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Il lavoro medico. Una proposta per il futuro

di Salvo Calě

13 NOV - Gentile direttore,
che ben venga il confronto sulle analisi e le proposte avanzate dal professore Cavicchi, ma consentitemi una premessa politica. Da anni discutiamo solo con la testa rivolta al passato, agli anni ruggenti che vedevano i medici, insieme ad altri professionisti, essere uno dei centri decisionali del Paese. Un'epoca in cui essere "dottore", significava essere uno dei notabili della città, il Parlamento ne era lo specchio fedele. Gli stessi accordi di lavoro della categoria erano fortemente valorizzati. Un tempo superato, sepolto, che non ritornerà per molti lustri: perché siamo in una società diversa, con modelli di sviluppo nuovi, con equilibri geopolitici totalmente cambiati, ma anche, per citare un aspetto particolare, con altri processi formativi: l'università di massa, anche se ora la facoltà di medicina è a numero chiuso, ha cambiato l'idea stessa di classe dirigente. Potremmo dire: tutti laureati, parafrasando il "todo caballeros". 
 
Sono cambiati i rapporti di lavoro, il ruolo dei sindacati, il concetto stesso di rappresentanza. In questa dinamica economica-politica-sociologica, guardarsi l'ombelico, come è stato fatto da molti sindacati, è miope, inutile e controproducente. Coccolare i propri affiliati, vendendo l'illusione dei "fasti" passati, è da irresponsabili e da populisti.
Noi non ci stiamo! Per questa ragione le riflessioni di Cavicchi, seppur con qualche distinguo, sono una ventata di aria fresca. 
 
Il ragionamento è quello di essere di nuovo classe dirigente, partendo da come vogliamo realizzare il nostro lavoro, da come operiamo nel Ssn.
Dobbiamo imparare a navigare nel mare aperto e in questa direzione va la nostra proposta di "contratto unico" che si sposa con l'idea di trasformare i medici in "azionisti" della propria attività, "shareoldern" della sanità, che, come scrive Cavicchi, "considerano il lavoro come un loro capitale che dovranno valorizzare il più possibile", quindi, in questa ottica, l'azienda, appunto "deve essere a management diffuso cioè il management dovrà essere distribuito ovviamente in modo diverso e con pesi diversi, tra direttori generali e operatori".
 
Lo strumento utile per ridefinire questa nuova impostazione, nella logica della flessibilità e della flexsecurity, è, appunto, quello di creare un contratto che superi l'attuale divisione tra convenzionati e dirigenti, ma anche il concetto stesso di dipendenza come pensato nel secolo scorso. Che valorizzi cioè i contenuti della professione e la sua capacità di adeguarsi alla mutata domanda di salute, non già indugiando su improbabili modelli organizzativi dell'offerta sanitaria nel territorio che, nel tentativo di scimmiottare l'ospedale, consegnano ciò che resta dell'autonomia dei medici all'irriducibile potere dei partiti. 
L'idea è quella di partire da un grado minimo di garanzie che vanno crescendo, partendo da un rapporto di lavoro di tipo orario (bilanciato per scelte, per quanto riguarda i medici di medicina generale) con accesso unico, tempo pieno e tutele generalizzate ed estese per tutti, per quanto riguarda le malattie, le ferie ecc... 
 
È evidente che tutto ciò non può riguardare l'attuale platea dei medici, ma quelli che entreranno nei prossimi anni e che sostituiranno quelli che vanno in pensione.
Questa sì, è una risposta strutturale al precariato che spopola nelle nostre corsie e nel territorio.
In tutto questo processo si dovranno anche considerare, sul piano economico, anche le spese strutturali sostenute in questi anni per il mantenimento degli studi dai medicina di famiglia: ambulatori che sono stati e rimangono la spina dorsale della capillarità del Ssn.
 
E allora che ben venga quello che Cavicchi chiama "personal agreement" e con esso una ridefinizione del compenso, come risultante di una quota nazionale e di una periferica di risultato, perché il centro di tutta la nostra riflessione è la domanda di salute e un’efficace riorganizzazione dei servizi. E non l'aumento del numero dei nostri affiliati, come pensa ancora qualcuno, per poter strappare qualche fetta di potere in più o qualche poltrona in un tavolo ministeriale o in una commissione di esame dei futuri giovani medici di famiglia. Una terza via all'insegna della semplificazione degli istituti contrattuali, come chiede Cavicchi, e non un'ibridazione dell'attuale scenario, quindi. Continuiamo a parlarne, direttore, continuiamo a ragionarne con gli intellettuali, i pochi che sono rimasti. Lo Smi c'è ed è disponibile.

Salvo Calì
Presidente Sindacato dei Medici Italiani

13 novembre 2014
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