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È ora di riconoscere il lavoro medico come ‘usurante’

di Teresa Papalia

01 SET - Gentile direttore,

mentre come medici siamo ogni giorno bombardati da una miriade di notizie sulla malasanità, nulla viene detto sul nostro lavoro e sulla nostra sicurezza.  Anzi sempre più spesso veniamo associati al “pubblico impiego” senza i necessari distinguo tra il nostro lavoro e quello di un amministrativo. Eppure queste differenze andrebbero fatte tra chi sta alla scrivania e chi invece lavora nei servizi di urgenza ed emergenza o fa le notti. La lettera che il Suo giornale ha pubblicato qualche giorno fa sul “personale sanitario over 50 e i rischi lavorativi” dei dottori Maria Ludovica Genna e Domenico Crea dell’Osservatorio Sanitario di Napoli ha bene  evidenziato ancora una volta gli effetti della Riforma Fornero nei nostri ospedali, dove il personale medico over 50 in servizio supera il 50% e gli effetti che questo tipo di lavoro comporta sul nostro organismo.
 
Ed è, a questo punto, a dir poco da irresponsabili chiedere a chi ha raggiunto i 63  anni gli stessi volumi prestazionali di chi ne ha 30. Eppure questo sta avvenendo. Secondo la famigerata riforma Fornero le uscite in sanità sono previste a 68 anni ovvero a 2 anni dai 70, cosa che 10-20 anni fa non si era mai vista. C’è da chiedersi come è possibile pretendere che una persona oltre i 60 anni, quando, come sottolinea una  pubblicazione del 2013  dell’Inail, le capacità di svolgere il lavoro e le proprie mansioni si modificano sensibilmente in seguito ai fisiologici invecchiamenti dei sistemi muscolari e scheletrici, cardiovascolari e della capacità visiva e di reazione, possa reggere una notte in terapia intensiva o in pronto soccorso, o gestire una notte interdivisionale saltando  da un reparto  all'altro per trattare  le complicanze notturne?

Quando si andava in pensione prima della riforma Fornero i medici ultrasessantenni erano pochissimi  e tra questi chi sceglieva di rimanere in servizio non veniva sottoposto a massacranti turni di guardia.  Oggi chi rimane, non potendo fare diversamente, ha l’obbligo di mantenere gli stessi ritmi e lo stesso numero di guardie dei pochi trentenni in servizio, specie nelle regioni in piano di rientro  che hanno bloccato il turnover. Da più parti, oggi a livello sindacale, arriva la richiesta di permettere a chi ha raggiunto certi limiti di età di uscire dal peso delle guardie notturne E questa richiesta, per i tempi che viviamo, viene vissuta dagli stessi medici quasi come una vergogna, rispetto a chi un lavoro non ce l’ha.

L’intersindacale Medica non può più esonerarsi dal dire la sua: è tempo che nella normativa europea dei riposi compensativi venga inserito anche il limite dei 60 anni per le notti e più in generale per il lavoro usurante in medicina ed è necessario  che questa clausola venga inserita anche nel prossimo contratto di lavoro. Urge assumere giovani medici per superare il gap generazionale che si è creato nelle varie Unità Operative, a causa degli scellerati piani di rientro ed è  necessario recuperare una sorta di formazione sul campo dei giovani medici, facendo tesoro dell’esperienza dei meno giovani. Inoltre se veramente si vuole creare quell’osmosi ospedale-territorio, di cui tutti si riempiono la bocca, bisognerebbe consentire a coloro che ne fanno richiesta la possibilità di concludere la carriera dedicandosi alla medicina specialistica ambulatoriale.

E’ necessario che l’intersindacale dei Medici insista per il riconoscimento del lavoro del medico quale lavoro usurante e che si batta perché venga previsto un prepensionamento volontario superati i 62 anni di età con modiche penalizzazioni previdenziali o il part time con la possibilità di assunzione di medici più giovani a tempo pieno.
 
Teresa Papalia
Ao Cosenza

01 settembre 2016
© Riproduzione riservata

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