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Infermieri. Ma cosa vogliamo fare da grandi?

di Chiara D'Angelo

08 LUG - Gentile Direttore,
le scrivo per condividere una mia riflessione, amara, conseguente a un post pubblicato nei giorni scorsi in un noto social media e riferibile ad uno dei tanti aspetti della “questione infermieristica”: la talvolta labile linea di confine che separa la gestione delle attività infermieristiche da quelle che invece competono ad altre figure professionali.
 
Un’infermiera che lavora in un  Servizio di endoscopia chiedeva l’opinione dei colleghi relativamente al fatto, a suo dire, che la coordinatrice del suo reparto con l’assenso ed appoggio della gran parte degli infermieri, avesse proposto e poi deciso di affidare alla figura dell’OSS, per il periodo estivo stante il ridotto personale infermieristico, l’esecuzione dell’urea breath test (test dell’espirato di facile esecuzione  usato per diagnosticare l’infezione nello stomaco causata dal batterio Helicobacter pylori) ed annesso intervento informativo/educativo.
 
Vorrei quindi stimolare una riflessione, rivolgendomi ai miei colleghi infermieri su quanto sia importante, fra le molte altre variabili, il riconoscimento di una nostra diretta parte di responsabilità, nella confusione che regna, al di là della meraviglia e del disappunto di fronte a notizie di giornale in cui gli infermieri sono Oss e viceversa, o di fronte alle iniziative legislative di qualche politico non proprio edotto in materia che propone di sostituire gli infermieri con gli Oss.
 
Non mi risulta (e sarebbe davvero una notizia da prima pagina) che in tempo di ferie un Direttore di Servizio abbia mai chiesto né abbia intenzione di chiedere a un infermiere di sostituire un medico in corsia, o un fisioterapista o una dietista in ambulatorio… non infrequente invece, stanti le molteplici testimonianze che mi giungono da colleghi, il caso di Oss cui sia chiesto di svolgere attività dell’infermiere o infermieri cui sia chiesto di svolgere mansioni da Oss; situazioni che inducono ad una forma mentis dilagante secondo cui diventa lecito e normale pensare che Oss e infermieri siano figure facilmente equiparabili e all’occorrenza interscambiabili.
 
Ovvio che c’è una distorta percezione della professione e della professionalità. Ovvio che c’è un problema.
 
Certo un aiuto potrebbe venire da interventi sul versante del riconoscimento della competenza infermieristica nella prescrizione dei presidi, ad esempio, o la valorizzazione e il riconoscimento delle sperimentazioni operative quali i reparti a gestione infermieristica (per citare un altro tema molto controverso), che consentirebbero di dare maggiore evidenza della differenziazione delle professioni e delle figure professionali della sanità, anche agli occhi dell’utenza. Ma non solo di questo si tratta.
 
La  professione infermieristica sta lanciando da più parti segnali di sofferenza, per certi versi di disorientamento, e tutto fa supporre che ci sia un bisogno impellente di ri-definire l’infermiere e la sua opera (e la sua specificità) a partire dalla propria identità e dal profilo professionale per poi spaziare dalla formazione, all’organizzazione del lavoro, alle possibilità di carriera. Ma, per quanto ne penso io, ritengo che se non cominciamo dalla salvaguardia dell’esistente il percorso del nostro rinnovamento (che è sempre stato in salita) poggerà su un terreno franoso.
 
Credo ancora che dovremmo impegnarci per alimentare costantemente la volontà di crescita e per non frenare od ostacolare la nostra realizzazione, forti della consapevolezza del nostro ruolo e della nostra collocazione nel complesso sistema della sanità, come professionisti della salute e, in quanto tali, non sostituibili all’occorrenza con altre figure con la nonchalance cui spesso assistiamo attoniti.
 
Una volta in più quindi diventa inevitabile prendere coscienza che la questione non è una banale spartizione di compiti, ma l’organizzazione di una rete interprofessionale che sappia dare risposte adeguate su più fronti: il primo quello del servizio di assistenza cui il cittadino ha diritto e che dev’essere garantito, sia qualitativamente che quantitativamente, il secondo quello dei rapporti fra le professioni e le figure sanitarie, in chiave di coordinamento ed interazione; il terzo quello dell’equilibrio dell’assetto aziendale, per essere estremamente sintetici.

Dunque si fa necessaria innanzitutto una nuova idea organizzativa, un nuovo modello, cui deve conseguire una nuova e diversa consapevolezza delle figure interessate, che non può prescindere da adeguati percorsi formativi ai diversi livelli.
 
Su questo tema la Federazione Nazionale IPASVI ha reso pubblica una bozza di proposta proprio in questi giorni. Si tratta di un intreccio di formazione, livelli di approfondimento e livelli di ampliamento delle competenze articolati su due direttrici, lungo le quali gli infermieri dovrebbero potersi muovere. E’ auspicabile che su questo progetto ciascuno effettui una riflessione, un’analisi attenta per comprenderne contenuti, obiettivi e possibili insidie e criticità.
 
In questo processo nessuno può ritenersi fuori causa, gli infermieri in primis essendo, lo dicono i fatti, la professione che più risente ed ha risentito della mancanza di questa strategia organizzativa, vedendo continuamente mortificata la propria professionalità nell’esercizio quotidiano (nonostante da un punto di vista teorico questa dovesse essere esaltata dall’istituzione del Profilo Professionale, DM 739/94, e dalla Legge 42/99) e incontrando ogni sorta di impedimento ai tentativi di dare ad essa il giusto riconoscimento anche per attività che normalmente vengono svolte dagli infermieri, ogni giorno.
 
Purtroppo questo convincimento, deve affondare le radici dentro noi stessi, e certamente non ci può venire solo da provvedimenti e leggi seppur migliorative. Quindi invito ancora una volta i colleghi e riflettere su cosa vogliamo fare da grandi e su quale sia l’eredità che vogliamo lasciare alle future generazioni di infermieri. L’infermieristica di domani dipende anche da ciò che seminiamo oggi, ognuno di noi nel proprio piccolo, nessuno escluso… quindi la responsabilità grava sulla coscienza professionale di tutti e non solo di istituzioni e organismi di rappresentanza, come spesso ci viene più facile pensare o credere (o volere).
 
Per tutte queste ragioni, ancora una volta, tornano d’attualità i vari temi trattati nel libro “Il riformatore e l’infermiere – il dovere del dissenso”, (pubblicato nella collana “Medicina e società” di Quotidiano Sanità Edizioni e quanto possano essere utili, mettendo da parte orgogli, egoismi, desideri di protagonismo personali, privilegiando invece il bene comune e l’onestà intellettuale, le numerose proposte inanellate nel libro: ridefinire il ruolo dell’infermiere e quindi la sua opera, ripensare la deontologia (a cominciare dalla modifica dell’art. 49 del nostro Codice Deontologico,  inno alla compensazione e radicamento all’aspetto più esecutivo/manuale/mansionistico del nostro agire più che a quello intellettuale), la necessità di organizzare gli Stati Generali degli infermieri con il coinvolgimento di tutte le espressioni della professione,… solo per citarne alcuni.
 
Mi piacerebbe che gli Infermieri acquisissero quella compattezza, quella coerenza e quella solidità che permetterebbero finalmente a una grande professione di far sentire il proprio grande peso, di esercitare con autorevolezza il proprio ruolo e la propria dignità, professionale e contrattuale. Compattezza, coerenza e solidità vengono da dentro, dalla propria natura (ancor prima che da terzi): abbiamo in mano le nostre sorti. Ricordiamocelo, anche in periodo di ferie.
 
dott. ssa Chiara D’Angelo
Infermiera

08 luglio 2015
© Riproduzione riservata

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