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Malattie reumatiche. Ancora su biosimilari ed equivalenza terapeutica

di Silvia Tonolo (Anmar)

27 DIC - Gentile Direttore,
a seguito degli articoli che si sono susseguiti e delle risposte dell'assessore alla Salute della Toscana, Stefania Saccardi, alla nostra richiesta di non violare la legge 232.2016 c.407, vorrei spiegare cosa vuol dire equivalenza terapeutica. Perché è giusto che si usino le parole per il significato che hanno e non per l'opportunità che trovano. “Simile”, anche “altamente simile”, non significa “uguale”; “equivalente terapeutico” non vuol dire “è la stessa cosa”.

Rimane – ed è vivo argomento di discussione nonché elemento di diversificazione tra la concezione europea e quella americana (o, se preferite, esempio pratico dei due diversi modi di concepire l’assistenza sanitaria) - una questione insoluta e talmente delicata da indurre EMA a non prendere posizione in merito, ma demandare ai singoli stati membri (e per noi, visto il nostro ordinamento, alle singole realtà regionali).

Su questo tema ricorrente, oggetto di discussione anche a livello di Commissione Europea alla luce delle esperienze di quei Paesi membri che hanno “forzato”  il ricorso a farmaci a costo più basso, è quindi auspicabile un monitoraggio centrale sulle Regioni, perché se è vero che le norme in materia sono emanate a livello nazionale, alcune Regioni poi cercano di interpretarle a modo loro (e a cascata, aggiungo, lo stesso avviene a livello ASL).

Equivalenza terapeutica, continuità di cura, sostituibilità inseriti nella legge 232/2016 sono concetti che si prestano ad interpretazioni diverse e che dovrebbero trovare in apposite occasioni di discussione, un’accezione comune e condivisa. Perché se è vero che a livello filologico le differenze sono non così grandi, dal punto di vista pratico possono rivoluzionare la vita di una persona, togliendole stabilità e certezze sul  futuro in maniera talora drammatica, specie per i soggetti più fragili.

Di queste cose non si potrà e dovrà discutere se prima non saranno arrivati, ad esempio, dati precisi a conferma del mantenimento del profilo di immunogenicità o che possano dissipare i dubbi di coloro che hanno da tempo dovuto operare lo switch e si chiedono se tra dieci anni potranno confermare ai propri pazienti quanto affermato oggi sull’equivalenza dei due trattamenti, o ancora rispondere alla questione aperta sul passaggio da un biosimilare all’altro.

Le scelte orientate al risparmio non devono incidere sulla libertà prescrittiva, che deve peraltro permanere di esclusiva competenza del medico! (European Commission Stakeholder Event on Biosimilars, 5 maggio 2017)

E tanto meno tali scelte devono minare quel rapporto di fiducia tra medico e paziente che si instaura con un processo lento e faticoso, ma che non può non rovinarsi irrimediabilmente quando si cerchi di dare ad una scelta puramente economica più o meno condivisa una valenza di innovazione e di “nuova opzione terapeutica” del tutto priva di qualsiasi valenza scientifica.

Noi abbiamo bisogno di avere fiducia nel nostro medico e di condividere con lui le scelte sulla nostra cura. E’ dunque fondamentale che da un lato egli possa essere libero di scegliere e dall’altro sia in grado di fornirci quegli elementi di informazione che alimentino in noi la certezza che abbia scelto l’opzione terapeutica migliore per noi, nella nostra complessa realtà di persona con una vita famigliare, sociale e di relazione.

Se saremo certi e consapevoli che il nostro punto di riferimento, il nostro medico, non è condizionato da limiti di budget, e saremo in grado di comprendere appieno le ragioni della sua scelta “ritagliata” sulla nostra condizione specifica, saremo pazienti più aderenti che riescono a curarsi meglio, stando anche, perché no, attenti alla spesa. Se poi il “nostro” medico avrà bisogno anche di noi per riaffermare la propria libertà di agire in scienza e coscienza, troverà le associazioni che ci rappresentano sempre al suo fianco.

Sembra si voglia abolire il diritto alla cura e limitare la libertà prescrittiva, sottomettendo i medici all’imposizione di budget amministrativi: non si parla più di miglior cura ma di minor spesa (e l'art 32 della nostra Costituzione, allora?).

Eppure era ed è evidente che la cosa fondamentale è che se sono malato cronico - naïve (ma i criteri per essere definiti tali non sono mai stati chiariti) o già in trattamento - che necessita di una cura che costa molto per avere una buona qualità di vita e non perdere il proprio ruolo attivo nella società (e rimanere dunque fonte di finanziamento per il sistema), questa spesa deve essere considerata come un investimento non come un costo, esattamente come avviene per le altre patologie, meno “invisibili” agli occhi di chi ci governa delle nostre.

Ed è altrettanto vero che il farmaco biologico costa tanto, ma io non posso farne a meno perché grazie ad esso vivo una vita “normale”. E, se permettete, anche la mia vita ha un costo, non certo inferiore a quello della mia cura!

Silvia Tonolo
Presidente ANMAR Onlus Associazione Nazionale Malati Reumatici
Presidente A.Ma.R.V. Onlus Associazione Malati Reumatici del Veneto


27 dicembre 2017
© Riproduzione riservata

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