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I tagli alla sanità sono ormai inevitabili. Ma almeno si usino i costi standard

di Andrea Tramarin

26 AGO - Gentile direttore,
mi riferisco alla recente cronaca agostana: il Premier promette il taglio dell’IMU e dell’IRAP; il commissario alla spending review,Yoram Gutgeld e l'ex commissario Cottarelli, rilanciano su possibili tagli alla sanità; il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, commenta il taglio alla sanità di 2,35 miliardi, presente nel decreto Enti locali, sostenendo che sono risparmi e che tutto è stato concordato con le Regioni con l’unica eccezione del Veneto (a proposito bravo Zaia e bravo Coletto).

Ora, senza entrare nel merito della polemica sulla differenza tra tagli o risparmi, intriga l’idea sul come sia possibile ridurre le tasse senza chiedere altri sacrifici alla sanità. Dunque, il paese sta uscendo (forse) dalla crisi e c’è bisogno di un rilancio dell’economia. Dove può il governo trovare le risorse? La sanità, assieme alle pensioni,costituisce il capitolo di spesa più importante (grossolanamente più del 40% della spesa pubblica). Dire quindi che la sanità sia il bancomat del governo non è un’iperbole o una metafora, è la realtà.

L’equilibrio di ogni amministrazione è fondato su tre pilastri: la diminuzione della spesa, l’aumento dell’efficienza del sistema, l’aumento delle entrate (ticket e tasse in genere).

Per quanto concerne i tagli bisogna innanzitutto quantificarne l’entità. Negli ultimi anni, tra Monti, Tremonti e spending review ci sono stati 31 miliardi di tagli alla sanità. Se il fondo sanitario è pari all’incirca a circa 100 miliardi, allora, con molta approssimazione, possiamo dire che c'è stato un taglio del dieci per cento/anno.

Va poi rimarcato che non si taglia solo per recuperare risorse. Si taglia infatti anche in maniera preventiva. La spesa sanitaria aumenta, infatti, continuamente per effetto del combinato disposto di una serie di fattori come l’aumento della sopravvivenza, l’introduzione di nuove tecnologie, di norma sempre più costose e, purtroppo, aumenta sempre con una dinamica superiore al PIL.

Gli effetti dei tagli sono diversi. Paradossalmente ci può essere anche un effetto positivo. Tagliando si crea una sorta di una pressione selettiva, darwiniana quasi, che elimina i processi inefficienti. Gli effetti negativi sono ovviamente maggiori. Negli ultimi anni, ad esempio, si è tagliato in beni e servizi, si sono bloccati i contratti e le assunzioni. In ultima analisi, tutto ciò si è tradotto in meno manutenzione, meno investimenti in tecnologia, meno ricerca e formazione, assenza di ricambio generazionale del personale sanitario.

Per far sì che i tagli siano efficaci, devono essere definitivi. E’ per questo motivo che si tagliano i posti letto. Come dire, si elimina il problema alla radice. Basti pensare che, tra il 2011 e il 2012, sono stati tagliati più di 9.000 posti letto.

Il numero di posti letto è quell’indicatore che, più di altri, consente distinguere la differenza tra sistemi sanitari universalistici e sistemi sanitari mutualistici. Basta confrontare, ad esempio, la nostra dotazione di posti letto (3,5/1000 abitanti) con quella del Giappone (14/1000 abitanti) o quella della Germania,dell’Austria e della Francia (rispettivamente di 8,2/1000, 7,6/1000, 6,4/1000).La domanda che ci si potrebbe porre è la seguente: sono questi paesi nei quali esiste una diffusa cultura dello spreco e dell’inappropriatezza? Non si direbbe.

Per quanto concerne l’aumento di efficienza (leggi appropriatezza) vale la pena fare qualche piccola precisazione. Un economista americano, William Baumol, ha dimostrato, con dovizia di formule e di calcoli, che non è possibile aumentare l’efficienza delle attività a produttività stagnante come, per l’appunto, la sanità. Si possono organizzare i servizi di laboratorio o la diagnostica per immagini come una filiera industriale, si possono contingentare i tempi delle visite specialistiche ma non si può accorciare la durata di un intervento chirurgico o la raccolta di una buona anamnesi. L’esempio e la metafora usati per spiegare il teorema di Baumolè il tempo di esecuzione di un quartetto di Mozart che richiede, oggi, lo stesso tempo e lo stesso numero di musicisti di duecento anni fa. Ciò pertanto equivale a dire che in sanità non si può tagliare all’infinito.
A questo punto, considerato che il debito pubblico invece di scendere sale, il ragionamento ci porta in un vicolo cieco: si può solo tagliare! Ecco la conclusione e chissà ancora per quanto tempo. Del resto, non sta succedendo proprio questo? Non siamo forse, da anni, in un clima di spending review permanente?

E’ giusto naturalmente esaminare anche la possibilità di aumentare il finanziamento del SSN. In questo caso, considerato l’effetto degli attuali ticket, si può solo pensare a un aumento dei fondi integrativi e delle casse e società di mutuo soccorso. Esistono altre possibilità?
Ebbene, l’estate è la stagione ideale per gli acchiappa nuvole e ci piace vagheggiare una possibile riforma del SSN. D’altra parte,nella stagione delle riforme, tutto dovrebbe andare d’accordo con tutto. Perché riformare solo la scuola,la pubblica amministrazione e il senato? E allora, con la fantasia, ci viene in mente un SSN ideale nel quale il principio di autotutela sia importante quanto quello di tutela; un SSN con una copertura universalistica delle prestazioni che non pesi sul bilancio dello Stato; un SSN con la separazione tra chi finanzia e chi eroga i servizi e una competizione amministrata che aumenta la qualità dell’assistenza; un sistema privo di intasamenti nei pronto soccorso e di liste d’attesa. Esiste mai un tale SSN? Forse sì. Per discuterne bisogna però uscire dalla gabbia ideologica nella quale si trova la sanità, bisogna attraversare le sabbie mobili della retorica dell’appropriatezza.

Il percorso della diagnosi, in medicina, avviene per approssimazioni successive e comporta sempre un avanzo, un residuo. Lo vogliamo chiamare spreco? L’appropriatezza è la pagliuzza nell’occhio del vicino perché a sprecare sono sempre gli altri. Quando la cura riguarda un congiunto, un parente, un amico si vuole il meglio, si pretende sempre il massimo. Ecco, in fondo, cosa si vorrebbe: un SSN privo di questa cultura della salute sparagnina e taccagna. Certo, se qualcuno volesse dare una definizione pratica di cosa sia veramente l’appropriatezza, gliene saremmo grati. A noi pare che tagliare prestazioni a priori sia in fondo come introdurre una carta annonaria.

Nuvole passeggere. Altre ne arriveranno. E nel frattempo? Nel frattempo perché non si riesumano i vecchi costi standard? Che almeno, quando si taglia, si sappia dove si trova il grasso, dove finisce il muscolo e dove comincia l’osso…

Andrea Tramarin
Medico ed economista sanitario

26 agosto 2015
© Riproduzione riservata

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