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Patto Salute. Per il suo successo coinvolgere i professionisti

di Andrea Bottega

22 APR - Gentile direttore,
in più situazioni non ho mai nascosto di preferire un Ministro politico a uno tecnico sia perché la scelta di allocazione delle risorse è un fatto di scelte meramente politiche sia perché l’impressione che ho sempre avuto è che il tecnico sa già cosa fare, ha una ricetta tutta sua da attuare mentre il politico è più disposto a raccogliere suggerimenti e idee che lo aiutino nel governo. Questa convinzione è stata corroborata anche in occasione delle coperture economiche al “decreto taglia IRPEF”, dove il Ministro della Salute ha difeso politicamente il finanziamento al SSN come suggerito da molti attori del sistema, garantendo in compenso la firma del Patto per la Salute entro il mese di giugno.

Tutto bene allora? Abbiamo slavato il malloppo? Non credo proprio. Non perché non sia positivo aver tutelato il finanziamento del SSN dalla scure di Cottarelli ma perché penso che la partita non sia ancora chiusa. Ho come l’impressione che il secondo tempo ci riserverà delle sorprese e non tutte positive.

Il Patto per la Salute sembra marciare spedito verso la sua conclusione - così si auspicato dalle regioni nell’intervento dell’assessore Coletto agli stati generali della salute - ma i principali protagonisti di esso, infermieri e medici, non sono stati coinvolti così come le rappresentanze dei cittadini. Tutto si sta definendo dentro una cornice economica di contenimento dei costi tra le istituzioni dello Stato ma senza l’apporto di chi opera quotidianamente nel sistema e di chi fruisce dei servizi o ne subisce le disfunzioni. Economie di spesa che produrranno maggiore salute perché reinvestite nel sistema? Manovre di efficientamento che serviranno a migliorare i servizi? Riorganizzazioni contro gli sprechi per evitare i tagli lineari? Non ne sono sicuro; più facile a dirsi che a farsi.

Intanto c’è da considerare che il taglio alle regioni difficilmente non avrà ricadute in quella che rappresenta l’80% della spesa del bilancio regionale. In secondo luogo ho il sospetto – forse perché le regioni finora hanno mostrato più di qualche indizio in tal senso – che la “cresta” sugli appalti in sanità non sarà toccata e i tagli di fatto andranno ad incidere sulla qualità dei servizi. Si potrà ridurre un po’ la corruzione ma il merito sarà più della magistratura che dei controlli interni come dimostra l’innumerevole letteratura sull’argomento. Più facile dal di dentro intervenire sui terminali del sistema. Ad esempio, per limitare le spese a chi direttamente opera per la salute del cittadino viene utilizzato il sistema del budget che certo ha molti vantaggi per il contenimento della spesa e dell’appropriatezza ma può diventare una tagliola nel momento in cui gli indicatori di spesa economica acquistano un valore tale che anche un minimo sforamento mette a rischio i sistemi di erogazione della produttività per il personale del comparto o il premio di risultato per la dirigenza. Se il peso della spesa di un reparto vale il 50% di tutti gli obiettivi e se tale spesa viene sforata (magari qualche decina di migliaia di euro su centinaia di migliaia) significa che il personale non riceverà completamente il salario di produttività perché non ha raggiunto il valore minimo di soglia sopra la quale è previsto il saldo completo. In questo modo le aziende mettono il personale medico e infermieristico di fronte alla scelta: o avere il proprio salario o erogare cure sforando il budget assegnato. Se a ottobre si finisce il budget economico gli interventi costosi si rimanderanno all’anno successivo (come dimostra bene l’azione del privato convenzionato).

Penso che alla fine le coperture si dovranno trovare e che la sanità, anche attraverso il Patto per la Salute, farà la sua parte perché inevitabilmente legata ai bilanci regionali. Ciò che mi preoccupa è che tutto venga deciso senza una consultazione diretta di chi opera a contatto del cittadino ogni giorno, che si decida sul ridimensionamento delle risorse umane piuttosto che sugli sprechi. Gli stati generali della salute, a mio avviso e per quello che ho avuto modo di ascoltare, non hanno prodotto quel che si voleva, un contributo in termini di proposte innovative per tenere in equilibrio il sistema, e alla fine sono stati un’occasione per portare il valore di una propria presenza al di là delle vere qeustioni che dobbiamo affrontare.  Ciò che mi preoccupa è la dittatura della scienza economica sulla politica, della finanza sull’etica per cui ogni valore, principio, diritto che ci tiene uniti in questo Stato è subordinato al contenimento della spesa. Capisco che le risorse non sono illimitate ma qual è il limite oltre il quale non siamo disposti a sacrificare i fini (le persone e la dignità del loro essere) per i mezzi?

Gli infermieri che rappresento sarebbero contenti di fare la loro parte se ci fosse il coinvolgimento della categoria nella progettazione del cambiamento e un’idea chiara e condivisa di dove andare.

Quello che ci viene chiesto dal Patto per la Salute, invece, è di stare buoni e quindi di lasciar fare e di non disturbare il manovratore. Questo modo di ragionare, data la complessità del nostro lavoro, ai malati, agli infermieri e ai medici non ha mai portato qualcosa di buono ma solo impoverimento, dequalificazione e maggiore sfruttamento.

Dr. Andrea Bottega
Segretario Nazionale Nursind


22 aprile 2014
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