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Per gli osteopati nessuna sanatoria. Non ci interessa

di Federico Franscini

22 MAG - Gentile Direttore,
dopo alcuni anni di attesa, potrebbe essere imminente il dibattito alla Camera sulla Riforma delle professioni sanitarie (DDL Lorenzin). In questi giorni condividiamo le opinioni di autorevoli rappresentanti della maggioranza parlamentare in merito alle nuove politiche del lavoro. Essi sostengono giustamente che il tema non possa essere affrontato con le logiche del 1900, bensì mettendo in atto processi innovativi volti a creare nuove opportunità.
 
In qualità di rappresentante di un’associazione privata di professionisti non ancora regolamentati, segnalo che gli osteopati italiani hanno creato da soli il proprio lavoro, senza sussidio e sostegno sociale alcuno. Essi hanno studiato presso corsi non sovvenzionati, si sono aggiornati in Italia e all’estero, hanno aperto una partita IVA per pagare le tasse ed hanno svolto un’attività legittima e utile per quanto non disciplinata dallo Stato. Anziché incrementare il numero di disoccupati o sotto-occupati in sanità, la scelta è stata, cioè, di dedicarsi ad un’attività nuova che potesse integrare e migliorare l’efficacia nell’assistenza e nella prevenzione. E i risultati sono stati documentati dal gradimento della popolazione, come testimoniato dalle rilevazioni demoscopiche ufficiali.
 
Nel caso particolare dell’Associazione Professionale degli Osteopati (APO), ci si è voluti dotare di uno Statuto e di un Codice deontologico aggiornato alle recenti normative, allo scopo di autoregolamentare comportamenti virtuosi degli iscritti nei confronti dei pazienti, dei colleghi e dei medici. A titolo d’esempio, mai un iscritto rispettoso del Codice professionale si permetterebbe di esprimersi contro i vaccini, consapevole del suo ruolo complementare in sanità e dell’obiettivo interdisciplinare della propria competenza.
 
Non disponendo di una legge nazionale sulla formazione, alcuni corsi in medicina osteopatica si sono adeguati alle normative dei Paesi europei in cui gli studi post secondari in questa materia sono già stati codificati. A titolo d’esempio, l’Istituto I.E.M.O. in Genova, autorizzato dal M.I.U.R. della Liguria, disponendo di requisiti di eccellenza tra i quali il controllo internazionale in riferimento ai Decreti del 2015 per la formazione in osteopatia in Francia. Ovvero, in osservanza della norma europea di standardizzazione europea (CEN) in materia.
 
Si può quindi dimostrare che gli osteopati, esclusivi e formatisi sotto controllo terzo, non abbiano soltanto creato il loro lavoro ma lo abbiano addirittura socialmente coordinato. Qualsiasi democrazia dovrebbe condividere simili iniziative già apprezzate dalla collettività, tanto più considerati i recenti appelli incentivanti alla ricerca creativa di nuove opportunità professionali ed imprenditoriali.
 
Alla luce di tali considerazioni, si auspica che il prossimo dibattito parlamentare sulle nuove professioni non sia influenzato da pressioni lobbistiche e protezionistiche, cioè in assoluta contraddizione con i principi che i nostri rappresentanti citano pubblicamente, persino in occasione dei meeting di formazione politica. Infatti, se le logiche del governo dei processi sociali non debbano più essere quelle del 1900, coerenza vorrebbe che si premi il merito di chi ha creato e perfezionato nuovi lavori anche in Sanità, giungendo a sottoporsi a norme internazionali per ovviare alla vacatio legis nazionale.
 
A ulteriore dimostrazione, gli osteopati non chiedono una sanatoria indistinta, anch’essa in stile 1900, bensì un percorso rigoroso per l’accesso alla professione e alla formazione che possa identificare i requisiti migliori ad oggi conquistati a beneficio dell’esercizio, della pedagogia e della deontologia, come base per l’abilitazione dei nuovi professionisti. Un percorso lineare reso trasparente dall’iniziativa privata, che dovrebbe riscontrare il sostegno delle forze parlamentari, sinceramente democratiche e liberali.
 
Federico Franscini
Osteopata D.O. - Vicepresidente A.P.O.


22 maggio 2017
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