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Cosa chiediamo alla politica

di Salvatore Lumia (Omceo Bologna)

27 FEB - Gentile direttore,
come ha ben argomentato da tempo il Prof. Ivan Cavicchi, esiste in Italia una questione medica, la cui risoluzione oggi non può più essere differita.
La questione medica riguarda sia la politica nazionale che quella locale perché la salute dei cittadini riguarda tutti i livelli e la Sanità è uno dei primi servizi che lo stato democratico deve mettere a disposizione della sua popolazione; con risvolti anche economici importantissimi, se si pensa che il 70/80 % dei bilanci delle regioni viene utilizzato per la Sanità pubblica, senza poi contare la spesa aggiuntiva individuale e a carico delle famiglie, nonché i costi indotti sul costo del lavoro e sulla previdenza.

Per anni si è trascurato il problema, snobbandolo come un fatto che riguarda una categoria di lavoratori della salute ritenuti, a torto, dei privilegiati, mentre privilegiati sono solo alcuni e pochi rispetto alla grande molteplicità di quelli che quotidianamente svolgono il proprio servizio con abnegazione, impegno costante personale e delle proprie famiglie che li supportano, e che si trovano tutti i giorni ad affrontare problemi che non sono connessi con quella che sarebbe centrale per il proprio lavoro (cioè la cura dei malati) ma semmai creano sempre ostacoli e difficoltà; intendo gli aspetti organizzativi, burocratici, legislativi, ecc.

Purtroppo la questione medica non la si può risolvere con provvedimenti, come quelli attuati da diverse legislature ad oggi, da un lato cercando di mettere delle toppe qua e là, dall’altro cercando di favorire categorie di professionisti della salute a scapito della professione medica, professione medica che deve essere riconosciuta come quella centrale per la salute pubblica.
 
I problemi in campo sono tanti e richiederebbero molto tempo per essere trattati singolarmente, ma proverò a fare una sintesi: alcuni di questi argomenti sono di interesse generale e nazionale altri di competenza locale e regionale.

Però la politica nazionale deve intervenire anche per risolvere i problemi sanitari locali e forse, al di là di mancate riforme costituzionali, l’autonomia regionale in campo sanitario deve trovare, all’interno del prossimo assetto parlamentare, una regolamentazione che permetta di azzerare le disparità che esistono tra regione e regione, dando al governo della sanità un assetto omogeneo per tutto il territorio nazionale.
 
Comincio dai problemi generali e nazionali, per risolvere i quali chiederemmo l’intervento dei nostri parlamentari eletti:
 
1) In primis il Contratto Nazionale di Lavoro dei medici pubblici, non rinnovato da 10 anni, per il quale sono in corso discussioni all’ARAN, che al momento ha scaturito solo proposte di tipo peggiorativo e per il quale si è recentemente fatto uno sciopero che ha avuto un’adesione molto alta;

2) La definizione dell’atto medico. Nella passata legislatura era stato proposto un disegno di legge dall’On. D’Incecco, che non è stata volutamente fatta uscire dal cassetto della Commissione Sanità della Camera. Invece sarebbe necessaria ed urgente una legge che contenga una definizione precisa di quali sono i compiti, le attribuzioni ed i confini delle attività della professione medica e delle altre professioni sanitarie, con i relativi percorsi formativi e contenente la dichiarazione del principio fondamentale che le prestazioni mediche e sanitarie sono prestazioni tempo dipendenti che necessitano di tempo da riservare ai pazienti. Anche alla luce della recente legge c.d. sul testamento biologico, che è una legge che tratta, in primis, del rapporto medico-paziente e del consenso all’atto medico, consenso che deve essere informato e cosciente; per l’informazione e la raccolta del consenso occorre tempo da dedicare al paziente; e il tempo da dedicare al rapporto con il paziente, che è un tempo per ascoltare e per parlare, deve essere considerato come atto medico e come tale da remunerare adeguatamente, cosa che contrasta con le scelte economicistiche che cercano di attuare risparmi sul personale, e qui ci si collega al punto successivo.
 
3) L’abolizione delle norme di legge (legge Brunetta) che hanno bloccato, anche per la Sanità, il turn-over del personale medico al 25% con una drastica riduzione del ricambio generazionale; nonché l’attribuzione di un sistema premiante con delle divisioni percentuali pretestuose che portano ad una disaffezione nei confronti delle aziende.

4) Altro argomento fondamentale è lo strisciante e sempre più manifesto dirottamento dell’assistenza sanitaria dal SSN pubblico (sec. La legge 833) verso forme private mutualistico/assicurative, sistema che vede di recente la Regione Lombardia affidare il controllo e trattamento della cronicità a sistemi privati assicurativi/convenzionati. Anche il c.d. sistema di Welfare aziendale, con la sua detraibilità, sottrae denaro alla fiscalità generale con conseguente de finanziamento del Sistema Pubblico e crea gravi disparità tra chi ne può usufruire (lavoratori attivi) e chi no, che altro non sono che le fasce deboli (disoccupati, studenti, pensionati).

5) Occasione persa della riforma degli Ordini
Di questo hanno ampiamente e bene scritto il Dott. Giancarlo Pizza (Presidente dell’OMCeO di Bologna) e il Prof. Ivan Cavicchi.
Nell’articolo 4 (Riordino della disciplina degli Ordini delle professioni sanitarie)  “l) (gli Ordini)vigilano sugli iscritti agli albi, in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività professionale, compresa quella societaria, irrogando sanzioni disciplinari secondo una graduazione correlata alla volontarietà della condotta, alla gravità e alla reiterazione dell’illecito, tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro.”

Le tre righe sottolineate oltre che un “comma ad personam” (e non scrivo altro) sono un maldestro ma chiaro tentativo di sottomettere l’etica medica e la deontologia al volere di chi dirige le aziende sanitarie con criteri economicistici e padronali.

Scrive giustamente Giancarlo Pizza:
“L’impressione che si potrebbe trarre in conseguenza di ciò e che ragionevolmente, potrebbe verificarsi- nella sua applicazione- è che he i medici italiani possano ormai essere considerati distinti in due categorie: 1) Medici operanti nel settore privato sottoposti all’osservanza del Codice di Deontologia Medica; 2) Medici Dipendenti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e Medici Convenzionati con il SSN  entrambi sottratti al Codice in virtù di deliberazioni regionali, nazionali o da accordi stipulabili nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNNL).
 Questa interpretazione, forse eccessivamente pessimistica per chi crede nella medicina ippocratica e nell’importanza dei Codici di comportamento autoregolati a garanzia del Cittadino, potrebbe essere un grande successo per gli amministratori nazionali e regionali della sanità perché potrebbe essere loro concesso di “amministrare” la medicina amministrando i medici con delibere contenitive di qualunque genere: interventi sull’organizzazione, interventi sul contenimento della spesa. Ad esempio, così verrebbe rimesso in pista il famoso decreto sull’appropriatezza (prescrittiva?). Per quest’ultimo basterà dire che bisogna dare il farmaco preselezionato dalle commissioni ospedaliere. Il successo per i Cittadini però sarebbe difficilmente individuabile vista il crollo dell’autonomia della professione: il rapporto medico-paziente è così condizionato da fattori esterni e lontani dall’interesse clinico del paziente”.
 
Basti ricordare che la Sentenza di Cassazione 8254-113 Marzo 2011 testualmente recita “A nessuno è consentito anteporre la logica economica alla logica di tutele della salute, né diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo paino le esigenze dell’ammalato… Prima di tutto i medici devono rispondere al loro codice deontologico in base al quale hanno il dovere di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza e, pertanto, non sono tenuti al rispetto di quelle direttive laddove esse siano in contrasto con l’esigenza di cura del paziente, e non possono andare esenti da colpa ove se ne lascino condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalità e la propria missione a livello ragionieristico”
.

Poi ci sono i tanti problemi di ordine locale e regionale che sintetizzo brevemente:

1) Ingerenze negli organi di rappresentanza Medica e negli Ordini, cosa fatta da qualche Assessore Regionale alla Sanità, per fortuna non sempre con successo (almeno a Bologna).

2) Le riorganizzazioni della reti ospedaliere metropolitane, con la riduzione dei posti letto, la chiusura di ospedali periferici in zone disagiate, mentre vengono mantenute aperte strutture in pianura distanti pochi chilometri.

3) Risorse più esigue per il personale, specie medico, mentre ci sono sempre i soldi da mettere sull’edilizia sanitaria.

4) La chiusura di punti nascita in zone disagiate, che nega la possibilità per le giovani coppie di andare ad abitare i territori della montagna
L’uso eccessivo ed inutile del modello Hub and Spoke, che può essere valido in alcune discipline, ma non in tutte e non certo per le attività chirurgiche che non devono essere delocalizzate, ma semmai accentrate per garantire la sicurezza dei pazienti e la possibilità di turnazione dei professionisti. 
Il modello Hub & Spoke deve essere riconsiderato attentamente per quanto riguarda le attività chirurgiche che anche se di minor complessità poiché possono essere non esenti da problematiche tecniche, complicanze, imprevisti e per la sicurezza dei pazienti e dovrebbero tutte essere svolte in centri dove possa essere presente il massimo delle dotazioni e di competenze e dove è possibile la sorveglianza 24 ore su 24 dei pazienti. La delocalizzazione di attività chirurgiche (come è stato erroneamente fatto a Bologna) può avvenire per alcune specialità come l’oculistica o la piccola chirurgia dermatologica, mentre per la gran parte di altre deve essere garantita per la sicurezza del paziente in una struttura che possa far fronte a qualunque problematica insorgente durante e dopo un intervento chirurgico, anche se considerato di bassa complessità. Mentre per le attività mediche e per la diagnostica la rete Spoke ha la sua validità con presenza diffusa sul territorio anche di attività specialistiche è diagnostiche.

6) La riorganizzazione di attività per “programmi” con spezzettamento delle patologie trattate all’interno di una singola specialità.

7) L’accorpamento delle Unità complesse, magari di presidi ospedalieri distanti fra loro, in cui viene a mancare la figura della competenza clinica primariale, con riduzioni della qualità e sicurezza delle cure per i pazienti e azzeramento delle possibilità di carriera per i professionisti.

8) Con demansionamento e mobbizzazione di bravi professionisti già presenti sul territorio, a fronte della chiamata di altri da fuori, non sempre per meriti professionali, ma perché più vicini al potere.

9) Le Case della Salute, le cure intermedie, la gestione della cronicità, prima del taglio dei posti letto, devono esser fatte funzionare bene e non devo restare solo titoli per convegni o sulle targhette.

10) Strettamente connesse con l’attivazione delle Case della Salute è il buon funzionamento del servizio Emergenza/Urgenza sia ospedaliero che territoriale, a cui si collegano i ben noti problemi del 118, sintetizzabili in una carenza di mezzi di soccorso avanzato, sul territorio non corrispondente ai dettami del DM 70.
 
Non mi dilungo ulteriormente, anche se, sicuramente, ogni medico pubblico dipendente avrebbe tante cose da aggiungere relativamente alle proprie realtà locali. E’ per questo che i candidati, che con il nuovo sistema elettorale hanno una maggiore connotazione territoriale nei diversi collegi, devono dedicarsi all’ascolto delle tante voci e mettere in campo azioni efficaci a dare risposte concrete.

E comunque la politica nazionale deve intervenire anche per risolvere i problemi sanitari locali e, al di là di mancate riforme costituzionali, l’autonomia regionale in campo sanitario deve trovare, all’interno del prossimo assetto parlamentare, una regolamentazione che permetta di azzerare le disparità che esistono tra regione e regione, dando al governo della sanità pubblica un assetto omogeneo per tutto il territorio nazionale con un forte impegno all’ascolto e partecipazione di tutti i medici pubblici (e non solo di quelli proni al potere) a tutte le scelte gestionali.
 
Dott. Salvatore Lumia
Consigliere OMCeO di Bologna
Vice Segretario regionale CIMO Regione Emilia-Romagna 


27 febbraio 2018
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