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Difficile operare risparmi senza investimenti in sanità digitale

di Paolo Colli Franzone

29 LUG - Gentile direttore,
non si può certo dire che l’intervista rilasciata a Repubblica da parte del Commissario alla revisione della spesa Yoram Gutgeld sia passata inosservata. Tutt’altro. Dove in quel “tutt’altro” ci sta soprattutto l’equivoco generato da un titolo probabilmente qualche ottava sopra le righe del tono e delle parole effettivamente attribuibili al Commissario, con relativi strascichi di commenti sulla stampa e sui social network in una domenica abbondantemente calda già per conto suo.

Sullo sfondo, rimane l’alone di incertezza: questi 10 miliardi, saranno tagliati o no? E soprattutto: che destinazione avranno, le risorse eventualmente recuperate grazie ad operazioni di razionalizzazione della spesa sanitaria? Rimarranno in sanità, o finiranno nel calderone dei fondi da mettere a copertura di operazioni sulla fiscalità generale?
Ed è qui, che cominciano i problemi.

Che il SSN possa razionalizzare la sua spesa sino a 10 miliardi, lo dicono tutti. A partire dal Ministro per la Salute, la quale dice che si può fare persino di più e di meglio. Quello che si tende a dimenticare, però, è che stiamo parlando di un servizio sanitario nazionale che inevitabilmente va incontro a un incremento piuttosto considerevole di domanda di salute da parte di una popolazione sempre più anziana ed acciaccata. Stiamo parlando (e lo dice l’OCSE) di un SSN la cui spesa per abitante è al di sotto della media dei grandi Paesi europei. Stiamo parlando, infine, di un SSN che ha bisogno di investimenti. Ed è qui, che i problemi diventano seri.

Perché noi possiamo raccontarcela fin quanto ci pare, ma combattere l’eccesso di medicina difensiva e l’inappropriatezza delle prestazioni significa approntare un campo di battaglia dove non possiamo arrivare con la baionetta di caporettiana memoria. Salvo, per l’appunto, fare la fine dei battaglioni alpini decimati sull’Isonzo. E gli ingredienti, gli “armamenti”, sono fondamentalmente due: tempo (non tantissimo, ma neppure lo spazio di un week-end) e tecnologia.

Come ci insegna l’esperienza nei Paesi che sono riusciti a contrastarla, la medicina difensiva (la quale si porta in pancia una certa generosità di prescrizioni diagnostiche e specialistiche) si riduce allorquando il medico viene messo in condizione di sufficiente tranquillità rispetto a possibili problemi legali. Questo significa che un qualsiasi medico deve potersi relazionare con un qualsiasi paziente avendo accesso alla sua storia clinica completa e deve poter applicare linee guida solidamente basate su evidenze scientifiche potendo quindi prendere decisioni appropriate mettendosi al riparo da eventuali conseguenze legali sproporzionate al contesto.

Perché se proprio vogliamo dircela tutta fino in fondo, ammesso che sia vera l’affermazione in base alla quale qualche medico “ha la ricetta facile”, è altrettanto molto vero che qualche studio legale ha la “causa per malasanità troppo facile”. A metterci una toppa, nel 2012, fu l’allora ministro Balduzzi con la legge 189 (art. 3): " L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve.”

Rimane ovviamente a carico del professionista sanitario l’onere – piuttosto complicato – di dimostrare di essersi attenuto a non meglio identificate e codificate “linee guida e buone pratiche”, quando invece si potrebbe molto più semplicemente riconoscere ufficialmente (e adottare capillarmente) un sistema di evidence based medicine da mettere a disposizione dei medici come “accessorio obbligato” all’interno dei loro software di cartella clinica (e di order entry nei contesti ospedalieri).

A dire al medico tutto sulla storia clinica del paziente dovrebbe pensarci l’ormai mitico fascicolo sanitario elettronico, una volta che sarà effettivamente disponibile in tutte le Regioni italiane. E siamo arrivati “a bomba”: informazioni disponibili in tempo reale, sistemi informativi che si parlano uno con l’altro, processi di diagnosi terapia e cura interamente digitalizzati.

Hai voglia di minacciare penalizzazioni retributive, quando il medico si gioca la sua fedina penale in un mercato dopato da studi legali che pubblicizzano tutela in giudizio per malasanità in cambio di remunerazione a success fee. Hai voglia di riprendere il medico che prescrive una risonanza a Tizio perché non è in grado di avere a video un quadro clinico preciso e aggiornato. E così via.

La sostanza non cambia più di tanto neppure nel secondo filone individuato dall’emendamento sanità: quello relativo all’acquisto di beni e servizi. La rinegoziazione dei contratti in essere (1,3 miliardi nel 2015 e 1,6 nel 2016) non la si fa a quantità e qualità di prestazioni garantite ai cittadini e/o a quantità e qualità di beni e servizi acquistati, se non attraverso un completo ridisegno dei processi di erogazione dei servizi. E non basta un decreto, e non bastano pochi mesi.

Perché hai voglia di farti fare lo sconto sulla ormai celeberrima siringa di Reggio Calabria: “star dentro ai benchmark” e ai costi standard significa adottare processi altrettando standard. Il tema non è quanto costa una siringa, quanto piuttosto quanto costa una prestazione, più o meno complessa che sia.

Domande destinate a rimanere senza risposte e/o risposte che arrivano con 3 anni di ritardo: perché stiamo parlando di un SSN i cui sistemi informativi amministrativo-contabili – non si sa perché – fanno tantissima fatica a estrarre i dati a partire dai quali le Regioni e lo Stato dovrebbero prendere delle decisioni. Con buona pace dell’attuazione del Decreto 118-2011 (armonizzazione dei sistemi amministrativo-contabili, Gestione Sanitaria Accentrata, bilanci consolidati a livello regionale).
E ancora una volta, siamo tornati a bomba: questa benedetta digitalizzazione della sanità. Tema complesso di cui si discuterà a Roma, dal 10 al 12 settembre, in occasione del primo Forum Sanità Digitale. Il paradosso è che in assenza dei necessari investimenti sarà persino difficile punire i “birichini”, in assenza (o in forte ritardo strutturale) di flussi informativi decenti.
Se è vero (come è assolutamente vero) che Palazzo Chigi, MEF e Ministero Salute si stanno muovendo in perfetta armonia, introducendo elementi fortemente prescrittivi nell’attuazione del Patto per la Salute, allora siamo sulla strada giusta. Mancano gli investimenti in innovazione.
 
Paolo Colli Franzone
Direttore Scientifico Forum Sanità Digitale 

29 luglio 2015
© Riproduzione riservata

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