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Osteopati. La diagnosi resta inequivocabilmente al medico

di Luciano Doniaquio

05 DIC - Gentile direttore,
l'osteopatia è un fenomeno auto-regolamentatosi, essendovi un vuoto legislativo in materia, non dipendente dalla responsabilità degli osteopati. In qualche caso, tuttavia, la formazione nazionale degli osteopati si è riferita alle prassi europee accreditate, grazie a scuole che hanno scelto autonomamente di investire nell'internazionalità anziché puntare sul mero profitto, specie in considerazione della non disponibilità di finanziamenti pubblici.
 
Oggi risulta chiaro quanto la più parte degli osteopati ritenga vitale per la propria professione evolvere da una condizione di precarietà e dal rischio di abusivismo piuttosto che operare nelle pieghe della legge, utilizzando a volte diversi titoli di studio non compatibili per ruolo e funzioni con le proprie effettive competenze.  
 
E' vero: lo sviluppo della disciplina a seguito del successo di una prima generazione di operatori che hanno probabilmente colmato alcune lacune sanitarie ha successivamente indotto al proliferare di corsi non sempre adeguati a una formazione tracciabile e di qualità, con conseguente presenza di operatori non sufficientemente sicuri. Per tale ragione, gli osteopati per primi hanno richiesto l'intervento dello Stato al fine di disciplinare criteri pedagogici e di esercizio nell'accreditare una formazione univoca in riferimento a nuove norme. Un intervento che si configurerebbe come atto di responsabilità legislativa a tutela dei cittadini, come giustamente fatto notare anche dagli interventi di alcuni medici specialisti (cfr. intervento del dott. Nicola Manta).
 
Autorevole riferimento nel merito è rappresentato anche dalla Commissione Nazionale ECM che accredita per conto del Ministero della Salute alcuni corsi in medicina osteopatica nel programma di aggiornamento per medici e operatori sanitari. La norma ECM, infatti, integra le medicine complementari, tra cui l'osteopatia, nei progetti di formazione sanitaria in cui la definizione degli ambiti di complementarietà, le verifiche di efficacia e le indicazioni interdisciplinari e interprofessionali rappresentano veri e propri indicatori della qualità dei medesimi corsi. Si tratta di un preciso intento istituzionale che da vari anni mira giustamente ad identificare i migliori ambiti formativi in osteopatia: attività che, non a caso, non viene mai definita come "medicina alternativa", bensì complementare e preventiva o, per dirla con l'O.M.S., "tradizionale".
 
E risiede proprio in questa complementarietà interdisciplinare il potenziale di questa nuova professione, così come la ragione dell'impossibilità che la stessa attività possa innestarsi nel profilo culturale di altri ruoli sanitari, come quello del fisioterapista o del medico. Ovvero, solo gli osteopati maggiormente qualificati potrebbero integrarsi con propria autonomia e dignità nel Sistema Sanitario, senza costi per lo Stato così come precisato dalla Commissione Bilancio e recepito nel testo della prossima riforma sanitaria. Gli italiani, quindi, potrebbero disporre delle competenze di nuovi professionisti controllati e abilitati, che sapranno ben rapportarsi alle altre professioni della salute senza sovrapporsi alle stesse, ma cooperando e dialogando come già accade in alcune realtà di eccellenza nazionali.
 
Non vorrei che le critiche verso l'encomiabile iniziativa parlamentare altro non rappresentino se non il desiderio paradossale di acquisire l'osteopatia e considerare "abusivi" gli osteopati. Né vorrei che le professioni sanitarie "boccino" la nuova professione sanitaria dell'osteopata più a causa di interessi particolari che per reali dubbi di compatibilità con le nuove competenze. 
 
Vorrei, invece, rassicurare i portavoce di questi timori più o meno disinteressati affermando che l'osteopatia non potrà né vorrà mai mettere in discussione il riferimento univoco alla diagnosi medica. Anzi, ritengo che si possa tranquillamente sostenere che gli osteopati in possesso di adeguati requisiti potranno rappresentare un nuovo presidio nella cura multi-disciplinare e nella prevenzione. Per giunta, con notevole risparmio per i costi sanitari dello Stato. Ce lo insegnano anche i colleghi europei che per nulla al mondo rinuncerebbero al loro ruolo riconosciuto all'interno delle comunità di appartenenza.
 
Per queste ragioni, noi osteopati italiani non intendiamo affatto essere alternativi ai medici né, tanto meno, alle leggi dello Stato!
 
Luciano Doniaquio
Osteopata
Docente dei corsi ECM dell'Istituto Europeo per la Medicina Osteopatica in Genova

05 dicembre 2016
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