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Riforma Pa. Per i medici serve un nuovo sviluppo di carriera

di Guido Quici

05 GIU - Gentile Direttore,
prima che venga presentata dal Governo la proposta di riforma della PA, noi di Cimo vorremmo ribadire ancora una volta la necessità di un nuovo sviluppo di carriera per i medici. Oggi il medico vive uno stato di profondo disagio, sembra aver perso la propria identità, lavora in condizioni rischiose perché, in questi anni, è stato costretto ad assumere una doppia entità: da un lato i doveri professionali e deontologici che richiedono una forte autonomia sia tecnica che professionale nella diagnosi, cura e riabilitazione del paziente (… ed in epoca di spending review, emerge sempre di più il rapporto conflittuale tra economia e deontologia) e, dall’altro, i doveri di dirigente pubblico che, come tale, deve sottostare alle comuni regole della pubblica amministrazione che non sono improntate su questioni di tecnica ma, prevalentemente, su aspetti economici e gestionali.

La forte connotazione gestionale, attribuita dalla 502/92 e dalla 29/93, ha progressivamente ridimensionato quella professionale svilendo il lavoro del medico che, quale dirigente della PA dopo il fallimento dei principi della 29/93, in tema di separazione tra organo politico ed organo dirigenziale, e con la privatizzazione del proprio rapporto di lavoro  che sancisce la “relazione fiduciaria tra politica ed alta burocrazia”, si trova, oggi, a fronteggiare alla richiesta, da parte della Conferenza delle Regioni di “fidelizzazione delle figure apicali”, ed alla possibilità di revoca dell’incarico anche in presenza di una valutazione positiva (D.L. 150/09).

Questo è il motivo per il quale si avverte la necessità di passare da una logica gestionale ad una logica professionale attraverso l’implementazione di processi professionali finalizzati al raggiungimento di standard clinico-assistenziali.

Occorre, quindi, chiarire che il medico è pur sempre un dirigente ma è un dirigente atipico per cui è necessario recuperare la centralità del proprio ruolo andando oltre la dirigenza. Ma per raggiungere questo obiettivo si deve partire dall’atto medico e da un nuovo stato giuridico chiarendo, contestualmente, la differenza tra chi dirige e chi gestisce. Dirigere vuol dire “avere poteri decisionali sull’utilizzo delle risorse umane, strumentali, finanziarie e strutturali ai fini del raggiungimento degli obiettivi prefissati dall’organo di governo”; gestire è, invece, “colui che mette in atto metodi e procedure per raggiungere gli obiettivi prefissati”.

In sanità, il significato di medico – dirigente si concretizza quale responsabile unico della strategia diagnostica, e/o terapeutica, e/o riabilitativa e, conseguentemente, della scelta del miglior percorso clinico a favore del paziente”; concetto, questo, che potrebbe rappresentare il vero “spartiacque” tra la professione medica e le competenze avanzate.

Pur tuttavia occorre superare l’appiattimento della carriera medica sfociato, di recente, verso una vera e propria involuzione essendo oramai marginale la percentuale dei medici con incarichi di struttura.

Cimo è convinta che occorre, pertanto, ricreare un nuovo percorso di carriera che offra maggiori aspettative a chi lavora nel SSN, magari anche attraverso una separazione tra carriera gestionale e professionale con valorizzazione concreta di quest’ultima.

Per la carriera gestionale l’affidamento, al solo direttore di dipartimento, della gestione manageriale ed economica della struttura affidata e al direttore di unità complessa e/o di struttura semplice la gestione del governo clinico e dei processi clinico-assistenziali correlati. Viceversa, per la carriera professionale, il raggiungimento di livelli di alta specialità o di eccellenza la cui autonomia ed il cui valore economico potrebbe essere equiparato al  direttore e/o responsabile di struttura.

Naturalmente entrambe le carriere dovranno iniziare dallo Specialista Junior anche a completamento, sul campo, del percorso intrapreso in ambito universitario. La successiva evoluzione del percorso, preliminare al doppio sviluppo di carriera, consisterà nel passaggio a Specialista Senior, medico con completa autonomia clinica a cui assegnare anche compiti di consulenza, tutoraggio, ispezione, verifica, didattica, ecc.     

Le due successive tabelle  rappresentano, schematicamente, la proposta di nuova progressione di carriera ed il ruolo che ciascun dirigente medico potrà assumere.



 

 
Strettamente collegata alle attività è, naturalmente la valutazione del medico che dovrà essere basata esclusivamente sulle proprie capacità professionali e non gestionali; questo significa ridimensionare, finalmente, quei sistemi di valutazione di ordine economico e manageriale che sono in netto contrasto con l’autonomia del professionista e con i doveri deontologici. Per ovvi motivi permangono, in capo al direttore del dipartimento, la valutazione circa il raggiungimento degli obiettivi di budget in termini di efficienza, efficacia ed economicità della struttura.  


 
In conclusione occorre implementare un sistema di carriera “dinamico” che preveda una progressione verticale, legata alla valorizzazione del percorso professionale, ma anche una progressione orizzontale derivante dal raggiungimento periodico degli obiettivi assegnati. In modo corresponsabile è necessario prevedere anche una possibile perdita dell’incarico nel caso di una doppia valutazione negativa o per effetto dell’adozione di procedimenti disciplinari.  

La proposta CIMO rappresenta una base di confronto aperto che, tuttavia, non può prescindere da due aspetti: il recupero dell’autonomia del professionista e la volontà di creare, davvero, una carriera professionale.

Ci auguriamo che l’imminente riforma della P.A., elaborata dal  Ministro Madia, non ricomprenda i medici del SSN e, soprattutto, che per loro non si attui la conversione del fondo di posizione verso la retribuzione di risultato.

Guido Quici
Vice Presidente Vicario Cimo Asmd

 

05 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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