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Baronie e nuove professioni sanitarie

di Giovanni Cavinato

14 MAR - Gentile direttore,
in riferimento al Ddl Lorenzin e al riordino delle Professioni sanitarie della riabilitazione, stiamo avendo la percezione chiara circa la presenza di schieramenti contrapposti.

Da una parte  le  Professioni sanitarie regolamentate (D.lgs n. 502, 30 dicembre 1992 e decreti dei Profili delle 8 Professioni sanitarie della riabilitazione del 1994) e dall'altra, gli osteopati, figure professionali non regolamentate.

Per chiarezza, partendo dagli osteopati, ricordiamo che non hanno inquadramento Universitario, non rientrano  nella programmazione regionale, non sono contemplati nei protocolli d'intesa con le Università nella regolamentazione dell'apporto alle attività assistenziali del Servizio Sanitario delle Facoltà di Medicina e Chirurgia.

Ricordiamo inoltre, che l’Istituzione universitaria, con le sue finalità didattiche e scientifiche, rappresenta il percorso istituzionale necessario e obbligato, se si vuole giungere alla definizione di una nuova disciplina sanitaria abilitante, nel rispetto delle discipline sanitarie esistenti e per la tutela della salute del cittadino (art. 32 della Costituzione).

Fatte queste brevi premesse, può sembrare che le conclusioni portino alla riproposizione di storiche e sterili polemiche, ma così non è. Responsabilità importanti vanno, a nostro modo di vedere, segnalate agli addetti ai lavori del mondo sanitario e della Formazione Universitaria.

Ci chiediamo:
- chi ha permesso che tali professionalità emergessero e proliferassero in modo incontrollato fino ad oggi? generando, così, lauti guadagni a privati che, consapevoli di formare personale senza abilitazione e incollocabile all'interno del nostro SSN, oggi pretendono un provvedimento di riqualificazione e riconoscimento "tout court"?

- Come si possono biasimare le Professioni della Riabilitazione nel non voler assistere a questo genere di sanatoria che vedrebbe da un giorno all'altro riconosciute e autorizzate siffatte professioni?

Il Ministero della Salute si è espresso nei confronti dell'osteopatia in un solo modo: “è attività sanitaria e come tale può essere esercitata solo da professionisti sanitari regolarmente abilitati tramite il superamento dell'esame di Stato.” (Risposta del MdS all'On. Binetti - interrogazione 5-01832 sul profilo professionale dell'osteopata).

Questo primo, seppur parziale e insufficiente, processo di riconoscimento, ci porta a porre ulteriori interrogativi, questa volta propositivi:

- Consapevoli del livello insufficiente che oggi identifica la formazione di base dei Corsi di Laurea  triennali, perché non inserire l'osteopatia, certificandola, all'interno di questi percorsi istituzionali di formazione, magari come Terapia Manuale? Ma non solo questa disciplina, ma anche tutte quelle discipline indispensabili al patrimonio culturale, professionale e tecnico del Riabilitatore: Valutazione e trattamento dei Trigger Point, Il dry needling, RPG, la Fascia terapia, la riabilitazione funzionale eco guidata … e tutte le specializzazioni che sirendono necessarie al professionista sanitario della riabilitazione nel panorama attuale della risposta al bisogno del paziente.
 
- Perché non portare i percorsi triennali di laura di 1° livello a cinque anni, a ciclo unico, integrando discipline ad oggi "non convenzionali" ma emergenti? Le stesse oggi in contrasto con le specificità professionali delle professioni sanitarie riconosciute ed esistenti?

- Per quale assurdo motivo non devono esserci percorsi di specializzazione successivi alla laurea di base all'interno degli stessi Atenei e proprio in quelle specializzazioni, di cui sopra, lasciate totalmente in appannaggio a privati e ai loro meri e individuali interessi?

Per meglio aiutare a riflettere e partendo dall’esperienza personale professionale sanitaria, di Fisioterapista e Osteopata, nonché di insegnante di colleghi con cui condivido studio, ricerca e lavoro, possiamo serenamente affermare che non esiste il "funzionale" scisso dall'organico o dalla patologia, infatti, chi può definire davvero il limite dell'intervento tra la disfunzione e la patologia organica?

Perché i processi che portano un sistema in "disfunzione" devono essere distinti dell'esito degli stessi in "patologia"? Quando invece si tratta del medesimo individuo e l'intervento sulla "disfunzione" deve essere inquadrato nell'azione, di prevenzione e cura, atta ad impedire che lo stesso determini lo status di "patologia conclamata"?

Per quale motivo si dovrebbero costituire professionalità, che trattano la disfunzione, da altre, che trattano la patologia, quando l'intervento nell'economia del trattamento sanitario, li dove è preventivo, comporta indubbi vantaggi per il SSN e per l'individuo medesimo?
 
Forse, abbattere una spesa sanitaria importante, crea un problema?
 
Va ricordato che l'Italia ha il triste e solitario primato di avere una associazione costituita dalle vittime dell'abusivismo in riabilitazione
(ANVAR), conta un numero cospicuo di casi, persone, nostri concittadini, danneggiati in modo permanente da sedicenti Riabilitatori.
 
Investire nella Riabilitazione e nella Fisioterapia  non è una "spesa" ma un "risparmio"! Risparmio sulla spesa farmaceutica, risparmio su molteplici interventi chirurgici, talvolta inutili! … ma forse è proprio questo "il problema", risparmiare li dove "qualcuno" ha interessi poco edificanti.
A nostro parere, Osteopati e Fisioterapisti non dovrebbero essere due professioni, ma un'unica professione, un valore aggiunto verso l'espressione di una sempre migliore risposta al bisogno di salute del paziente.

Infine, riteniamo opportuno fare delle considerazioni su il mondo medico e le Professioni sanitarie riabilitative. Si può, ad oggi, considerare ancora attendibile la lotta di immagine e competenze che i Medici stanno perseguendo per l'identificazione della loro centralità nei percorsi di cura?
 
Non mettiamo in discussione che il medico debba fare il medico, infatti, è colui che emette diagnosi, somministra e prescrive farmaci, esegue interventi chirurgici, che deve essere messo in condizione di lavorare a "mani libere" per esprimere appieno il suo ruolo verso la salute del cittadino.
Il medico però non deve diventare il burocrate inserito in ambiti non suoi, ambiti in cui l'evoluzione specialistica delle Professioni sanitarie ha raggiunto livelli massimi di autonomia.

Il medico non può identificare il suo ruolo nella prescrizione ed essere sminuito ed esposto al giudizio e critica in ambiti non suoi. Ad esempio: se escludiamo la prescrizione del farmaco, il cui principio attivo è rivolto al perseguimento della guarigione del paziente e in relazione alla patologia che il medico stesso ha diagnosticato, nella riabilitazione non ci sono principi attivi, ma le mani, la mente ed il ragionamento clinico del professionista sanitario, come possono essere prescritte?

Come si può pensare che le mani di un individuo, professionista sanitario, siano identificabili come un principio attivo? O peggio ancora intercambiabili e sovrapponibili a prescindere dal professionista?

E’ inevitabile pensare che ci debba essere una vera riforma al riguardo, poiché il medico ha si le competenze per indicare l'intervento riabilitativo, ma non di prescriverlo, addirittura indicandone le diverse fasi, aspetto che rientra, tra l'altro, nelle competenze e nelle responsabilità professionali del sanitario riabilitatore!
 
La centralità, in un percorso di cura, non è il medico a doverla detenere, ma il Paziente!
 
In conclusione, come professionista sanitario, Presidente del Registro Nazionale delle Professioni Sanitarie della Riabilitazione e cittadino Italiano, vorrei porre l'attenzione sul fatto incontrovertibile rappresentato dall'evoluzione, tecnica e formativa, che le professioni sanitarie hanno compiuto ed acquisito in questo ultimo decennio. Un aspetto che ha messo in crisi un sistema sanitario che fatica a sradicarsi dalla logica "baronale" delle professioni ausiliarie, un sistema sanitario che ha segnato soltanto sulla carta la sua evoluzione, ma rimasto nei fatti vecchio, obsoleto e non rispondente all'attuale bisogno di salute del cittadino. Non a caso, chi si deve curare, chi ha un problema serio di salute, è costretto, in tutto o in parte, a pagare in privato, perché è dal privato che ottiene la pronta, adeguata e appropriata risposta, anche li dove il "privato" spesso "alloggia" in seno al SSN!
 
Giovanni Cavinato
Fisioterapista e Osteopata
Presidente del RIR - Registro Nazionale delle Professioni Sanitarie della Riabilitazione

14 marzo 2016
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