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Riconosciamo l’Osteopatia, ma sacrifichiamo gli Osteopati

di Giusva Gregori

22 OTT - Gentile direttore,
durante l’Audizione alla Camera dei Deputati, Commissione Affari Sociali del 10 Ottobre scorso (CPO), l’Osteopatia è stata oggetto di profonda osservazione. Quello che è apparso è che l’Osteopatia sia posta di fronte al più grande sacrificio della sua Storia "tutta italiana”. 7000 Osteopati, 3000 Studenti in formazione, Direttori e Docenti di circa 30 Scuole di Osteopatia restano in silenzio o discutono sui social network, mentre la Politica e alcune Associazioni di Osteopati stanno operando per “riconoscere” un’altra cosa.
 
Gli Onorevoli presenti hanno pronunciato parole come queste:
- “non si capisce se gli Osteopati si rendano conto della profonda gamma di trasformazioni che saranno chieste loro”
- “il percorso sarà universitario e triennale”
- “oltre a chiedere di divenire Professione Sanitaria, avete anche chiesto di gestire l’Albo Professionale”
- “non ho mai visto in Italia una professione che passa da 0 a 1000”
- “passare da non riconoscimento ad Albo Professionale non è mai accaduto”
- “è troppo chiedere anche di sanare tutti quelli che praticano l’Osteopatia”
- “in effetti la Medicina soffre di medicocentresi”
- “forse però con gli Osteopati fino ad ora abbiamo sbagliato interlocutore”
 
Appare evidente come la procedura immaginata e portata avanti fino a qui per riconoscere l’Osteopatia come Professione Sanitaria, porterà molti Osteopati verso il sacrificio e pochi al nuovo business della gestione dell’Albo Professionale (“voluto fortemente” da chi?). Il CPO ha chiesto che, nel momento in cui in maniera antistorica e contrariamente a quanto definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, lo Stato Italiano (o chi per lui) intenderà definitivamente riconoscere l’Osteopatia, siano salvaguardati due punti fondamentali:
- La Formazione in Osteopatia, con i caratteri peculiari, olistici e di complementarietà del Profilo Professionale dell’Osteopata
- Il Pregresso già formato e in formazione in Scuole nazionali e internazionali qualificate che seguono le linee guida O.M.S. e le norme europee condivise.
 
Durante l’Audizione alla Camera dei Deputati, Commissione Affari Sociali del 19 Ottobre scorso (ROI), l’Osteopatia è stata oggetto di profonda confusione, tant’è che lo stesso Presidente della Commissione On. Mario Marazziti ha commentato come interessante il sostegno all’Art. 4 da parte del Registro, ricordando che non era quello il tema in discussione.

La Presidente del ROI, in questa audizione, definisce la formulazione delll’Art.4 come "piena tutela per il cittadino" in linea con i paesi europei per riconoscere l’osteopatia come professione autonoma, rifacendosi ai Benchmarks OMS 2010 e definendo l’Osteopatia come un "sistema di cura e prevenzione". Ricordiamo però che i Benchmark sono linee guida per la formazione e non per la professione (Benchmarks For Training In Osteopathy) ed al limite possono servire come riferimento per le autorità nazionali che desiderano istituire sistemi per la formazione, la verifica e l’abilitazione finalizzati a sostenere una pratica qualificata dell’Osteopatia.
 
La Presidente nel definire il profilo professionale dell’Osteopata sottolinea come “esclusivo e tipico” il termine disfunzione somatica, rifacendosi all’ICD 9 e ICD10. Esclusivo? Tipico? O meglio dire autoreferenziale? Nell’ICD si evince esattamente che il termine disfunzione somatica è utilizzato per tutto ciò che è: non allopathic lesions dove il termine “osteopatia" è utilizzato per definire problematiche ostoarticolari nei vari distretti corporei e non per indicare una professionalità. Il termine Osteopatia quindi è riconosciuto nell’ICD come professione o come malattia?
 
Se da un lato sostiene con forza l’Art.4, la Presidente, fa memoria che nel 2015 è stata approvata la norma CEN, riferita però “non cogente”, che qualifica l’Osteopatia come professione sanitaria autonoma per la quale sono previsti, come “minimo”, quattro anni di formazione incluse mille ore di tirocinio clinico supervisionato. Ma l’ART 4 non è contraddittorio alla norma CEN? Nell’ Art.4 si legge che per l’esercizio della professione sanitaria dell’osteopata è necessario il possesso della laurea abilitante o titolo equipollente e che è istituito (…), presso l’Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, l’albo per la professione sanitaria di osteopata. La norma CEN definisce quindi minimo quattro anni per acquisire le necessarie competenze professionali a tutela del paziente mentre l’Art.4 fa riferimento ad una classica laurea sanitaria triennale.
 
La Presidente definisce lo spazio occupato dall’Osteopatia "di fatto professione radicata in Italia", come uno "spazio non della medicina e né di nessuna delle professioni della riabilitazione, ma delle problematiche disfunzionali come perdita o riduzione di mobilità e dolore". Definita semplicemente così, ci chiediamo: questo spazio è davvero differente dal quello della medicina e della riabilitazione? Dov’è più la complementarietà a cui fa riferimento l’OMS?
 
Gli Onorevoli presenti hanno esplicitamente domandato se c’è un percorso formativo statale in essere e quali sono i confini della professione in piena autonomia e responsabilità senza supervisione del medico. La Presidente ha risposto che non esiste un percorso formativo codificato e statale "perché l’Osteopatia non è riconosciuta ancora come professione" (non era una professione ormai radicata in Italia?) e per questo "chiediamo il riconoscimento per definire le competenze in modo ufficiale sul modello della normativa europea CEN”, con "massima autonomia sulla gestione del paziente secondo le competenze osteopatiche, per le quali è prevista anche la diagnosi differenziale per competenze”.
 
Nell’Articolo 4 della proposta di legge in esame alla Camera è fatto esplicito riferimento all’Ordine Professionale e all’Albo degli Osteopati. Tale riferimento all’Albo, però, manca del tutto nell’Articolo 5 che si rivolge al riconoscimento della Chiropratica.

Perché il ROI, in qualità di associazione di categoria a tutela degli osteopati, ha sostenuto l’Art.4 senza sottolineare che questo non si cura di tutelare il pregresso e gli studenti in formazione, come invece in maniera chiara si è espresso il CPO? E’ più importante l’Albo o, nel caso di riconoscimento, la tutela di chi si è già formato o è in formazione? Rimandare a tempi futuri queste urgenze, significa rinunciarci, in nome di altro.
 
I punti per i quali il CPO ha richiesto la massima tutela è evidente che siano in conflitto con gli obiettivi del modello di riconoscimento previsto nell’Art.4:
- formazione esclusivamente universitaria (come possono improvvisamente Docenti Universitari, Medici o Fisioterapisti, descrivere, spiegare, trasmettere l’Osteopatia che si è sviluppata e perfezionata negli ultimi trent’anni fuori dalle Università?)
- triennale (la palpazione percettiva e l’applicazione del razionale Osteopatico prevedono metodo, applicazione e tempo cosi come descritto e condiviso nelle normative europee e OMS )
- sanitaria (ovvero tenuta a rispondere ai paradigmi lineari e allopatici che l’EBM richiede a tutte le Professioni Sanitarie, rischiando di snaturarsi e perdere i suoi profondi riferimenti filosofici, olistici e di promozione di salute)
- sanatoria (tema difficile perché il profilo professionale degli Osteopati che oggi operano in Italia non è direttamente sovrapponibile al profilo professionale di un Operatore Sanitario allopatico)
 
La gestione dell’Albo Professionale porterà degli innegabili vantaggi a chi intenderà proseguire a gestire con piccole manovre di potere e business la nuova professione (basta ricordare la quota di iscrizione obbligatoria), affacciandosi come nuovo attore nella “giungla” delle Professioni Sanitarie, ma non arrecherà nessun vantaggio diretto agli Osteopati.
 
Riassumendo: questa Proposta di Legge si avvia a riconoscere una Professione Sanitaria, con formazione Universitaria (non sono previste e non appaiono prevedibili forme di collaborazione con Scuole qualificate nel “know how” presenti sul territorio), Triennale (non è previsto nessun altro modello di formazione), Allopatica (non saranno garantiti il mantenimento della Filosofia dell’Osteopatia e i suoi riferimenti olistici, complementari e di promozione di salute), Teorica (chi ha frequentato una Scuola di Osteopatia sa bene quanto sia importante la parte pratica nella formazione dell’Osteopata, ma le Università non usano i lettini per fare lezione), Insegnata da Docenti Universitari (Medici e Fisioterapisti attivi in ambito universitario che potranno vantare al massimo un Master Biennale, ovvero probabilmente esperti di Tecniche e Protocolli, ma lontani dallo spirito originale dell’Osteopatia).

Ma gli Osteopati d'Italia vogliono veramente questo? Chiarezza, tutela o confusione?
 
Giusva Gregori D.O. 

22 ottobre 2016
© Riproduzione riservata

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