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Il Fertility Day? Oltre le polemiche rimane un’operazione poco chiara

di Ornella Mancin

27 SET - Gentile direttore,
come donna e come medico nutro una certa perplessità nei confronti del Fertility day andato in onda in questi giorni, con tutte le polemiche che lo hanno accompagnato. A parte le evidenti stonature legate a un uso un po’ disinvolto delle immagini senza una doverosa attenzione, indispensabile quando si devono comunicare messaggi di questa natura, non appare chiaro il senso globale dell’operazione.

Qual è lo scopo di una giornata intitolata Fertility day?
In Italia il tasso di natalità è piuttosto basso, come in diversi altri Paesi occidentali. I dati ISTAT  indicano che nel 2015 le nascite sono state 488 mila (15 mila in meno rispetto all’anno precedente)  e il tasso di fecondità è sceso a 1,35 figli per donna , mentre l’età media  delle madri al parto sale a 31,6 anni.
Questo trend negativo non può non preoccupare, tanto che il Ministero della salute  ha istituito un “ Piano Nazionale per la Fertilità”  di cui il Fertility Day fa parte.

Ma il problema del decremento delle nascite è un problema solo sanitario?
Le donne in Italia desiderano un figlio sempre più tardi (in genere dopo i 30 anni)  e questo può sicuramente ridurre le possibilità di successo , ma le cause sono primariamente sociali: prima occorre  raggiungere una ragionevole sicurezza economica ( e questa si sa si raggiunge abbastanza avanti negli anni oggi nel nostro Paese), poi è necessario poter contare su una organizzazione familiare per la gestione dei figli (in mancanza di asili nido per esempio poter contare sui nonni) . A questo si aggiunge il bisogno di maturare  una scelta consapevole  che sia per le donne che per gli uomini  arriva dopo aver acquisito una certa maturità emotiva, dal momento che la procreazione è una scelta autonoma e non un obbligo sociale.

Se è vero come pare che vi sia un aumento del problema infertilità biologica femminile  e maschile, è sicuramente vero che la denatalità è in massima parte riconducibile a cause sociali e culturali.

Appare quindi evidente che il problema non può essere affrontato solo dal punto di vista sanitario , perché siamo di fronte a una questione che ha una valenza politica.

Ben venga una seria campagna di prevenzione dei fattori che possono compromettere la fertilità e quindi la promozione di stili di vita adeguati, ma questo senza  misure concrete a favore di iniziative di sostegno alla maternità (asili nido, permessi retribuiti, incentivi fiscali e quant’altro) apparirà pleonastico e controproducente.

Il desiderio di genitorialità è quanto di più intimo e personale ci sia ed è frutto di scelte responsabili individuali e di coppia  e non può essere banalmente tradotto in slogan tipo “La bellezza non ha età , la fertilità sì” o “Datti una mossa non aspettare la cicogna” tanto per citarne solo alcuni.

Quindi se è pur vero che il Fertility day ha, forse proprio a causa delle sue gaffe comunicative, riportato l’attenzione sul problema della denatalità  e maternità, come dice nel suo intervento di ieri la dr.ssa Antonia Carlino (QS 26 marzo) , è comunque necessario che ci sia uno sforzo collettivo da parte della politica di trovare possibili correttivi che non possono andare solo verso “generico” invito alla procreazione.

La classe medica, in particolare i medici  di famiglia che vivono spesso  il primo contatto con le coppie che intendono procreare, posso essere al fianco del Ministro della Salute  nella campagna per diffondere stili di vita adeguati per ridurre il rischio infertilità biologica, ma senza interventi  incisivi  dal punto di vista politico, rimarrà quella che si può definire una  infertilità sociale.
 
Ornella Mancin
Medico di famiglia
Cavarzere(VE)

27 settembre 2016
© Riproduzione riservata

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