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Non si possono trasformare le Rems in “mini OPG”

di Pietro Pellegrini

03 MAG - Gentile Direttore,
sono più volte intervenuto sulla questione della chiusura degli OPG e indicato i punti chiave per il funzionamento del nuovo sistema. Infatti, l'attuazione della legge 81/2014 richiede una transizione dal vecchio modello operativo e culturale ad uno nuovo che in larga parte va costruito nelle pratiche attraverso un nuovo punto di incontro tra giustizia e psichiatria. La fase è assai delicata e senza interventi l'intero processo è a grave rischio di fallimento.

Secondo la Relazione al Parlamento al 31 dicembre 2015 risultavano ancora in OPG 164 persone (159 maschi e 5 femmine); il 21 dicembre è stato chiuso l'OPG di Secondigliano mentre quello di Castiglione delle Stiviere è stato riconvertito in REMS (per 160 posti, in realtà ospitava 223 pazienti). Le REMS assicuravano nel complesso 455 posti (232 in quelle nuove e 223 in quelle di Castiglione). Dalla relazione si evince che il numero di posti in REMS a regime dovrebbe essere di 642 posti e pertanto mancherebbero teoricamente 187 posti. La relazione indica anche che 98 persone si trovano in stato di libertà perchè non sono stati reperiti posti in REMS. Ad oggi le persone in OPG sono circa 70.
 
Questi i dati e sul piano programmatorio appare assai difficile fare una previsione esatta del fabbisogno. Se utilizziamo il dato esperienziale del primo anno post-OPG (1 aprile 2015 - 31 marzo 2016) i casi inseriti nelle REMS della Regione Emilia Romagna complessivamente (compresi quindi quelli dimessi dall'OPG) sono stati 35, di cui 5 dalla Regione Toscana, (20 a Bologna e 15 a Casale) e 13 persone (7 a Bologna e 6 a Casale) sono state dimesse grazie alla collaborazione con i DSM di riferimento territoriale. Prima della riforma, dal 2002-2015 l'Ausl di Parma si è presa carico di 26 pazienti che erano in OPG. Facendo una media si tratta di 2 casi all'anno per 450 mila abitanti e in base ad una simulazione matematiche, si può pensare che la dotazione di posti REMS possa essere considerata sufficiente specie se si mantiene un buon turn-over.

Tuttavia due questioni molto rilevanti pongono seri punti interrogativi. La prima questione è metodologica e di approppriata applicazione della legge: l'impianto è assai delicato e complesso e basta che una delle componenti si collochi sulla difensiva per bloccare l'intero sistema. Lo stesso accade per il persistere di prassi che, a seguito del riconoscimento della pericolosità sociale, considerano quasi automatica la misura di sicurezza detentiva in REMS quando invece, per legge, dovrebbe essere una soluzione residuale e temporanea.
 
Vi è la necessità che magistrati e psichiatri vedano il sistema nel suo complesso (onde evitare liste di attesa e inutili minacce di perseguire gli psichiatri per omissioni di atti di ufficio QS 26 aprile 2016) ed occorre monitorare insieme l'intero processo secondo il principio della massima approppriatezza sanitaria e giuridica. In particolare degli accessi. In questo è fondamentale il ruolo dei periti psichiatri ancora troppo abituati a valutare imputabilità e pericolosità mentre spesso restano in secondo piano i bisogni di cura e la definizione di realistici programmi terapeutico-riabilitativi, da formulare di concerto con i dipartimenti di salute mentale tenendo conto che l'OPG non c'è più.
 
Chiare indicazioni pratiche possono correttamente orientare i magistrati nella definizione dei provvedimenti. Quanti pazienti ancora in REMS potrebbero essere dimessi? La risposta a questa domanda è preliminare ad ogni ipotesi di aumento dei posti in REMS. Tra parentesi, secondo una recente stima,la dimissibilità a breve è per le REMS dell'Emilia Romagna del 50% (cioè la metà degli ospiti può essere dimesso entro 3 mesi). Per questo è necessario uno sforzo congiunto di magistrati, UEPE, dipartimenti di salute mentale, comunità locali.
 
Non solo ma vi è il tema delle misure di sicurezza provvisorie applicate in REMS a soggetti che ancora non sono stati prosciolti per infermità mentale, un provvedimento assai discutibile sotto diversi profili e che andrebbe evitato. Va poi tenuto presente che certi utenti restano nella REMS a lungo termine e questo va considerato nella programmazione (dei posti e dei costi!) e deve essere oggetto di un lavoro (di psichiatri e magistrati) per facilitare al massimo le dimissioni. Le persone sottoposte a misure hanno bisogno di aiuto e di tutele anche legali). I soggetti in licenza finale esperimento vanno dimessi dalle REMS e affidati ai Dipartimenti di salute mentale.
 
La seconda questione è quella penitenziaria. E' a tutti noto che gli OPG erano collegati al sistema penitenziario e non a quello sanitario. Cultura, gestione, prassi consolidate si sono sviluppate e mantenute per molti anni. Questo non può continuare con le REMS. Occorre una profonda riforma della sanità negli istituti penitenziari ed in particolare della salute mentale. Vanno ridefiniti percorsi e trovate soluzioni innovative, reparti dedicati, servizi psichiatrici che possano correttamente rispondere ai bisogni di cura di una popolazione ampia, specie se si stima che circa un terzo dei detenuti sia affetto da dipendenza da sostanze o da disturbi mentali (preesistenti o insorti durante la detenzione art. 148 c.p.): una popolazione di circa 18 mila soggetti.
 
E' impensabile che parte anche limitata di questi possa trovare riposta nel sistema delle REMS. Non solo per ragioni quantitative (solo il 3% dei detenuti con disturbi mentali rappresenta circa 550 persone, l'intera dotazione dei posti REMS)ma anche per la tipologia qualitativa della risposta messa in campo: la REMS è una "Residenza" che può avere alte competenze terapeutico-riabilitative ma non si presta per quelle tipologie di utenti con elevati livelli di psicopatia (spesso dipendenti da sostanze) che frequentemente sono non responsivi alle terapie e richiedono alti livelli di custodia. L'osmosi fra sistema penitenziario e REMS deve essere limitata ad una percentuale assai ridotta di casi (0,1%) per i quali sia indicato un percorso terapeutico riabilitativo di tipo psichiatrico mentre per gli altri soggetti vanno pensati e sperimentati percorsi diversi.
 
L'invio in REMS di soggetti con alta psicopatia le mette fortemente in difficoltà, determina alti rischi di incidenti (aggressioni, allontanamenti indebiti che andrebbero rilevati e documentati) ed altera il clima riabilitativo della struttura. Le REMS non hanno competenza e capacità di custodia e di questo occorre prendere atto per non farle fallire. Non solo ma va prevenuto il rischio di un utilizzo delle REMS da parte della criminalità (fenomeno che già si era verificato in OPG).

Non si possono trasformare le REMS in mini OPG che, in questo caso, andrebbero chiuse al più presto. Nè possono diventare contenitori della cronicità sine die, come accade purtroppo a molte altre strutture residenziali. Le REMS non sono la risposta a tutti i bisogni e l'OPG è sostituito dall'insieme dei servizi sociali e sanitari della comunità dei quali fa parte il dipartimento di salute mentale. A questi occorre fare riferimento. Se per i sanitari le REMS sono residuali e temporanee (e per questo vanno gradualmente superate)con una funzione di cura, per la giustizia, se non cambia il modo di procedere, sono considerate il solo punto di riferimento al fine di reperire posti dove collocare le persone per la sola misura di sicurezza (come custodia) e quindi non in funzione della terapia.

Contraddizioni (cura/custodia, riduzione/espansione) che vanno esplicitate e risolte attraverso un rapporto e clima collaborativo se si vogliono programmare realisticamente i servizi (se non cambia il codice penale i soggetti rei prosciolti ci saranno ancora) e realizzare percorsi di cura e inclusione sociale dando applicazione alla legge. Attualmente ben altre prassi vanno instaurate per gli accessi: che il paziente arrivi con il DAP/polizia penitenziaria o in ambulanza non fa differenza ma invece la fa se prima dell'arrivo in REMS i sanitari conoscono la documentazione sanitaria, la persona, lavorano su consenso e motivazione e vedono con il servizio territoriale quali obiettivi raggiungere e quali prospettive e alleanze vanno costruite.
 
Spesso c'è tutto il tempo per fare queste cose perchè in diversi casi giunti dagli istituti penitenziari erano lì presenti da mesi. Invii al buio, senza conoscenze e documentazione, con la massima fretta sono assai pericolosi e metodologicamente inaccettabili! Se, come dicevo, nella costruzione dei percorsi innovativi occorre programmare e realizzare anche sperimentalmente servizi psichiatrici negli istituti penitenziari/collegati agli istituti penitenziari destinati a persone con disturbi mentale detenute o con misure di sicurezza detentive è il momento di farlo!
 
Facciamolo insieme. Non può cambiare solo una parte del sistema ma occorre una grande e coraggiosa riforma che cambi l'intero sistema e che vi sia una valida azione di governo e di indirizzo al fine di avere un coordinato sistema per salute mentale anche per le persone autrici di reato. Su questo punto un'azione della politica è essenziale. Anche per prevenire la carcerazione e sviluppare le misure alternative.

Il cambiamento va sostenuto con idee e mezzi e non lasciato alle sole responsabilità di psichiatri e magistrati che ogni giorno si applicano con il massimo impegno ad affrontare i singoli casi. Infine vanno portate avanti azioni contro lo stigma, le povertà e la segregazione istituzionale delle diversità.
 
Pietro Pellegrini
Direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale
Dipendenze Patologiche
Ausl di Parma 


03 maggio 2016
© Riproduzione riservata

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