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Il referendum non ha nulla a che fare con la possibilità di curarsi bene e velocemente

di Mauro Valiani

02 DIC - Gentile direttore,
Una parte importante della campagna elettorale per il referendum costituzionale si gioca sul tema della salute e lo si fa in un modo che dire scorretto è poco. Lo slogan governativo è: ‘si toglie la sanita alle regioni e si riporta a livello nazionale’.
 
Dice la ministra Lorenzin: se passa il ‘sì’ i malati oncologici potranno accedere facilmente alle terapie; i cittadini con il diabete avranno velocemente a disposizione tutte le cure; si ridurranno, se non addirittura scompariranno, le liste di attesa, ecc. Ma non si possono illudere così le persone! Il referendum non ha nulla a che fare con la possibilità di curarsi bene e velocemente.
 
In particolare, per i medicinali rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale, all’interno dei quali rientrano i farmaci oncologici, esiste un processo di negoziazione dei prezzi che coinvolge l’AIFA e l’azienda titolare dell’Autorizzazione all’Immissione in Commercio. Gli acquisti diretti, da parte delle Regioni o Aziende sanitarie, sono effettuati con riferimento ai prezzi stabiliti a livello centrale, con ribassi minimi, imposti dal Ministero della Salute. Pertanto non ci sono autorizzazioni regionali e la riforma costituzionale proposta non c’entra niente. In generale, le disfunzioni dipendono dal fatto che il Servizio Sanitario ha anche una base regionale? La risposta è no.
 
Fin dal ‘48 fu introdotto il regionalismo in Costituzione. Ma prima del ’78 (legge 833) c’erano marcate differenze tra i territori che, per chi se le ricorda, comportavano enormi disparità tra categorie (le differenti mutue…) e territori. Poi, con la riforma della Costituzione del 2001, il centro sinistra si fece imbacuccare dal mito del federalismo e soprattutto è continuata una lenta e continua la messa in crisi del sistema sanitario universalistico con definanziamento, blocco del turn over, ecc. Prima della riforma del 2001, con l’art.127 del testo originario della costituzione, c’era comunque un migliore equilibrio tra centro e regioni.
 
Ogni legge approvata dal consiglio regionale veniva comunicata al commissario di governo, vistata entro poco tempo dalla comunicazione, quindi approvata salvo opposizione del governo, che nel caso la rimandava al consiglio regionale. Se rimaneva la divaricazione si andava alla Corte Costituzionale. La riforma Renzi-Boschi dice ora che le “disposizioni generali e comuni” sulla salute sono appannaggio del centro (nel testo della Costituzione attualmente vigente si parla invece di “principi generali”). Ma alle regioni, con la riforma proposta, rimangono comunque “la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali”.
 
La riformulazione dell’art.117 introduce, come ulteriore elemento preoccupante, la 'clausola di supremazia'. In questo modo l’esecutivo ha spazio per molteplici forzature: invocando l’interesse nazionale sarà possibile imporre politiche e progetti invisi agli enti locali e alle comunità chiamate a pagarne i costi economici, ambientali, sociali e sanitari. Inoltre, la totale discrezionalità del governo supera il “principio di leale collaborazione tra organi dello stato” e si mette in crisi l’art.5 della Costituzione, a proposito della bugia che le modifiche proposte non c’entrano con i principi contenuti nella prima parte!. In questo modo si butta insieme l’acqua sporca e il bambino. Viene tolto del potere alle Regioni, ma con esclusione di quelle a statuto speciale. Per questo avremo, se passa il ‘sì’, un paese ancora più diseguale.
 
Ci si difende dicendo: ma, tanto, c’è il nuovo senato. Ma questo può funzionare meglio dell’attuale Conferenza Stato Regioni? Direi di no. Perché lo stesso nuovo senato non può intervenire in tema di bilanci. È previsto anche che il centro può concedere più potere alle regioni, “se” si comportano bene… (deciso dal governo). Si prospetta così una generale sottomissione al potere centrale, in modo evidente per questo tema della sanità e ancor più per tanti altri settori come trasporto e distribuzione dell’energia, porti e aeroporti civili, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto, ambiente ed ecosistema, ecc. In sintesi, una riduzione della partecipazione e della democrazia. Sappiamo che il ministero della Sanità è oggi un ministero di serie B; chi decide è il Ministero dell’Economia e Renzi. La spesa sanitaria italiana è una delle più base in Europa.
 
Il Documento di Economia e Finanza prevede di ridurre nel periodo 2016-2019 la quota del Pil destinata alla spesa sanitaria dal 6,7% al 6,5%. Un livello, nettamente inferiore alla media europea, che l’Oms giudica rischioso per la tutela dei livelli essenziali di prestazione. Il governo, nel 2017, darà 113 miliardi alla sanità pubblica, dopo che si era impegnato con il Patto con le Regioni a darne 115 già nel 2016, cifra a cui ora conta di arrivare solo nel 2019.
 
L’art.120 della Costituzione attualmente vigente dà la possibilità, a un governo capace, di intervenire quando, in casi specifici, sia in discussione “la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali", prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”. Ma abbiamo invece esempi eclatanti di non capacità di gestire competenze e possibilità centrali, che pur ora ci sono. Due esempi tra i tanti:
– abbiamo avuto per la prima volta in Italia il numero chiuso nell’accesso ai farmaci nel caso dell’Epatite C; il governo di fronte ai costi stratosferici imposti dall’azienda farmaceutica si è rifiutato di ricorrere alla possibilità offerta dagli accordi internazionali sui brevetti e di autorizzare la produzione di farmaci generici per tutelare la salute dei propri concittadini
– non è stato realizzato alcun intervento verso quelle ASL nelle quali il diritto all’Interruzione Volontaria di Gravidanza non è tutelato a causa dell’altissima percentuale di medici obiettori.

Ma, allora, qual è la differenza rispetto alla situazione attuale, dove, con l’art.120, il governo già ha un ‘potere di sostituzione? Con questo si opera su provvedimenti specifici, lasciando per il resto la titolarità del potere a chi la detiene normalmente. Mentre la ‘clausola di supremazia’ consente al legislatore statale di espropriare il potere in sé, togliendo in via definitiva voce alle istituzioni di autonomia.

In definitiva, con questa riforma proposta, si può pensare davvero un miglioramento o un peggioramento del settore specifico della sanità? È veramente più probabile un peggioramento o al massimo rimarremmo con i concreti e gravi problemi che abbiamo oggi, che gli ultimi governi hanno saputo affrontare così malamente. Il miglioramento in sanità dipende dalle risorse a disposizione e da come queste vengono usate. Se si toglie autonomia e responsabilità e tutto è governato dal centro, si riduce la spinta al miglioramento, non la si incrementa. Certamente il Servizio Sanitario deve tendere a ‘pareggiare sul meglio’ e non a rafforzare 21 servizi sanitari di qualità differente. Ma i cittadini, con una estrema centralizzazione, non potrebbero che prendersela con il ministero; invece hanno diritto di provocare una ‘concorrenza virtuosa’ e a chieder conto a amministratori più vicini.
 
Abbiamo più speranza di miglioramento se si responsabilizzano coloro che sul territorio hanno il compito di fare le scelte. Intervenendo anche con i commissariamenti dal centro, certamente, in casi specifici di palese inadempienza. Le disparità non dipendono tanto dalla diversa legislazione quanto dalle condizioni ambientali e storiche. La cultura sanitaria conta molto; anche prima delle Regioni la sanità era migliore a Milano che a Palermo. Come dicono gli intellettuali, conta il testo, ma anche il contesto. Cioè: le leggi certamente contano, ma contano molto anche i caratteri concreti della società. Per le scuole, per i trasporti, non assistiamo forse, purtroppo, ad analoghe differenze tra sud e nord?

Mi domando ora: il presidente della Toscana Rossi e tanti dirigenti storici del PD, si sentono bene ad accodarsi a questa centralizzazione pasticciona? Non si ricordano che la Toscana è stata veramente per tanti anni all’avanguardia in questo settore? Quante volte abbiamo ripetuto che per i servizi sanitari, prima si faceva una cosa in Toscana e poi veniva esportata a livello nazionale! È veramente un bene che finiscano le specificità regionali? Vi convince la novella che lo stato centrale è sempre più efficiente e le regioni tutte e solo inefficienti?
 
La tendenza degli ultimi governi sulla sanità, compreso il governo Renzi, è: tagli e sanità integrativa, cioè le assicurazioni private, per chi può averle, che arricchiscono chi detiene il potere finanziario ed impoveriscono la ex classe media. Già oggi i cittadini pagano molto anche di tasca propria tante prestazioni sanitarie (circa un terzo della spesa sanitaria pubblica!). Sono 11 milioni gli italiani costretti alla rinuncia alle cure. Dunque sono le diseguaglianze che vanno eliminate, sono i ticket che vanno tolti, e il ricorso alle cure odontoiatriche private (che dovrebbero invece rientrare nei LEA). Il combinato disposto ‘riforma più questi concreti processi politici’ è veramente deleterio. Il ‘sì’ accelera questo movimento, il ‘NO’ è un freno. Pensiamoci.

 
Dr. Mauro Valiani
Ex direttore Dipartimento Prevenzione ASL 11, Empoli  

02 dicembre 2016
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