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Responsabilità professionale. Come rendere sostenibile l’assicurazione per tutte le strutture sanitarie

di Nino Savelli e Alberto Tita

10 DIC - Gentile Direttore,
per Giulio Andreotti esistevano due categorie di matti. Quelli che si credevano Napoleone e quelli che volevano far funzionare le ferrovie in Italia. Poi, però, qualcuno è riuscito davvero a far funzionare le ferrovie... Noi, con assai minore ambizione, senza pretendere di far funzionare tutta l'assicurazione della responsabilità sanitaria, qui vorremmo solo offrire un contribuito per riportarla ad agibilità. Riuscendo, se possibile, anche a non passare per quelli che si credono Napoleone.

Il ddl Gelli e l'assicurazione della r. c. sanitaria
Il punto - per l'assiduo lettore di questa testata - prosegue il discorso avviato nelle precedenti lettere al Direttore del 7 e 26 novembre scorso, rispettivamente. In breve: il ddl Gelli è nel giusto a puntare sulla sostenibilità della responsabilità sanitaria. Tuttavia, per la parte svolta dall'assicurazione a favore della sostenibilità, il ddl deve rivolgere maggiore attenzione al mercato assicurativo. Infatti rischia di essere un'arma spuntata quella che il ddl Gelli adotta, ossia l'obbligo assicurativo di tutti - strutture sanitarie e medici professionisti - senza accertarsi preventivamente della ampliata recettività del mercato assicurativo. Che finora ha dato luogo all'esodo delle compagnie nazionali e, in generale, delle majors.

Va peraltro osservato che, nella sua attuale formulazione, il ddl Gelli prevede già un ruolo "di sostegno" al mercato, in capo all'assicuratrice pubblica Consap. Questa dovrebbe garantire sia chi non ottiene le polizze, sia le eccedenze dei massimali assicurati dal mercato, sia le polizze emesse da compagnie insolventi (fondo di garanzia). Indiscrezioni, raccolte intanto sul mercato, quantificano in circa 20 milioni di euro lo stanziamento che il legislatore dovrebbe prevedere quale dotazione di Consap per assolvere tale compito. Ricordiamo per inciso che il mercato med-mal (assicurato) ha un ordine di grandezza di mezzo miliardo di euro di premi, mentre esso evidenzia sinistri (tra liquidati e riservati) per un circa miliardo e quattrocento milioni (dati ANIA 2015, già richiamati nei nostri interventi precedenti). Risulta dunque un rapporto Sinistri/Premi (Loss Ratio) assai negativo - oltre il 130% - cui gli assicuratori non hanno voglia di esporsi sistematicamente.

Per parte nostra abbiamo allora lanciato l'idea di predisporre una vera e propria copertura di riassicurazione pubblica ad arginare l'incontrollata esposizione degli assicuratori - sottoscrittori di prima istanza delle polizze med-mal - e che ne ha determinato finora l'esodo dal ramo. Questa copertura riassicurativa dovrebbe porre un tetto alle esposizioni delle compagnie assicurative, rendendo certo il perimetro del loro rischio e favorendo così il “ripopolamento” del mercato. Ciò vale a dire che il contribuente deve ripianare il disavanzo? Magari reimpiegando proprio quella differenza tra lo stanziamento prima promesso alla Conferenza Stato-Regioni di 111 miliardi e i 110 poi concessi dal Governo...

Non esattamente. Vediamo come può essere strutturato (e quanto dimensionato) questo fondo di riassicurazione atto a ripristinare la piena agibilità del ramo assicurativo med-mal e - con essa, riteniamo - della responsabilità medica. Facendo prima una ricognizione di ordine empirico.

La attuale esposizione pubblica alla r. c. sanitaria
Prima di superare infatti le possibili obiezioni ad una proposta di "salvataggio pubblico" del mercato, mettiamo in chiaro alcuni fattori del problema, che già impegnano la spesa pubblica. Lo si sappia, o meno.
Ricordiamo intanto il fenomeno della autoassicurazione (anche detta in termini più eleganti Self Insurance Retention - SIR) che si è sviluppato tra le aziende ospedaliere e le Regioni dopo fenomeni di crisi (e successiva insolvenza) di compagnie assicurative specializzate nel settore peculiare della r. c. sanitaria e del contemporaneo innalzamento dei prezzi delle coperture assicurative avvenuto negli stessi anni (2008-2012). Tali aumenti tariffari sono risultati conseguenti ad anni di rilevantissimi perdite tecniche, come evidenziato nelle statistiche elaborate appositamente da ANIA e da IVASS. Questi evidenziano rapporti Sinistri/Premi anche superiori al 130/140% (quando invece in condizioni di equilibrio tecnico dovrebbero attestarsi intorno al 75%-85% circa, a seconda dei casi) ed a livelli di risarcimento delle lesioni alla persona riconosciuti in sede giurisdizionale sempre più elevati rispetto a quanto riconosciuto in precedenza e difficilmente considerabili nella costruzione tariffaria (che ricordiamo avviene ex ante).

La soluzione della autoassicurazione, alla stessa stregua della copertura assicurativa, richiede - come condizione necessaria, ma non sufficiente, per una equilibrata gestione del rischio - un livello di conoscenza di natura statistica del fenomeno. Sia (per brevità) sul fenomeno della contabilizzazione dei sinistri, che su quello della corretta evoluzione del costo dei singoli sinistri, soprattutto in presenza di danni gravi. Sul primo punto, assume grande rilevanza non solo la corretta apertura dei sinistri denunciati, ma soprattutto la valutazione dei c.d. sinistri tardivi, quei sinistri cioè che sono già avvenuti nell’anno di considerazione ma che non sono stati ancora denunciati alle strutture sanitarie. Essi vanno stimati principalmente sulla base della loro incidenza sulla esposizione al rischio registrata negli anni passati. Sul secondo punto, della stima della corretta evoluzione del costo del singolo sinistro, si ricordi come la stima del suo importo - che molto spesso deve essere accantonato in una apposita riserva tecnica nel passivo del bilancio (denominata riserva sinistri) - risente spesso di aumenti significativi nel suo sviluppo prospettico. Anch’esso appositamente da considerare ex-ante, mediante tecniche valutative di liquidazione del danno a livello individuale, nonché con l’aiuto di tecniche statistico-attuariali a livello collettivo.
 
Tutto questo al fine di supportare sapientemente il principio della competenza nei bilanci tecnici, anziché quello, un po’ semplicistico, della cassa. Ecco, proprio sul punto che le strutture ospedaliere abbiano acquisito una cultura tecnica sui fenomeni che abbiamo descritto sinteticamente in precedenza, nutriamo qualche perplessità. Francamente un lavoro di questo tipo non si improvvisa in poco tempo. Fermo restando che le strutture di risk management sanitario, che negli ultimi anni si sono sviluppate copiose nel settore, sono un segnale salutare nell’indirizzare verso una conoscenza non passiva del rischio sottostante.
 

Ma da cittadini, prima ancora che da studiosi, riteniamo pericoloso tale indirizzo gestionale di assunzione diretta e quasi esclusiva del rischio sottostante, probabilmente incoraggiata da una apparente convenienza rispetto al costo delle coperture assicurative, generata a sua volta da una miope visione prospettica di evoluzione, sia del numero, che del costo dei sinistri. Quello che ci chiediamo è se il settore che ha praticato tali scelte abbia la piena consapevolezza (anche quantitativa, sia chiaro) del rischio che sta sopportando senza che questo si scarichi poi in anni futuri sulle casse delle Regioni, ossia dello Stato. Per essere ancora più chiari: siamo sicuri che le strutture pubbliche non stiano inserendo, loro malgrado, una bomba ad orologeria nei propri bilanci, con ripercussioni finanziarie difficilmente gestibili a livello di finanza pubblica nel prossimo futuro?

Conclusione: la spesa pubblica è già impegnata, magari in maniera oggi latente, sulla r. c. sanitaria. Per non parlare, a tedio del lettore, degli importi lasciati oggi scoperti dalle polizze per franchigie assai elevate. In sostanza, l'Erario è già attualmente coinvolto nel problema, se ne abbia consapevolezza o meno. Tanto vale ottimizzare l'intervento pubblico nel quadro di un sistema pensato e controllato.

Plafonare il rischio della r. c. sanitaria con la riassicurazione pubblica
E qui veniamo al punto che ci sta particolarmente a cuore in questa sede. Al fine di rendere gestibile il rischio med-mal nel nostro paese da parte delle strutture sanitarie e delle compagnie assicurative, secondo i ruoli e le regole del mercato che il legislatore riterrà più opportuni, l’introduzione di una copertura riassicurativa a livello pubblico potrebbe sapientemente limitare l’alea di responsabilità da parte degli assuntori del rischio (nonché la sua implicita volatilità). Portando, come detto in precedenza, un benefico utilizzo delle coperture assicurative, che a loro volta avrebbero un rischio meno volatile nonché, conseguentemente, meno severo sugli assorbimenti di capitale previsti a breve dalla normativa Solvency II. Quanto sopra, come ogni attività riassicurativa, avrebbe il fine di perseguire un equilibrio di medio-lungo periodo tra ricavi (premi) e costi (sinistri). Proprio per definire la sua funzione di mutualità assicurativa anche a livello temporale. In modo da limitare gli effetti negativi di anni particolarmente sfavorevoli sul singolo risk-taker, consentendone il riequilibrio economico in un orizzonte di ampio respiro.

Ciò avrebbe una contenuta esposizione sul riassicuratore pubblico, il quale potrebbe anzi mediamente anche ottenere nel medio periodo una remunerazione in qualità di assicuratore di ultima istanza. Incentivando l’assunzione di un rischio così delicato e rilevante da parte di una pluralità di soggetti (debitamente vigilati, nonché caratterizzati da adeguate strutture tecniche di valutazione del rischio e da idonei livelli di capitalizzazione) con evidenti ricadute positive anche sulla competitività del mercato.

Le modalità tecniche con cui attuare tale forma riassicurativa potrebbero essere fondamentalmente due: quella del Quota Share (QS) o quella dello Stop Loss (SL). Nella riassicurazione QS, come noto, vige il principio della responsabilità proporzionale al costo sinistri nella stessa misura dei premi ceduti al riassicuratore. Invece nella forma SL il riassicuratore interviene solo per la parte del costo sinistri complessivo che eccede una predeterminata soglia, solitamente espressa in funzione del rapporto Sinistri/Premi (Loss Ratio).

La seconda soluzione ci sembra quella maggiormente adatta per le finalità di una riassicurazione di tipo “pubblica”, laddove una soglia minima di intervento potrebbe essere posta intorno al 120% di Loss Ratio (come e quanto dimensionato, ecco la risposta al quesito che ponevamo). Proprio per consentire il suo intervento in casi eccezionali, legati a fenomeni particolarmente sfavorevoli. Non va da ultimo sottovalutato che un pricing per una tale soglia estrema sarà agevolato sotto il profilo tecnico dalla conoscenza dei dati di tutto il mercato, con particolare riferimento alla caratteristica di tali fenomeni estremi, sia in termini di frequenza sinistri, che di costo medio complessivo, da cui deriverebbe un rischio molto contenuto per il riassicuratore pubblico.

Quali sono le ricadute benefiche di questo stanziamento di diverso ordine di grandezza (rispetto ai 20 milioni ora ipotizzati per il fondo di garanzia presso Consap)? Intanto, come s'è detto, dare certezza del rischio alle compagnie assicurative, con l'effetto di ripopolare la esigua fauna nel ramo med-mal. E una sanità assicurata non solo "per decreto", ma da un mercato efficace, fatto di capacità, qualità ed affidabilità, è già una ottimizzazione importante. Che é il primo, vero obiettivo.

Inoltre l'Erario guadagnerebbe, riducendo la c.d. autoassicurazione (in realtà, autentica ritenzione del rischio) degli enti sanitari ad opera delle Regioni. Anche la diminuzione delle franchigie (oggi di 500mila euro e anche oltre) riporterebbe sotto controllo una vasta area di rischio, già oggi in una zona grigia a carico della fiscalità generale. Inoltre la riassicurazione pubblica potrebbe fare da leva al mercato riassicurativo che pare attualmente rimettersi in moto, approntando ulteriore capacità per gli assicuratori di prima istanza.

Infine tutti questi fattori concorrono alla conoscenza e misurazione del rischio sanitario, laddove il riassicuratore pubblico componga, prezzandola, una mappa esaustiva del rischio med-mal. Un primo effetto positivo sarebbe sulla riduzione della medicina difensiva, preventiva ed omissiva. Con il conseguente contenimento dello spreco, che ci riporta all'obiettivo principale. Vale a dire, l'efficienza e piena funzionalità del sistema sanitario tout-court. Pertanto tutte queste economie vanno a compensare lo stanziamento sulla riassicurazione pubblica, superiore a quello per un mero fondo di garanzia, riducendo l'esposizione netta complessiva dell'Erario.

Naturalmente queste azioni valgono a riportare a sostenibilità i numeri della responsabilità sanitaria e della sua assicurazione (in breve: il mercato), una volta che le regole tengano. Ossia che le altre disposizioni del ddl Gelli e le norme ad esso collegate (le tavole risarcitorie, su tutte, nel ddl concorrenza) siano approvate con i limiti già segnalati, ossia che circoscrivono la quantificazione al danno biologico. Perché in campo assicurativo, più che in altri, mercato e regole vanno di pari passo.
 
Nino Savelli 
Ordinario di Teoria del Rischio, Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative, Università Cattolica, Milano

Alberto Tita
Of counsel, studio legale Taurini-Hazan, Milano, già docente a contratto, facoltà Giurisprudenza, Università Cattolica, Milano

10 dicembre 2015
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