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Dpcm precari. Molti dubbi, poche certezze

di Vittorio Palmieri

07 OTT - Gentile Direttore,
nell'era della richiamata necessità dell'appropriatezza prescrittiva, la fase applicativa del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri recante norme relative alla "stabilizzazione" del personale del settore sanitario sta portando alla luce femomeni e contesti che sollecitano riflessioni sul tema dell'appropriatezza organizzativa nelle strutture sanitarie, nonché sul tema dell'imputabilità dei costi dell'inappropriatezza organizzativa.
 
Proprio QS, il 23 aprile del 2015, riportava la notizia della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dpmc recante norme relative alla "stabilizzazione" di personale nel settore sanitario, ed esaustivamente informava sui requisiti specifici che tale personale doveva possedere per essere oggetto della norma; tra questi, vorrei evidenziare una parte del testo del Dpcm a mio giudizio molto importante : "(...) personale che alla data del 30 ottobre 2013 abbia maturato negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio, anche non continuativo, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, anche presso enti del medesimo ambito regionale diversi da quello che indice la procedura." (cit. art. 2, comma 2, DPCM 06 marzo 2015, G.U. Serie Generale , n. 94 del 23 aprile 2015).
 
Per quanto tutto appaia "logico" e "chiaro", l'applicazione del Dpmc sta sollevando una questione di fondo, e cioé la seguente: come vengono inquadrati in base al Dpcm "stabilizzazione" in questione, i colleghi medici e chirurghi che hanno assicurato servizi essenziali ospedalieri (turni di guardia e di reperibilità, attività complesse anche H24, attività di terapia intensiva e via discorrendo), e che tuttavia erano titolari di contratti atipici che a monte non avrebbero dovuto prevedere la subordinazione, ad esempio i CO.CO.PRO., o che non avrebbero dovuto prevedere la loro presenza in contesto ospedaliero, ad esempio gli specialisti ambulatoriali?
 
E' ragionevole che gli Enti si orientino per la prevalenza della "forma" sulla "sostanza", pertando escludendo a priori dalla stabilizzazione le forme contrattuali atipiche che non potevano configurare un rapporto di lavoro subordinato, o che non dovevano prevedere il servizio in ospedale?
 
Rientra nello spirito del Dpcm in questione, il fatto che in fase applicativa dello stesso, vi siano colleghi che scoprono di essere stati
"abusivamente" titolari di un'attività assistenziale che non era dovuta, proprio tramite gli Enti che fino ad oggi hanno beneficiato del loro lavoro, e che li ritengono a questo punto non in diritto di stabilizzazione per effetto del testo del Decreto citato sopra?
 
Più in generale, è oramai ineluttabile la necessità di affrontare il tema dell'appropriatezza organizzativa, e di quali forme contrattuali siano
ammissibili in sanità, onde scongiurare in futuro storture come quelle che stiamo vedendo oggi, con costi dell'inappropriatezza organizzativa imputati a chi non ha fatto scelte evidentemente errate, dioé il dottore che aveva come finalità quella di curare e la collettività che ha richiesto e beneficiato a lungo delle cure anche di quei dottori con contratti "atipici" con vizio formale a monte.

Dr. Vittorio Palmieri
Dirigente Medico di Cardiologia -AORN "SG Moscati" - Avellino


07 ottobre 2015
© Riproduzione riservata

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