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Pronto soccorso. Era il 2009 e già c’erano le barelle

di Massimo Magnanti

11 FEB - Gentile direttore,
il 9 febbraio del 2009 la nostra associazione organizzò a Roma, davanti un grande ospedale della Capitale, una manifestazione che intitolò Barella-Day per denunciare quello che solamente oggi in troppi scoprono e cioè che i pronto soccorso nazionali, e in particolare quelli delle regioni sottoposte a piano di rientro, sono drammaticamente intasati perché i malati da ricoverare non hanno un posto letto rapidamente disponibile nei reparti di competenza e rimangono all’interno proprio dei pronto soccorso (PS) in attesa spesso per giorni. 
 
Gli organici degli ausiliari, dei medici e degli infermieri dei pronto soccorso, già spesso insufficienti ad assicurare quelli che sarebbero i propri compiti istituzionali, si trovano a dover prestare assistenza anche a 40/50 malati in attesa di posto letto, pazienti letteralmente ammassati all’interno di spazi che, inevitabilmente, diventano angusti, promiscui e insicuri. 40/50 malati in attesa di posto letto da assistere corrispondono a circa due reparti fantasma di degenza, di media grandezza, che vengono messi a carico di un PS, snaturando completamente gli obiettivi assistenziali del reparto di emergenza.
 
Dopo essere stati quasi derisi da taluno per quanto dicevamo sei e più anni fa, oggi finalmente ci si accorge di quella che è una vera e propria emergenza su scala nazionale, molto più grave di un’epidemia influenzale, che per troppo tempo è stata sottaciuta, negata o nascosta nel disprezzo più vergognoso dei diritti dei malati e degli operatori.
 
Il fenomeno del “boarding”, cioè la permanenza in PS di malati in attesa di posto letto, ha costi altissimi in termini d’assistenza provocando l’allungamento dei tempi di attesa per la visita in PS, un maggior tasso di abbandono delle cure, l’aumento dei tempi di permanenza in ospedale e costituisce la principale minaccia per la qualità delle cure in emergenza, condizionando:
• la tempestività delle cure
• i livelli di morbilità/mortalità
• la possibilità di errori sanitari
• il blocco della ambulanze
 
Il blocco delle ambulanze davanti ai servizi di emergenza è determinato dall’esaurimento delle barelle in dotazione ai pronto soccorso stessi a causa dei malati che vi sono allocati impropriamente in attesa di un posto letto, oltre a quelle che sono utilizzate per la normale gestione dei malati che poi verranno dimessi.
Il boarding produce costi economici altrettanto elevati. La letteratura internazionale, ad esempio, ci dice che i pazienti che attendono in barella8-12 ore prima del ricovero tendono a rimanere in ospedale mediamente una-due giornate in più rispetto a quelli, con DRG omogenei, che accedono immediatamente ai reparti ordinari; si generano così decine e decine di migliaia di giornate di degenza aggiuntive e ulterioricosti, peraltro difficili da quantificare, derivati dalle problematiche assistenziali già descritte.
 
Tutto ciò accade mentre gli operatori dei servizi di emergenza sopportano carichi di lavoro inimmaginabili e del tutto al di fuori da una qualsivoglia razionalità organizzativa.  Gli accessi ai pronto soccorso nazionali, dopo una crescita progressiva di circa 3 milioni di accessi tra la fine degli anni 90 e la fine degli anni 2000, da alcuni anni si sono stabilizzati intorno a 24 milioni annui. Negli stessi anni si è sviluppata nel Paese la tendenza alla deospedalizzazione dei processi assistenziali, con una costante riduzione dei posti letto ordinari che nel giro di circa quindici anni sono passati in Italia da 347.297 a 213.358. Il taglio dei posti letto ha riguardato principalmente le strutture pubbliche, tanto che il rapporto dei posto letto tra pubblico e privato è passato da 5,3 nel 1996 a 3,9 nel 2011, ultimi dati ufficiali disponibili. SI è cosi passati dalla disponibilità di un posto letto ogni 164 abitanti del 1996 alla dotazione di un posto letto ogni 278 abitanti del 2011, senza considerare gli ulteriori cospicui tagli operati tra il 2012 e il 2014.
 
In questo contesto l’attività dei medici di emergenza è andata necessariamente indirizzandosi verso una maggiore attenzione al contenimento dei ricoveri, con una corposa riduzione delle percentuali degli stessi nel giro degli ultimi 15 anni. Per avere un termine di confronto sul significato di questi dati, si può prendere a paragone quanto accade in Inghilterra, una nazione con un sistema sanitario simile al nostro, con una dotazione di posti letto prossima a quella italiana e analoghi, seppur minori, problemi di sovraffollamento dei pronto soccorso; ebbene, la percentuale di ricovero dei dipartimenti di emergenza inglesi rispetto al totale degli accessi è stata nel 2013 del 26%.
 
Contestualmente alla drastica riduzione dei posti letto, il sistema sanitario nazionale negli ultimi 10 anni si è caratterizzato anche per una altrettanto drastica riduzione del turn over del personale in servizio. Si pensi ad esempio ad una regione come il Lazio che in otto anni di piano di rientro ha visto ridurre il numero degli operatori in sanità di circa 5-6000 unità. La riduzione del personale ha delle ricadute notevoli anche sulla dotazione dei posti letto: sono, infatti, sempre più frequenti le segnalazioni di situazioni in cui, per la mancanza di operatori, non si riescono a tenere aperti nemmeno quei letti che i piani di rientro e gli stessi standards nazionali consentirebbero.
 
Il “boarding” è un fenomeno multifattoriale rispetto al quale si possono identificare cause e possibili azioni di intervento essenzialmente a tre livelli:
1) Dipartimento di Emergenza
2) Ospedale
3) Sistema Sanitario
 
Ognuno di questi livelli necessiterebbe di una discussione dedicata. Rimanendo brevemente ai temi toccati, riteniamo che tante regioni abbiano subito tagli troppo drastici in troppo poco tempo, sia in termini di letti che di personale. Continuare a tagliare posti letto, oltretutto attraverso un calcolo che appare a noi operatori meramente ragionieristico, specie nelle regioni che hanno affrontato o ancora si trovano in piano di rientro, in un Paese con una popolazione che cresce e che invecchia, certo non è la politica migliore per affrontare il sovraffollamento dei servizi di emergenza. In base a cosa si è deciso che l’Italia debba avere 3 posti letto per acuti ogni 1000 abitanti? Soprattutto perché si è deciso che questa riduzione possa avvenire contestualmente in regioni i cui sistemi sanitari rappresentano venti realtà completamente diverse tra di loro? E come mai nazioni come la Francia o la Germania continuano a dotarsi di un numero di posti letto pari quasi al doppio o più del doppio rispetto a quelli italiani (dati OCSE)?
 
Il commissariamento della sanità di tante regioni ha avuto senza dubbio diversi effetti positivi, principalmente nel sensibilizzare le amministrazioni regionali a considerare più appropriatamente la gestione economica nell’erogazione dei servizi sanitari. Ma ora si è andati oltre, troppo. Non si può gestire la salute dei cittadini solo con criteri economicistici, oltretutto in un paese che spende meno, molto meno, per il proprio servizio sanitario nazionale a confronto di Inghilterra, Francia, Germania e, percentualmente, anche meno della stessa Spagna, e l’elenco potrebbe continuare. Al di la delle ruberie, dell’incapacità amministrativa, delle clientele e degli sprechi, fattori tutti ancora esistenti in sanità, oltre alle inefficienze degli stessi operatori sanitari, se la gestione del Sistema Sanitario Nazionale non torna ad essere basata principalmente su una seria programmazione sanitaria, l’attuale crisi dei pronto soccorso nazionali sarà il preludio al crollo di tutta la sanità pubblica italiana.
 
Dott. Massimo Magnanti
Segretario generale S.P.E.S. - Sindacato Professionisti Emergenza Sanitaria - AREA SIMET-FASSID

11 febbraio 2015
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