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Il senso della professione infermieristica. Ecco perché Manzoni sbaglia

di Marcella Gostinelli

17 DIC - Gentile Direttore,
ho letto sul suo giornale l’articolo del Dottor Manzoni: ”L’infermiere oggi. Il senso della nostra professione”. Il pensiero contenuto in quell’articolo, a mio avviso, perde subito una parte del suo valore se, oltre a leggerlo ed apprezzarlo, cogliendone il senso, si ha interesse a constatare che manca di significato reale. Per quanto mi riguarda non mi basta più leggere un pensiero che abbia un senso, quello che mi interessa è il valore logico, di realtà di ciò che si afferma con esso. La lettura del pensiero di Manzoni senza dubbio attrae, anche per il sentimento che esso suscita in noi, ma, onestamente, nelle questioni di lavoro e in questo momento politico, storico-culturale-professionale preferisco rinunciare all’aspetto gioioso, artistico e trasformare la poesia in una ricerca di realtà.
 
Come infermieri, quindi come professionisti che soffrono in questo momento enormi frustrazioni, siamo alla ricerca di ciò che ci permette di andare oltre il senso per trovare concretezza e adeguatezza nell’essere infermieri oggi nei contesti di cura. Abbiamo bisogno di trovare il significato vero, reale della nostra scelta professionale, il significato della nostra identità professionale; siamo alla ricerca della verità che ci permetta di dire “siamo infermieri per davvero”. Qual è il valore di verità del suo pensiero, mi sono chiesta? In quali ospedali il Dott. Manzoni è stato in visita? A quale infermiere si riferisce nella realtà di oggi? In quale giornale ha letto che “l’agire” infermieristico è un agire intellettuale? In quale trasmissione televisiva ha sentito parlare un Infermiere a causa e per merito del suo agire? In quale regione d’Italia l’infermiere viene impiegato o ha facoltà di impiegarsi con il mandato di risollevare la dignità dell’uomo vestito da malato?
 
Di quell’articolo non riesco poi a capire lo scopo, lo percepisco infatti come misterioso. Se lo scopo è quello di valorizzare la professione infermieristica, incoraggiandone i professionisti, è uno scopo senza significato perché gli infermieri hanno bisogno di altro. Se lo scopo è bilanciare l’ondata “maligna“, i cattivi pensieri sul demansionamento ed altro, confidando sul fatto che gli infermieri siano acritici e si limitino dunque a coglierne il senso,quel pensiero è comunque insufficiente perché la sofferenza è reale. Limitarsi a pensare che quello scritto è un bello scritto e quindi fermarsi al sentimentalismo, fa si che quel pensiero possa essere sufficiente è vero, ma a che e a chi serve? Rimanere convinti che per essere infermieri basti dichiararsi “accanto” al malato, ma poi di fatto non esserlo, non è rispettoso per i malati che chiedono altro (vedi XVIII Rapporto PiT Salute); non serve neanche ai quei dirigenti infermieristici che poco o nulla hanno pensato o proposto in termini di strategie di nuove forme di tutela, per esempio; non è sufficiente per quei pochi infermieri, inascoltati, che non trovano la parte in cui stare e che non possono nemmeno dichiarare di stare dalla parte del malato perché per stare da quella parte occorrerebbe che fossero altro da ciò che sono oggi.
 
Se lo scopo è semplicemente quello di ricordare la nostra vocazione antropologica ed il senso del nostro fare, il Suo pensiero va subito integrato con un pensiero strategico forte della nostra rappresentanza, che nasca da noi e che ci permetta di passare dall’agire al fare perché altrimenti è solo frustrante. Nell’agire, l’infermiere, oggi, non può fare gesti che aiutino a risollevare la dignità dell’uomo malato e neanche a far ripartire il mondo, neanche se lo vuole fortemente, non è pensato per quello. Per far ripartire il mondo, per accogliere l’umano serve occuparsi più della relazione che della tecnica e della clinica, serve avere la facoltà di scegliere e decidere, operare, di fare e non di agire, serve avere strategie politiche, scopi professionali propri e non di altri, serve un’altra università, altri dirigenti, altri modelli.
 
Lei Dottore, fa giustamente riferimento al momento difficile in cui l’uomo oggi vive e cosi l’uomo infermiere. Facendoci riferimento si sarà accorto che i cittadini sono passati da uno stato di diritto assoluto alla salute ad uno stato di diritto relativo alle risorse che hanno a disposizione, si sarà accorto che le disuguaglianze, intendo quelle nella salute, aumentano e con esse il bisogno sommerso e quindi aumentano le iniquità perché sono disuguaglianze evitabili. Si sarà accorto che i medici scioperano a ripetizione per farsi ascoltare, che Confindustria e Confcommercio hanno lanciato la loro proposta comune, la loro riforma che divide in due categorie le comunità: i poveri e i ricchi rispettivamente da assistere e non assistere. Si è accorto che noi infermieri non esistiamo per nessuno? Non abbiamo espresso un pensiero concreto, un’azione efficace di partecipazione al disagio. Non abbiamo fatto un “gesto di cura” collettivo, sociale, culturale politico per risollevare la nostra dignità professionale e quella dei malati. Eppure di idee e buoni pensieri ne abbiamo tanti , ma nessuno ce li chiede.

La prima cosa che faremmo, se ce ne dessero facoltà, sarebbe quella di garantire l’universalismo locale, coinvolgendo i comuni e la comunità, per produrre un epidemiologia del bisogno sommerso, canalizzarlo e risolverlo mediante Servizi di accoglienza di secondo livello capaci di interconnettere l’ospedale con la sua comunità, perché quando la propria piccola comunità è soddisfatta, perché conosciuta e servita, l’universalismo è garantito e con esso la dignità di tutti.
 
Dottor Manzoni “non se ne prende a male“, il suo articolo è bello e affascinante, ma se quello che lei dice è reale, stando cosi le cose, allora può darsi che io non sia mai stata una infermiera e con me forse molti altri.
 
Marcella Gostinelli
Infermiera 

17 dicembre 2015
© Riproduzione riservata

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