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Se i medici hanno paura di “perdere l’osso”

di Luca Sinibaldi

30 DIC - Gentile Direttore,
spiace vedere e dover sottolineare come il contesto medico in Italia soffra di paure spropositate (vedi la lettera dell'Intersindacale meica, A chi giova la “guerra” tra medici e infermieri?) rispetto al loro modo di concepire il rapporto di multidisciplinarietà all’interno delle equipe assistenziali, che impone una assoluta predominanza decisionale e gestionale del loro ruolo.
 
Necessità sproporzionata sia rispetto all’evidente fallimento di un modello fondato proprio su quella esclusiva titolarità sia rispetto agli esempi provenienti da altre esperienze sparse per il mondo. Spiace vedere come tutto questo si traduca in una “paura di perdere l’osso” che porta tutte le rappresentanze mediche ad arroccarsi su posizioni di estrema chiusura evocando persino il rischio di una cospirazione ordita da forze non ben precisate al fine di distruggere tutto il buono finora prodotto.
 
Lo snocciolino questo buono. Ci presentino i numeri della loro produttività, per esempio. Ci spieghino perché alcuni dati tutt’altro che poco rappresentativi indicano il numero dei medici italiani spropositato rispetto al numero degli infermieri. Ci spieghino perché in altri paesi con sistemi sanitari avanzati (non certo solo sulla carta come lo era il nostro) gli infermieri sul territorio godono di autonomia e risorsa umana che qui invece viene sistematicamente negata.
 
Ma, volendo superare la polemica innescata si, forse, da un condizionamento di parte (è ormai chiaro a tutti il continuo riferimento alla senatrice Silvestro e alla sua predisposizione a favorire a qualunque prezzo l’attuale esecutivo), chiederei alla Dottoressa Chersevani quale sia il suo pensiero rispetto ad esempi di gestione diretta del rapporto multidisciplinare che ora qui espongo, dai quali emerge non tanto il riporto polemico di assurde pretese quanto quella cultura di prepotente dominanza senza sconfiggere la quale ne cabine di regia ne commi 566 ne leggi di stabilità riusciranno a rendere il rapporto tra gli attori del settore sanitario italiano in grado di produrre un positivo sviluppo dell’assistenza.
 
Ho attraversato, nella mia regione (una di quelle considerate all’avanguardia nel settore pubblico sanitario) più di una ASL, più di una Unità Operativa, più di un Area. Attualmente lavoro in una delle medicine generali di un ospedale considerato ad alta specializzazione e da qualcuno un’eccellenza. Eppure… capita non raramente la mattina di trovarsi in 3 infermieri turnisti, 2 OSS e 2 infermiere giornaliere, con 30 posti letto e 24 pazienti completamente non autosufficienti. Problemi architettonici importanti (10 posti letto separati dai restanti 20 da corridoi di 30 mt.). Capita sempre (perché standardizzato dal piano delle attività) che anche in tale situazione i medici (mai meno di 4 seguiti da specializzandi e studenti) pretendano che le 2 infermiere giornaliere li seguano durante una visita, letto per letto…che non finisce mai.
 
Per cosa? Per garantire continuità assistenziale? Forse. Di certo…e lo hanno pure affermato, perché l’infermiera gli prenoti appuntamenti tramite fax interno, gli faccia telefonate ai vari servizi di diagnostica, annoti e risolva le comunicazioni da “erogare” al personale infermieristico turnista che non possono essere estese come prescrizione. Intanto…i nostri pazienti (che sono i nostri nonni, le nostre nonne…malati e soli in un letto di ospedale sempre meno stabile, visto che ogni giorno in questa U.O si dimettono e si ammetto dai 5 ai 7 pazienti) fanno colazione sul pannolone sporco, perché anche quelle 4 braccia “demansionate” delle infermiere giornaliere, vengono negate all’assistenza diretta per le necessità intellettuali della categoria che lei Presidente Chersevani, rappresenta.
 
Ora, con estrema franchezza…pensa che l’esempio attualissimo che le ho riportato sia un fatto così sporadico nelle realtà ospedaliere pubbliche e private italiane? E non sa quante volte è stata sollevata la questione alle riunioni di reparto, per almeno ottenere che le infermiere giornaliere vengano “liberate” in questi frangenti critici. Il risultato di tali richieste sa qual è stato? Che nella nostra Unità Operativa non vengono più svolte riunioni di reparto, che coinvolgano il personale medico ed infermieristico, da più di un anno.
 
Non è mio uso scrivere nel dettaglio (a mo’ di lamentela) situazioni specifiche qui su questa testata. Ma davanti a quel suo “basta coi giochi di parole” ho ritenuto necessario mettere in campo la realtà dei fatti, forse solo una parte. Ma finché la cultura relazionale tra le professioni sanitarie prevederà tali presupposte differenze  non credo saranno possibili accordi veri senza passare sulla testa di almeno 420.000 infermieri, stanchi di essere presi in giro!
 
Luca Sinibaldi
Infermiere di medicina generale (Pisa)

30 dicembre 2015
© Riproduzione riservata

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