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Sicurezza delle cure. I radiologi: “Poca clinica, assenza controllo domanda e ‘ansia’ da produzione alla base degli errori”

di Stefano Canitano

06 LUG - Gentile direttore,
su invito di Riccardo Tartaglia, il responsabile del Centro Gestione del  Rischio Clinico della Regione Toscana e del Prof. Alessandro Dell’Erba, coordinatore della Gestione del Rischio Clinico della Regione Puglia, abbiamo dato il nostro contributo di radiologi impegnati nella difesa della qualità e dei pazienti allo svolgimento della convention dei Clinical Risk Manager che si è svolto a Bari dal 2 al 4 luglio.  
 
L’argomento del rischio clinico ci sta particolarmente a cuore e noi abbiamo una consapevolezza, che ci sostiene nelle fatiche che facciamo per far sentire la nostra voce, fatiche che si sommano a quelle sempre in crescita dell’esercizio professionale. Questa consapevolezza che ci motiva consiste nel conoscere il nostro fondamentale e insostituibile ruolo nella filiera diagnostico-terapeutica, e ad un grande potere, come quello che gestiamo nei destini dei pazienti, corrisponde una grande responsabilità.   
 
Come abbiamo sottolineato nella relazione con la quale abbiamo esposto i risultati del tavolo che abbiamo coordinato, con Corrado Bibbolino e l’ortopedico Pietro Galluccio, incentrata sul danno da mancata diagnosi di frattura in P.S., una fonte di errore sanitario è l’allontanarsi dalla clinica determinato dalla pressione produttivistica e dalla totale assenza di controllo della domanda.
 
Le uniche soluzioni alle difficoltà di accesso che vengono proposte, mirate all’incremento ulteriore di prestazioni, in Italia già in vetta alle classifiche mondiali come le nostre (più di 100 milioni l’anno), rischiano di mandare il sistema intero a sbattere contro il muro.
 
Si provvede ad affidamento a ditte esterne low cost, alla trasmissione selvaggia di immagini senza la garanzia del filtro di un medico radiologo, all’erogazione di fondi per il fantomatico “abbattimento delle liste” che si risolvono solo in un ulteriore spreco di risorse.
 
L’accorpamento sempre più vasto di strutture rifiutando la complessità, accorpamenti che rendono i compiti dei Direttori sempre più simili a quelli di un burocrate che provvede agli acquisti, risponde del pareggio di bilancio e gestisce i turni ma perde il contatto con la medicina, come se i radiologi non fossero medici clinici ma lettori di figure.
 
Tutte queste dissennate terapie sbagliate causano una crescente quota di inappropriatezza e non fanno che aggravare le condizioni del malato. 
 
E soprattutto continuano a esporre i pazienti a rischi di errore, così come i professionisti a rischio di estenuanti procedimenti giudiziari, come nel caso degli screening. Su centinaia di donne sottoposte a una chiamata attiva per la prevenzione secondaria esiste una percentuale “fisiologica” di errore diagnostico anche in un sistema di qualità eccellente. Questo però non risparmia ai professionisti coinvolti denunce e chiamate in giudizio. L’assenza di tutele istituzionali per chi si rende disponibile a questa particolare attività di sanità pubblica condurrà presto a una probabile cessazione della metodica, visto che una certa percentuale di errore è da considerarsi di default e inevitabile e sono sempre meno i professionisti disposti ad esporsi a un rischio di “sicura” chiamata in giudizio.
 
Con buona pace della volontà di diagnostica precoce. E senza voler qui entrare nel merito del ben più complesso tema della sovradiagnosi.
 
Stefano Canitano
Vicesegretario Nazionale FASSID area SNR

06 luglio 2015
© Riproduzione riservata

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