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Legge Gelli. I nodi dell'autotutela assicurativa

di Francesco Lauri

18 DIC - Gentile direttore,
da mesi non prendo posizione sulla legge Gelli: attendevo i decreti attuativi, ma non arrivano. Nel frattempo ho introdotto almeno 50 ricorsi 696 bis (consulenza preventiva ai fini conciliativi) da quel fatidico 1 aprile 2017, registrando reazioni scomposte da parte di chi – giudici di merito o ctu - avrebbe dovuto sugellare quell’alleanza medico/paziente che ha rappresentato uno dei principi ispiratori della legge stessa.

Ricordiamo: l’art 8 della legge 24/17 recita testualmente: “Chi intende esercitare un'azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria e' tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell'articolo 696-bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente”.

Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio,  è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'articolo 702-bis del codice di procedura civile. In tal caso il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti; si applicano gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile”

Nella pratica: Il termine di sei mesi, previsto come perentorio dall’art. 8, è interpretato da certi giudici di merito come un fastidioso suggerimento. C’è chi accelera tutta la fase introduttiva ( fissazione prima udienza, notifica, termini a comparire, nomina ctu) per poi concedere 120/150 giorni per l’invio della bozza superando di gran lunga il termine “perentorio” ed obbligando il cittadino ad introdurre il ricorso a cognizione sommaria ex art. 702 bis, con esborso di ulteriori spese ed un rischio di condanna a spese di soccombenza.

Già, perché se la CTU dovesse essere sfavorevole, il ricorso ex art 702 bis – a cognizione sommaria, vale a dire, ancorato all’esito della consulenza tecnica - non avrà ragion d’essere, ed il cittadino che “incautamente” lo avrà proposto sarà condannato alle spese processuali.

E ancora: il Tribunale demanda ai CTU il compito di valutare questioni complesse, concedendo acconti che spaziano dai 200 euro di Enna, ai 1.500 di Milano, ed invitando, senza crederci, i consulenti a esperire il tentativo di conciliazione.

In che fase e mediante quali modalità, non è dato saperlo. Nella maggior parte dei casi le operazioni peritali iniziano con sguardi di complice afasia (del tipo “non ho letto ancora le carte, e tu?”) che culminano nella frase, pronunciata dal consulente del tribunale, “non so…le parti vogliono conciliare?”.
Se la legge avesse indicato quando esperire il tentativo di conciliazione e se avesse previsto un bonus per il ctu che porta a termine la conciliazione, magari qualcuno avrebbe letto le carte prima di incontrare un bimbo cerebroleso, invitando a conciliare.

Nessun bonus è previsto ed è logico che il CTU preferisca depositare l’elaborato definitivo chiedendo ed ottenendo la liquidazione del lavoro svolto.
Ma se anche un legislatore illuminato avesse previsto il compenso per le conciliazioni, sarebbe cambiato il risultato?
Niente affatto!

Ricordiamo che la maggior parte delle strutture pubbliche è in regime di autotutela, ed il timore di una sanzione da parte della Corte dei Conti configura uno spauracchio rispetto al quale un provvedimento giudiziario appare salvifico.

MI spiego meglio: io Policlinico X so che i miei medici hanno sbagliato. Anche il CTU lo sa, e me lo dice. Ma se transigo la Corte dei Conti - il Kaiser Soze di ogni traballante direttore generale - mi bastona, e allora tanto vale aspettare la sentenza “liberatoria”. Se poi pagherò il doppio rispetto ad una transazione, pazienza.

Ecco, questo è l’atteggiamento tipo: la Corte dei Conti non vuole che si transiga, e la ASL non transige. Poi paga il doppio, ma va bene così.
La soluzione? Si chiama copertura assicurativa obbligatoria: le compagnie non sono soggette al controllo della Corte dei conti e possono proporre soluzioni transattive. A volte (spesso) interpretano a loro modo le tabelle, ma sono in grado di offrire a chi ha perso tutto per colpa altrui, una somma di denaro che nella maggior parte dei casi può fare la differenza tra vivere e sopravvivere.

L’aver optato per una scelta ibrida ( art. 10: “ Le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private devono essere provviste di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso prestatori d'opera”) che pone sullo stesso piano compagnie di assicurazioni e strutture pubbliche in autotutela - su cui incombe la spada di Damocle di un giudice speciale poco incline alle trattative – dimostra la miopia del legislatore.
 
O peggio, il totale disinteresse alle vicende di un cittadino gravemente danneggiato che questa legge obbliga a vagare per tribunali - nonostante la certezza dell’errore – per ottenere ciò che dovrebbe spettargli di diritto: un risarcimento che permetta a lui ed ai suoi familiari di sopravvivere dignitosamente.
 
Avv. Francesco Lauri

18 dicembre 2017
© Riproduzione riservata

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