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Infermieri. Il Codice di Pisa e il confronto mancato

di Marcella Gostinelli

27 GEN - Gentile Direttore,
le scrivo per  parlare  della bozza del codice deontologico del collegio di Pisa. Non ho potuto partecipare all’incontro pubblico organizzato  dal Collegio di Pisa perché malata. Scrivo qui non solo per esprimere le mie idee, ma soprattutto perché non credo che il codice di Pisa possa essere discusso con la stessa frequenza e  opportunità con le quali si discuterà  della bozza di codice presentato dalla Federazione dei collegi. Penso questo per tanti e diversi  motivi, uno dei quali è legato al fatto che, secondo me, Pisa non ha usato la strategia giusta affinché la bozza potesse essere discussa in libertà.
 
Per farlo occorreva mettersi nelle condizioni di non poter essere in alcun modo “ignorati” nel processo di elaborazione del nuovo codice in corso nella Federazione, senza fornire alibi burocratici e di metodo a chi, in quella Federazione, non vuole il confronto.
 
Per questo temo sia stato un errore presentarlo al di fuori della Federazione. Penso, al contrario, che si sarebbe dovuto “inchiodarlo” in qualche modo al tavolo della discussione avviata in seno alla Federazione perché questo avrebbe “obbligato” tutti a prenderne atto, facilitando anche il compito di chi,  come la Presidente Mangiacavalli e la vice presidente Schirru, hanno sempre dimostrato apertura, padronanza e acume per discutere con pensieri diversi.
 
Ma in quel Comitato centrale c’è ancora chi non ama discutere e che ancora “pesa” troppo, e mi riferisco all’ ex presidente Annalisa Silvestro che ha “guidato” la commissione che ha lavorato al codice della Federazione, lo si capisce da molti elementi, e che farà di tutto per evitare che di quel Codice si parli e ancor di più che se ne discuta.
 
Se invece se lo fosse ritrovato “inchiodato” in Consiglio e avesse manifestato la sua avversità nell’accoglierlo avrebbe trovato “pan per i suoi denti” anche nella comunità professionale e tutto sarebbe sembrato più semplice.
 
Ho letto con molta attenzione, come richiesto in premessa, tutta la bozza. Non mi metterò qui, per ragioni di spazio e perché spero di poterlo fare in ambiti professionali, ad analizzare la bozza con l’articolato, ma mi limiterò a riferirvi solo alcune considerazioni fatte leggendola, da infermiera.
 
E’ una bozza di codice di una generosità sorprendente e commovente per un’infermiera che aspetta da tanto il cambiamento, e che subisce la regressività, imposta dai sistemi organizzativi e dalla cultura di  chi li dirige,   determinatasi a seguito dei mancati riconoscimenti dei mutamenti che si sono manifestati nei contesti di vita sociale e di comunità e che non possono sfuggire a chi ama svolgere una professione di servizio   come quella infermieristica.
 
Un codice con una premessa che è un insieme di nozioni la cui conoscenza è necessaria per affrontare lo studio di una disciplina e per produrre  un codice deontologico, appunto. Una premessa, pragmatica, severa, seria, semplice e coerente. Quella premessa  è la garanzia dei contenuti dell’articolato che potrebbe anche non essere letto.
 
Pragmatica perché osserva che vi sono diversi tipi di valore nell’infermieristica e nella sua questione, e nell’osservarli richiama alla necessità di essere filosoficamente sensibili alle loro differenze.
 
Valori epistemologici e cognitivi, ma anche etici e politici. Severa perché fa appello agli argomenti dell’indispensabilità: valori, norme e prassi. Valori e norme sono indispensabili per una analisi ed una valutazione delle affermazioni di conoscenza che vi sono state fatte.
 
Seria perché dice cose scomode e inopportune senza timore perché vere.
 
Semplice  e coerente  perché esplicativa. I termini da me utilizzati, semplice, coerente, pragmatica (etc) non vogliono essere  elogiativi, ma vogliono essere termini che guidano l’azione di accettare quella premessa; è come se avessi voluto dire che la sua accettazione è giustificata e “dire che l’accettazione di un asserto è completamente giustificata è dire che bisognerebbe accettare quell’asserto o quella teoria” (Putnam 2003, pag283).
 
Vorrei invece riportarvi di seguito un punto dell’articolato, a mio avviso, di una profondità, di un pragmatismo  e di una completezza che potrebbe portare a fare a meno di  altri punti dell’articolato stesso, e quindi a snellirlo:
 
4.4 “L’infermiere è se stesso se è ciò che deve essere”
Questo punto dell’articolato è il valore e la norma della professione infermieristica. Esso sembra volerci dire che caratterizzare una professione, di cui si può abusare per crescita ritardata, per retaggio culturale, per opportunismi di altri, per senso di responsabilità senza autonomia riconosciuta, di cui si può dubitare per mancanza di specificità e di “unità”, non equivale a fornirne una descrizione ambigua e oggi empirica, ma piuttosto a “collocarla nello spazio delle ragioni, nello spazio in cui si giustifica e si è in grado di giustificare quel che si dice” ( Sellers 2004, pag 54). Senza l’indispensabile impegno per i valori e le norme non esistono gli infermieri  e non esistono i fatti degli infermieri. 
 
Non so se ho interpretato bene…..pronta a rivedermi
 
Concludo con un encomio che voglio fare al Presidente del collegio di Grosseto, Nicola Draoli, per aver avuto  la necessaria  determinazione ad  incontrare gli infermieri che lavorano nelle diverse aziende del grossetano.
 
Lui ed i suoi consiglieri sono  andati nei luoghi degli  infermieri , nelle aziende, per discutere del  codice deontologico. Nel ringraziare Draoli lo invito, se non lo avesse già considerato, a discutere anche del codice deontologico presentato al pubblico dal collegio di Pisa. Invito, incoraggio anche tutti gli altri Presidenti a fare lo stesso.
 
Ringrazio anche la presidente Mangiacavalli e Adele Schirru per aver avuto la necessità di confrontarsi ed ascoltare pensieri diversi.
 
Grazie ad Emiliano Carlotti per aver osato tanto.
 
Marcella Gostinelli
Infermiera

27 gennaio 2017
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