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Stop al contenzioso medico-legale? Depenalizzare atto medico e controquerela al paziente

di Domenico Crea

25 GIU - Gentile direttore,
un tempo il rapporto medico-paziente era fondato sulla totale fiducia, sulla linearità del confronto, in cui il paziente si affidava al medico con totale serenità, generando a sua volta nel professionista, ancor più attenzione e vicinanza. Gli ovvi e inevitabili insuccessi, insiti in ogni atto clinico o chirurgico, non creavano litigiosità, ma diventavano la base sulla quale cercare nuove soluzioni spesso, se non addirittura sempre, condivise.

Oggi le cose sono mutate, travolte dalla nascita delle informazioni mediatiche reperibili facilmente dal tessuto di internet e dal concetto, sbagliatissimo, che il risultato di una moderna terapia debba essere necessariamente solo positivo. E’ bene sottolineare che "il desiderio di immortalità della nostra società”, non è compatibile con la realtà della clinica e delle risorse che abbiamo oggi a disposizione.
Una cura può rivelarsi inefficace per cause non prevedibili, sappiamo che le reazioni e le complicanze inattese possono essere dietro l’angolo della prospettiva terapeutica, aggravandone la prognosi e portandola in alcuni casi a danni irreversibili.

In queste condizioni, il rapporto si è alterato, si è letteralmente trasformato, perdendone in spontaneità ed in reciproca umanità. Ed ecco la genesi della medicina difensiva, delle “futilities diagnostiche”, con l’ eccesso di analisi e di accertamenti che crea disorientamento nel paziente, sempre più spesso affidato a sanitari diversi , “spesso non di sua scelta”, perdendo così il rapporto con il “suo” medico e quindi minando alla base la reciproca affinità e anche amicizia, che naturalmente tende a crearsi.

Tutto ciò permette il fiorire di un terreno fertile costellato di disaccordi e malintesi e quindi, a questo punto, giungere al contenzioso rappresenta un passo breve.
Si aggiungano poi la pretestuosità di molte richieste di indennizzo a seguito di presunta malpractice. In certi ambiti territoriali sono ormai diventati quasi la regola, una forma di nuovo ammortizzatore sociale. E' pertanto ormai evidente che esistono certe schiere di "pazienti", spesso supportati da “certi avvocati”, privi di qualunque dignità per la professione che esercitano, che a fronte di qualunque atto medico o chirurgico, spesso effettuato nei loro confronti addirittura in regime di "stato di necessità" (nel quale il sanitario NON può rifiutare la sua prestazione d'opera), che in malafede chiedono risarcimenti per danni a loro dire subiti a seguito di tali atti.

Il più delle volte tali richieste sono di una banale semplicità, redatte dall'“avvocato del paziente”, e regolarmente si concludono con la richiesta di risolvere la questione del risarcimento per via bonaria minacciando altrimenti il ricorso alle vie legali. Tali missive sono in genere indirizzate alle direzioni sanitarie delle aziende. Il dramma è che certe direzioni sanitarie sono particolarmente propense ad accettare in maniera pressoché indiscriminata tali accordi extragiudiziali rifondendo il "paziente" per danni assolutamente mai accertati e soprattutto mai subiti. Altre volte invece viene chiamato direttamente in causa il medico che ha eseguito la procedura che avrebbe arrecato danno al "paziente". E qui la situazione viene gestita personalmente dal sanitario in funzione del suo carattere, della condotta della sua assicurazione, della somma richiesta, ecc.

Quale allora una possibile soluzione? Quale un percorso attuabile in tempi brevi e finalizzato alla necessaria riduzione di un tale contenzioso?
E’ ipotizzabile, dapprima, rendere finalmente l’atto medico libero dal vincolo penale, cosa che esiste solo in Italia, esclusa la Polonia che certo non è un esemplare di antica democrazia e tanto meno un modello a cui fare riferimento. Depenalizzare l'atto medico è una misura di civiltà, ovvero facendo in modo che l'eventuale errore di un camice bianco non sia considerato, come accade ora, un reato penale addirittura prima ancora di averne accertato l'eventuale colpa o dolo.

E' una misura di stampo medievale, priva della necessaria ragione, ma ditemi chi, esercente l’attività clinica, si permetterebbe mai di intervenire solo per causare un danno e non per guarire il paziente? E poi, se eventualmente dovesse sussistere un qualsiasi dolo, il nostro codice penale già prevede specifica accusa e processo per tale reato. Pertanto, tale norma andrebbe cancellata senza attendere oltre.

Un’altra proposta potrebbe vedere poi l’inserimento nei meccanismi procedurali della controquerela, perseguibile di ufficio da parte dello Stato, con risarcimento a carico dello stesso paziente, nei casi in cui l’azione penale o civile intentata nei confronti del medico, si sia rivelata errata o temeraria e quindi conclusa con l’accertamento di una non responsabilità. Risulterebbe così evidente l’orientamento a porre almeno un freno al circo delle denunzie che, senza problemi, tendono a generarsi continue dai vari attori presenti in questa nauseante realtà.

Questa è la sanità a cui ci sta portando il “pulcinellismo” di alcuni pazienti, di alcune amministrazioni sanitarie, di alcuni avvocati e soprattutto di uno stato, assolutamente sordo al grido di dolore, proveniente dalla classe medica.
Tranne se, mi si lasci pensar male, questo atteggiamento pilatesco dello Stato non sia propedeutico, una sorta di alibi se non addirittura uno strumento di parte, per quella strisciante ma evidente opera di smantellamento della sanità pubblica messo in atto nel nostro paese oramai da vari anni.
 
Dott. Domenico Crea
Uil-Fpl Medici di Napoli

25 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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