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Patologie mentali e imputabilità di un cittadino

di Franco Vatrini

11 DIC - Gentile Direttore,
dalla fine degli anni '90, quattro sono state le Commissioni parlamentari che hanno avuto l'incarico di predisporre un testo completo di riforma del Codice Penale. Furono chiamate di volta in volta "Pagliaro", "Grosso", "Nordio"e "Pisapia" dal nome del loro presidente e furono composte da professori universitari ordinari di diritto penale, avvocati, giudici di vari Tribunali, procuratori e sostituti procuratori della Repubblica, nonché da presidenti di sezione della Corte Suprema di Cassazione.
 
Malauguratamente però diventarono delle "Commissioni ornamentali" perché quando giungevano vicino alla meta del voto parlamentare presentando sia una relazione che un articolato: cadeva il governo di turno che, mesi prima, aveva puntato su di loro per una " non più dilazionabile riforma del C.P."
 
Un tornaconto, tuttavia ci fu in quanto la Commissione successiva faceva tesoro del lavoro di quella precedente. Dichiarandolo con onestà intellettuale, e giungendo quindi con la "Commissione Pisapia" a un testo giudicato efficace dagli addetti ai lavori. Categoria a cui non appartengo pur convinto di essere in grado di capire quanto i componenti delle quattro commissioni hanno proposto riguardo l' imputabilità o meno di un cittadino che vive nella nostra Repubblica. Il fatto è che da molti anni la malattia mentale è presente e combattuta nella mia famiglia. Senza vergogna alcuna. Quindi so di che cosa sto parlando, pur entro limiti non troppo ampi di sapere.
 
Nella relazione Grosso del 15 luglio 1999 sta scritto che "Negli anni '80, è stata avanzata la proposta di abolire la non imputabilità degli infermi di mente, con l'intento di riconoscere più pienamente la loro pari dignità, nello spirito della riforma avviata dalla legge 180/78. Anche quella proposta, peraltro, recupera momenti di rilevanza dell'infermità quale criterio di differenziazione nell'esecuzione della pena, che per l'infermo si vuole abbia un contenuto spiccatamente terapeutico. La proposta di affermare in via generale l'imputabilità dell'infermo di mente si rivela una scelta astrattamente ideologica".
 
Scelta "astrattamente ideologica" che proveniva dai sostenitori dell'antipsichiatria (con le sue variazioni su tema) che tanto male ha causato ai familiari (colpevolizzati oltre ogni dire) negli anni '70 e '80. Purtroppo, anziché prendere atto del loro grave errore, alcuni di quelli che avevano predicato a sproposito che "la malattia mentale è un mito"sono rimasti "in sonno" per parecchi anni per poi tornare alla ribalta quando il problema degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari è stato finalmente affrontato a livello di Governo con un decreto del 2008. Persone che uscite dal "sonno", si sono fatte accogliere, trovando pure estimatori, in associazioni e comitati più che rispettabili. Riproponendo, ben presto, il tema dell'abolizione della non imputabilità, e insistendo per ottenere la soppressione dell'ancora vigente articolo n.88 del Codice Penale del 1930. Che per loro rappresenta un non più sopportabile retaggio dell'Italia in camicia nera. Al pari della sempre citata pericolosità sociale intesa nel Codice Rocco come mera possibilità e a prescindere. Condizione, che tuttavia è stata cancellata dal C.P. quasi trent'anni fa con la legge “Gozzini”. Non altrettanto dalla mente di non poche persone.
 
“Psichiatria alternativa” in rimonta quindi; tanto che una più che benemerita associazione nazionale che si dedica alla salute mentale ha pensato bene di modificare il proprio statuto scrivendo tra le proprie scelte programmatiche : "la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, anche attraverso la necessaria revisione degli articoli del Codice Penale e del Codice di Procedura Penale concernenti l’imputabilità..." con " il riconoscimento della responsabilità delle persone con disturbo mentale autrici di reato, attraverso un giusto processo...". Come si fa, mi chiedo?
 
Sicuramente, se i cinque OPG maschili italiani non fossero stati dei luoghi infami: il loro superamento non sarebbe partito da sottozero e appesantito da una quantità industriale di stigma: bensì dall'esistente in conformità, soprattutto, a quanto da anni già avviene sul nostro territorio per accogliere, curare, riabilitare e recuperare cittadini con uguale disabilità psichica, ma non rei. Realizzando residenze composte da nuclei indipendenti con non più di venti posti ciascuno.

Possibilità, invece, che si sta materializzando nell'area del sesto ex-opg: quello lombardo di Castiglione delle Stiviere. Accoglieva uomini e donne, e non era infame, tanto che uno dei due relatori della Commissione di inchiesta “Marino” interpellato al riguardo scrisse, nero su bianco: “mi sento di rispondere che il caso di Castiglione delle Stiviere, più che un ospedale psichiatrico giudiziario, è un vero e proprio esempio sanitario”. Era il maggio 2011. Da sempre, il personale dipendeva dall'Azienda Ospedaliera “Carlo Poma” di Mantova e le guardie penitenziarie si limitavano ad accompagnare in località Ghisiola (su disposizione del magistrato) i malati autori di reato. Affidandoli agli oltre 130 sanitari in servizio, per poi tornarsene in caserma. Lontano.
 
L'articolo 88 del C.P. prevedeva e prevede che: "Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere".
 
Così, tanto per saperlo, l'articolo 46 del Codice Zanardelli del 1889 prevedeva che: “Non è punibile colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di infermità di mente da togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti”. Anni prima il Codice Penale Sardo stabiliva all'articolo 94 che :" non vi è reato se l‘ imputato trovasi in istato di assoluta imbecillità, di pazzia o di morboso furore quando commise l'azione, ovvero se vi fu tratto da una forza alla quale non poté resistere".

Resta però il fatto che finivano tutti in un manicomio criminale, elevato dal 1975 al rango di Ospedale (Psichiatrico Giudiziario) con una impropria sostituzione della targa all'ingresso. Tre anni dopo, nel 1978, la riforma si è limitata ad occuparsi dei manicomi provinciali, escludendo implicitamente/esplicitamente quelli forensi. Purtroppo.
 
Rimanendo, così, i malati autori di reato, senza sbocchi e senza speranza fino a una sentenza (la numero 253/2003) della Corte Costituzionale sulla "illegittimità costituzionale dell'articolo 222 del codice penale (Ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario), nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale"....." Un sistema che rispondesse ad una sola di queste finalità (e così a quella dell'infermo "pericoloso"),e non all'altra, non potrebbe ritenersi costituzionalmente ammissibile".
 
L'articolo 88 del C.P. è indubbiamente modificabile, ma tenendo lo sguardo rivolto alla proposta, rimasta tale, della Commissione di studio ”Pisapia” che non dovette subire un percorso zigzagante simile a quello patito dalla più recente legge 81/2014 (basta verificarne il percorso prima in Commissione e poi in Aula).
 
Articolo 21 predisposto dai 32 componenti della Commissione di studio del 2006 
(Imputabilità)

1. Prevedere che:
a) non sia imputabile chi non abbia la capacità di intendere o di volere;
b) non sia punibile chi abbia commesso un fatto previsto dalla legge come reato, se nel
momento in cui lo ha commesso non era imputabile;
c) la capacità di intendere o di volere sia esclusa quando l'agente non sia stato in grado di
comprendere il significato del fatto o comunque di agire secondo tale capacità di valutazione;
d) siano considerate cause di esclusione dell'imputabilità: l'infermità, i gravi disturbi della
personalità, la cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, se rilevanti rispetto al fatto commesso;
e) sia esclusa ogni presunzione di imputabilità, definendo i limiti in cui l'incapace di intendere o di volere per ubriachezza o stupefazione risponda per il fatto commesso per l'essersi posto colpevolmente nelle condizioni predette;
f) nei casi in cui l'agente non abbia la capacità di intendere o di volere sia applicata una
misura di cura e di controllo;
g) le misure di cura e di controllo siano applicate tenendo conto della necessità della cura; che la loro durata non possa superare quella della pena che si applicherebbe all'agente
imputabile;
h) la durata massima della misura di cura e di controllo determinata dal giudice non possa
comunque superare il limite massimo di durata della pena edittale prevista per il reato
contestato;
i) l'esecuzione della misura di cura e di controllo venga interrotta quando non risulti più
necessaria a fini riabilitativi.

2. Prevedere per i non imputabili le seguenti misure di cura e di controllo, eventualmente
applicabili in via alternativa o graduata:
a) ricovero in strutture terapeutiche protette o in strutture con finalità di disintossicazione;
b) ricovero in comunità terapeutiche;
c) libertà vigilata associata a trattamento terapeutico;
d) obbligo di presentazione, eventualmente associata a trattamento terapeutico;
e) affidamento a servizi socio-sanitari;
f) svolgimento di una attività lavorativa o di una attività in favore della collettività.

3. Prevedere che il giudice possa sempre disporre una misura:
a) meno restrittiva conforme al buon andamento del percorso riabilitativo;
b) più restrittiva in caso di violazione delle prescrizioni.

4. Prevedere che le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applichino quando l'agente si sia messo in condizioni di incapacità di intendere o di volere al fine di commettere il reato o di predisporsi una scusa.

5. Prevedere che non sia imputabile chi abbia commesso il fatto senza aver ancora compiuto gli anni quattordici, ovvero, avendoli compiuti ma non avendo ancora raggiunto i diciotto, non sia stato in grado, per immaturità, di comprendere il significato del fatto o comunque di agire secondo tale capacità di valutazione.

6. Prevedere per i minorenni imputabili che abbiano compiuto gli anni sedici la diminuzione della pena di un terzo e per i minorenni imputabili che non abbiano compiuto i 16 anni la diminuzione della pena da un terzo alla metà."
 
"Intorno agli anni 70 del secolo scorso si è proposto un altro indirizzo, quello sociologico, per il quale la malattia mentale è disturbo psicologico avente origine sociale, non più attribuibile ad una causa individuale di natura organica o psicologica, ma a relazioni inadeguate nell'ambiente in cui il soggetto vive; esso nega la natura fisiologica dell'infermità e pone in discussione anche la sua natura psicologica ed i principi della psichiatria classica, proponendo, in sostanza, un concetto di infermità di mente come "malattia sociale". Dal nucleo di tale indirizzo si sono quindi sviluppati orientamenti scientifici che rifiutano l'esistenza della malattia mentale come fenomeno organico o psicopatologico (la c.d. "antipsichiatria, o "psichiatria alternativa"). Questo sta scritto al punto 7.3 della sentenza di 19 pagine della Corte di Cassazione Penale Sez. Unite n.9163/2005 – 8 marzo 2005: che ha esteso anche ai disturbi della personalità la possibilità di provocare l'incapacità di intendere o di volere di una persona. E' una sentenza fondamentale che tratta della non punibilità in maniera esauriente.
 
Altro che agitarsi sugli "effetti perversi della logica del doppio binario, che separa il destino del “reo folle” dal "reo sano” o dal “reo affetto da altre malattie". Mi auguro che si è agitato o si agita in buonafede, giungerà a valutare meglio questo slogan ideologico, lanciato dagli irriducibili della cosiddetta psichiatria alternativa, che pretende l'imputabilità dal malato. Irriducibili che dovrebbero rileggersi almeno i titoli degli articoli 33 e 34 della riforma psichiatrica del 1978 oggi in vigore (leggi 180/833). E' forse stata una scelta perversa l'aver legiferato distinguendo le " Norme per gli accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori"art.33, dalle norme sugli “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori per malattia mentale"art.34?
 
Il testo della commissione di studio “Pisapia”, in premessa dichiara che: "Nel corso della discussione è stato ampiamente condiviso il concetto per cui l'imputabilità è la capacità di colpevolezza e, quindi, è presupposto per la rimproverabilità di un determinato comportamento: capacità di comprendere il significato del proprio comportamento illecito non significa, però, coscienza dell'antigiuridicità del fatto, valutata alla stregua della norma incriminatrice, ma più semplicemente comprensione del suo significato offensivo, nella sua dimensione fattuale concreta. Tale considerazione ha portato la Commissione a condividere la scelta del progetto Grosso (nell'ultima versione) che fa riferimento “alla capacità di comprendere il significato del fatto”.
 
Portare il testo degli articoli 21 (e 22) della Commissione di studio in Parlamento, per farli discutere e votare, potrebbe rappresentare un lodevole impegno politico.
 
Franco Vatrini
(Familiare-Brescia) 


11 dicembre 2015
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