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Troppi medici precari in Italia e specie in Campania

di Piero Di Silverio (Anaao Giovani)

25 FEB - Gentile Direttore,
immagino talvolta il futuro, come  spesso capita alla nostra generazione,e  mi rendo conto che il welfare di cui l’Italia, nello scorso decennio, è stata tra i maggiori fautori, è ormai stato disintegrato insieme a quello stato di diritto che il deficit emerso e sommerso, i tagli lineari, le decisioni e gli investimenti politici ed economici errati hanno sgretolato lentamente, inesorabilmente. Naturalmente la Sanità è risultata essere il bersaglio privilegiato per i legislatori che si sono succeduti nell’ultimo decennio. L’impressione è che ci sia una strana consapevolezza. I problemi economici di questo Stato sono dovuti alla Sanità.
 
La spesa sanitaria in Italia in rapporto al Pil è calata al 9,1%, il nostro Paese si colloca al terzultimo posto tra le nazioni dell'Unione europea a 15, seguita solo da Irlanda e Spagna.  E' quanto si legge nel RapportoMeridiano Sanità elaborato da The European House Ambrosetti(la media europea spesa/Pil è del 10,3%). Se però i dati economici "grezz" non sono confortanti, quelli inerenti il personale medico sono anche peggiori.
 
In 10 anni, nel nostro Paese, il numero dei camici bianchi con contratti di lavoro a termine è più che raddoppiato: da 3.527 a 7.177. Praticamente una crescita del 100%. Una percentuale, tra l’altro, che per quanto riguarda le donne medico va moltiplicata per tre. Se nel 2001 i camici rosa precari erano 1.700, alla fine del 2010 se ne contavano già oltre 4 mila. Ad oggi i precari della sanità sono più di 10 mila. E’ quanto emerge dall’analisi elaborata dall’Adnkronos Salute, che tiene conto delle tabelle della Ragioneria dello Stato sul personale del Servizio sanitario nazionale con rapporto di lavoro flessibile.
 
Le cause quali sono? I problemi sorgono fin dall’accesso alla scuola di medicina. Entrano in questa splendida facoltà ogni anno, attraverso le procedure di ricorso, circa 10 mila studenti, con un tasso di laurea in medicina dell’86%, se ne laureano ogni anno circa 8 mila. Purtroppo i posti in scuola di specializzazione, nonostante gli sforzi compiuti, dopo anni di richieste, sono aumentati fino a circa 8 mila se comprendiamo in essi anche i posti per la medicina generale.
Il risultato è che circa 2000 medici l’anno restano fuori da sbocchi formativi che ricordiamo essere imprescindibili per l’ingresso nel mondo del lavoro. Tra 5 anni avremo una nuova classe di disoccupati atipici, i medici "generici".
 
Se ci spostiamo nella nostra amata Regione, la Campania la situazione è ancora peggiore. Vantiamo infatti ad oggi ben quattro università con 595 posti in scuola di specializzazione ogni anno. Sforniamo quindi ogni anno poco più di 500 giovani colleghi. Considerando che nella nostra vituperata regione i percorsi di assunzione di personale medico sono stati bloccati per 10 anni e che, solo da un mese, a singhiozzo, in maniera parziale, sembra essersi avviato quel processo di rinnovo della classe dirigente medica, che appare tuttavia misero rispetto alle esigenze della popolazione e degli ospedali, mi chiedo come faremo a sopperire alle richieste di salute della popolazione.
 
Il blocco del turn-over, i piani di rientro, i commissariamenti, i tagli lineari, hanno prodotto un calo della qualità delle prestazioni sanitarie, con una mobilità passiva ancora una volta in aumento (270.403 euro di disavanzo anche per l’anno 2014 che si vanno ad aggiungere ai circa 300000 euro del quinquennio precedente), un tasso di occupazione dei giovani medici inferiore ormai al 50% e per lo più espresso con contratti di tipo libero professionali, avendo spremuto ed esaurito anche le ore di specialistica ambulatoriale, per anni utilizzata come ammortizzatore sociale per il mondo medico in tempi di crisi, con il risultato di rimpinguare le corsie di medici destinati al territorio ma che tutt’oggi lavorano in ospedale senza un preciso inquadramento ospedaliero e come entità ibride non considerate peraltro nelle piante organiche ma utili a coprire quei buchi che avrebbero dovuto consegnare, in un paese normale, la sanità al privato esclusivo.
 
Eppure, dopo la legge di stabilità del 2016, che poneva le basi per i processi di riduzione del precariato, attraverso una ricognizione dei fabbisogni di personale,il neonato decreto Madia al contrario, tanto atteso da componenti sindacali e medici, stabilisce che i concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato dei precari dovranno essere indetti entro il 31 dicembre 2018 e conclusi al 31 dicembre 2019 nel limite massimo del 50% delle risorse finanziarie disponibili per assunzioni a tempo indeterminato. Insomma con una mano il Governo fornisce le condizioni per le nuove assunzioni dichiarando a gran voce la lotta al precariato, con l’altra mano continua a prolungare un’agonia di contratti flessibili.
 
La domanda sorge spontanea: in quale direzione va il legislatore? Quello che si chiede al legislatore non è un miracolo, ma semplicemente di trovare il modo per uscir fuori da quello che sembra un labirinto fiabesco, senza via di uscita e alla fine del quale esiste un mostro da battere. Parto dal presupposto che un medico lavora bene in un presidio che ha in essere le giuste infrastrutture, un medico lavora bene in un ambiente sicuro, un medico lavora bene con un posto sicuro. In Campania le infrastrutture ospedaliere sono in molti casi fatiscenti, sicuramente non idonee alla sicurezza del paziente e dell’operatore, eppure il lavoro del medico dovrebbe avvenire il futuro di noi medici in un ospedale in cui non ci siano muri scrostati o riempiti di murales, ospedali, dotati di percorsi diagnostico-terapeutici precisi, efficienti, ospedali in cui le barelle tornino a svolgere la funzione per cui sono state inventate, ovvero di trasporto del paziente e non di sosta "vietata". Soprattutto, i medici dovrebbero essere realmente tutelati a prescindere dal tipo di contratto in loro possesso.
 
Lo so, forse immagino una realtà difficilmente raggiungibile, ma poi mi guardo intorno e vedo che in Paesi non tanto diversi dal nostro le cose vanno proprio cosi o almeno molto vicino a come immagino.. e mi chiedo perché da noi non sia possibile. Il mondo del lavoro odierno è basato su quella che i politici definiscono fieramente flessibilità, anche se in effetti potremmo chiamarla precarietà. Bene, appare realistico e legittimo iniziare a parlare di tutele del lavoro, di possibilità di carriera, anche per chi, ormai da anni, vive in un mondo contornato dal precariato flessibile. Mi chiedo pertanto perché si continui a guardare il futuro del mondo lavorativo, senza analizzare il presente, costituito da una generazione che non raggiungerà la pensione per limiti di età espressi dai decreti pensionistici che si susseguono e spostano l’asticella dell’età pensionabile sempre più in alto.
 
Se solo si analizzassero i dati si capirebbe come una riforma di contratti atipici è quanto mai urgente. Sono circa 14 mila i medici precari, che lavorano con le più svariate forme lavorative, ovvero poco più dell’11% della classe medica italiana, e questi numeri sono destinati a crescere (in questi numeri esiste una percentuale non trascurabile di over 40). Un semplice calcolo porta a chiederci: anche se dal prossimo mese dovessero iniziare i processi di stabilizzazione dei medici, questi precari quando potrebbero entrare nel mondo lavorativo, con quali possibilità di realizzazione professionale, e infine quando potrebbero raggiungere la pensione, a che condizioni?
 
Ergo appare quanto mai urgente, oltre al legittimo e prioritario obiettivo di stabilizzare i medici precari e creare nuove assunzioni, pensare a forme di tutela per il lavoro precario atipico esistente. Occorre ‘rassegnarsi’ alla realtà dei fatti, è nata una nuova classe di lavoratori in sanità, "i medici precari atipici". Si perché quando fu abolito l’articolo 18 con la legge Biagi, quando si iniziò a parlare in Italia di flessibilità, le premesse sarebbero dovute essere altre, ovvero creare competitività, creare modelli di lavoro nuovi tesi alla premialità, tesi al riconoscimento del merito.
Tutto questo si è trasformato in puro, cinico, precariato.
 
Gentile direttore, occorre introdurre tutele previdenziali, malattia, ferie, maternità nelle forme di lavoro ‘precario’ atipico che oggi (circa 47) nutrono il sistema sanitario pubblico e lo tengono in vita.
 
Si, i precari atipici, una popolazione di colleghi in molti casi dimenticati, misconosciuti, non fanno parte delle piante organiche, ma permettono agli ospedali di sopravvivere anche in carenza di personale, costano la metà allo Stato e non hanno diritti, eppure, in silenzio, senza far rumore ricoprono mansioni identiche a quelle del medico strutturato, svolgono turni notturni, festivi, super festivi, ma non hanno il diritto di ammalarsi, non hanno il diritto di andare in vacanza, non hanno il diritto di crearsi una famiglia, non hanno il diritto di pensare ad acquistare una casa, insomma non hanno il diritto di costruirsi e programmarsi una vita "normale".

Nella discussione dei rinnovi contrattuali, sebbene questa non sia una reale problematica di rinnovo, i legislatori devono rendersi conto che, di questo passo, la professione del medico, diventerà una professione di qualità discutibile nel nostro Paese, che tra un decennio avremo una sanità che si avvilupperà su se stessa a causa della mancanza di ricambio generazionale. I legislatori devono rendersi conto che in Sanità il precariato, gentile direttore, non è compatibile con la presa in carico del paziente e con la continuità terapeutica che i dgls. 83/78, 502/92 e 517/93 sintetizzano come obbligo del sistema, come diritto del malato. La certezza, una delle poche oggi, è che noi continueremo a scrivere, agire, informare, colleghi e cittadinanza, convinti che, come in una bella fiaba, esista un lieto fine, il mostro del Precariato venga sconfitto dalla volontà e dal senso di responsabilità delle classi dirigenti. Spero che i legislatori si rendano conto, finalmente, che "a salute è ‘na cosa seria".
 
Piero Di Silverio
Direttivo Nazionale Anaao Giovani

25 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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