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Chi ha paura a usare il termine transessuale?

di Manlio Converti

12 DIC - Gentile Direttore,
in riferimento al nuovo centro multispecialistico privato ma convenzionato della Regione Veneto, finalizzato, cito testualmente, a trattare i “disturbi dell’identità di genere” penso sia bene dare atto alla Regione di avere scelto di occuparsi del tema ma nello stesso tempo penso sia anche doveroso prendere le distanze dalla terminologia usata che mi sembra celi l’ennesima ipocrisia attorno alla realtà delle persone transessuali.
 
Mi chiedo perché non usare questo termine? Di cosa si ha paura? Fare la cosa giusta ma offendere chi ne dovrebbe usufruire non mi sembra sia eticamente corretto.
 
In tutto l’articolo, presumo tratto da un comunicato della Regione, l’assessore Coletto non usa mai il termine persone transessuali ma solo metafore che trovo  orrende. ad esempio “persone che si trovano in una condizione del tutto particolare, che può comportare sofferenza psicologica e fisica”.
 
Anche la dizione “Disturbi dell’identità di genere” appare ormai ampiamente superata da “Disforia di genere” coniata proprio al fine di evitare la stigmatizzazione ulteriore dei transessuali.
 
Inoltre non è menzionato se il centro segue il protocollo ONIG o il protocollo WPATH e non è la stessa cosa!
 
Non è dato sapere se il centro si occuperà anche dei Minori Gender Variant ed Intersessuali e neanche se il centro seguirà le persone transessuali anche per problemi di salute e prevenzione diversi da quelli legati alla Disforia di Identità di Genere.
 
E' evidente che le persone transessuali, generalmente maltrattate, abbiano difficoltà enormi a farsi curare e siano particolarmente a rischio suicidario, oncologico e di cardiopatie connesse alla transfobia, anche sanitaria, ed all'uso di ormoni, soprattutto quando li usino senza controllo medico.
 
Anche il termine “rettificazione di attribuzione del sesso” è impreciso: proprio sulla base di diverse sentenze della Cassazione i centri ONIG o WPATH non servono più solo per la rettificazione di attribuzione del sesso ma anche solamente per le terapie ormonali ed eventuale supporto psicologico, nel rispetto delle persone transessuali che ne fanno richiesta volontaria.
 
Non è chiaro infine se questo servizio sia connesso ad una rete sociale, sindacale e legale, che permetta alle persone transessuali di restare nella scuola e nelle università in modo organico ed ovviamente di entrare o restare nel mondo del lavoro
 
Spero di avere presto le risposte a questi miei quesiti e che di questi se ne facciano carico anche i colleghi che lavoreranno nel centro di Abano, affinché la loro esperienza sia il grande successo che meritano che sia.
 
Manlio Converti
Psichiatra
Attivista Lgbt
 

12 dicembre 2017
© Riproduzione riservata

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