generale la presenza delle virtù manageriali.
La virtù richiede innanzitutto autonomia che in una visione burocratica e formalistica del settore sanitario può essere messa a repentaglio.
 
Due sono le virtù fondamentali che vorrei segnalare perchè un direttore generale possa definirsi “buono”:
inprimis, la prudenza, quella virtù capace di orientare alla scelta della giusta cosa da fare; la prudenza è quella ragion pratica che ci aiuta a decidere su casi particolari. Il buon vecchio Aristotele ci informa che la prudenza: «E’ una disposizione pratica accompagnata da ragione verace intorno ai beni umani» (Etica Nicomachea). Non significa, ad es., avere paura di affrontare un nuovo investimento, ma valutare se quell’investimento è diretto al bene comune; stimare se il flusso reddituale prospettico riuscirà a remunerare l’investimento realizzato, servendosi di analisi epidemiologiche, studi di fattibilità…;
- in secundis lo spirito di servizio: tale virtù concerne l’attenzione ai bisogni reali di salute per la cui soddisfazione è preposto un servizio sanitario ma anche ai bisogni di tutti gli altri attori che a vario titolo entrano in relazione con l’azienda. Pertanto seguire i propri obiettivi e interessi personalistici sarebbe un modo irresponsabile di gestire un’organizzazione sanitaria. Quando un dg di un’azienda sanitaria guida la sua organizzazione con questa attenzione precipua al bene dei suoi pazienti, soddisfacendo i bisogni di salute efficacemente, al bene dei suoi dipendenti, mettendoli in condizione di svolgere un lavoro ben fatto, alle aspettative dei fornitori, erogando i pagamenti nei tempi concordati, ecc.. sta realizzando questa virtù così importante per qualunque funzione manageriale ed in particolare in un ambito di interesse pubblico così rilevante.
 
“Quale Direttore Generale per quale Azienda Sanitaria?” si chiedeva: a tale domanda vorrei dare il mio modestissimo contributo “nell’alzare l’asticella”, aiutando a riscoprire l’etica delle virtù nell’agire manageriale in sanità; un’etica che dovrebbe trovare diritto di cittadinanza (che sia già così?) anche nei programmi dei vari corsi di management sanitario. Caro Ministro Lorenzin, lavoriamo sul “buon” direttore generale e trasformiamo un problema (“il vero problema della sanita’ italiana è [..] il manager” intervista Ministro Lorenzin Sole 24 ore 18 marzo 2014) in un’opportunità.
 
Fabrizio Russo
Phd etica applicata al management sanitario
Università Campus Bio-Medico di Roma
Direttore Alta Scuola ARCES

22 aprile 2014
© Riproduzione riservata

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