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Rems e liste d’attesa. Se la misura detentiva è ancora oggi la prima risposta

di Franco Scarpa

09 MAG - Gentile direttore,
è trascorso più di un anno dalla definitiva, ed inderogabile, decisione di chiusura della porta di ingresso degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari: dopo un anno il deflusso delle persone, ancora presenti in tali ormai obsolete, e decadenti, strutture sembra giunto alla fine. Vi si trovano ancora, alla data del 15 aprile, 90 persone ma i dati evidenziati nelle statistiche delle presenze pubblicate dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria mostrano numeri ancora più ridotti poiché alcune persone ancora si sono ancora “mosse” verso le REMS.
 
Purtroppo ancora non si può essere soddisfatti poiché il processo non è ancora completato e la permanenza in OPG delle persone sottoposte a misura di sicurezza è stata dichiarata illegittima dai Magistrati di Sorveglianza in risposta ai reclami presentati. Questo vuol dire che la priorità di chiusura degli ex-OPG è divenuta ancor più elevata ed improcrastinabile.
 
Perché ancora tutto questo non si è risolto? Che cosa non funziona?
 
La preoccupazione, sicuramente condivisa, di molti operatori si è concentrata sul problema delle liste di attesa per entrare nelle REMS: molti interventi sono stati pubblicati su tale tema e tutti hanno messo a fuoco i punti critici che influenzano l’andamento del processo di chiusura e di allestimento del nuovo sistema.
 
Ma quello che stupisce è che nessuno si sia preoccupato con urgenza di portare a termine il processo di chiusura degli OPG e di dare un’adeguata collocazione alle persone ancora nelle strutture degli OPG: fatiscente e farraginoso era il sistema, nel momento in cui è intervenuta la Commissione del Senato, e fatiscente e farraginoso, se non di più, tale sistema è ancora.
 
Che ci sia una lista di attesa per entrare nelle REMS non sembra essere il problema maggiore considerando che, ad essere precisi, tale lista di attesa è costituita da quattro rivoli:
 
a)    i pazienti già in misura di sicurezza ed ancora negli ex OPG;
b)   i pazienti cui è stata applicata una misura di sicurezza e che attendono in libertà;
c)    i detenuti cui è applicata una misura di sicurezza ma che si trovano in attesa in Carcere;
d)   i pazienti in libertà vigilata o in Licenza Finale cui il Magistrato ha revocato il beneficio.
 
Se il criterio di priorità di ingresso è la pericolosità sociale quali di questi 4 gruppi rappresenta un pericolo maggiore per la società?
 
Se invece il criterio è rappresentato dall’esigenza di cura (difatti l’OPG viene chiuso perché incapace di erogare adeguate cure) dovremo adottare un criterio eminentemente medico e non certamente giudiziario?
 
La Legge 81/2014 si pone due obiettivi: non porre proroghe alla chiusura degli OPG, individuando nelle nuove Residenze per le misure di sicurezza il luogo più adeguato, e scoraggiare, se non addirittura impedire, l’ingresso di nuove misure di sicurezza.
 
Proprio questa necessità di creare un nuovo sistema di trattamento delle persone con disturbi mentali ed autori di reato in grado di (utilizzando gli stessi termini contenuti nella Legge 81) “far fronte alla pericolosità sociale” viene a mancare clamorosamente.
 
Questo processo manca o non sembra ancora essere sufficientemente entrato nelle prassi: per quanto i Servizi territoriali si siano piegati alla necessità di mettere in atto progetti terapeutici per farsi carico di pazienti autori di reato, non sembra che tali sforzi siano sufficienti a convincere il Magistrato, o anche i periti, a non applicare una misura detentiva.
 
La misura detentiva è definita “extrema ratio” ma essa appare ancora oggi la prima risposta attuata, salvo mostrare poi una successiva disponibilità ad individuare forme alternative.
 
A mio parere tale problema sussisterà fino a quando non si sarà sciolto il legame tra cura e controllo e non certo agendo per forza sul Codice Penale: ancora oggi persiste immutato il connubio infelice tra esigenza di cura, processo medico psichiatrico ed esigenza di controllo che ha a che fare prioritariamente con la richiesta di neutralizzazione della pericolosità sociale.
 
Il Codice Penale del 1930 lega fortemente i due fattori, infermità di mente e pericolosità sociale. La Legge 180/78 e 833/78 sciolgono il nodo eliminando il concetto di pericolosità connesso all’esigenza di cura.
 
La Legge Penale continua a tenerli insieme e da tale associazione provengono anche le affrettate ordinanze che attribuiscono allo Psichiatra le responsabilità per eventuali comportamenti dannosi, a sé o ad altrui, messi in essere dal paziente.
 
Per evitare che crescano i posti nelle REMS, operazione che può avere senso solo se adottate temporaneamente per accelerare le uscite dall’OPG, occorre che le valutazioni peritali dei Consulenti Tecnici del Giudice siano attente a considerare e valutare il rischio di violenza e dei disturbi comportamentali, che dipendano concretamente ed effettivamente dalla patologia in atto e che siano influenzati da interventi fattori di cura, dai comportamenti che invece sono frutto di scelte e modalità comportamentali non influenzate, se non in modesta parte, dal processo di malattia e quindi non dipendenti da un processo di cura. Occorre avere un corpo di Psichiatri Forensi preparati ad una nuova interpretazione del compito di perito, in grado di applicare gli strumenti più moderni per la valutazione e l’assessment dei rischio di comportamenti violenti e di Gestione di programmi di contenimento di tali rischi, in grado cioè di riferire al Giudice, consultandosi e confrontandosi con i Servizi del territorio titolari della cura, le soluzioni più idonee laddove la cura è preminente.
 
Laddove invece sia prioritaria invece l’esigenza di contenimento della pericolosità sociale, interpretata dal Magistrato in maniera coerente e aderente ai criteri dell’art. 133 del Codice Penale, occorre pensare a misure, di cui il Codice Penale comunque abbonda, che non siano le REMS, o strutture sanitarie, ma di contenimento cautelare. In una sintesi breve, è necessario  limitare all’essenziale il ricorso al ricovero per cure nelle REMS, laddove sostenuta da una criteri di Evidence dei risultati di cura, sciogliendo il legame ambiguo tra disturbo/cura e pericolosità/controllo contenuto nel Codice Penale e nelle prassi che nel tempo si sono affermate, senza un reale supporto di conoscenze e di evidenza,  esclusivamente per garantire un principio di “difesa sociale” valido nel 1930 ma non più adeguato alla modernità.
 
Dott Franco Scarpa
Psichiatra
Direttore UOC Salute in Carcere
USL Centro Toscana

09 maggio 2016
© Riproduzione riservata

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