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Con legge Gelli-Bianco perimetro dell’irresponsabilità penale meno favorevole rispetto alla Balduzzi 

di Fabio Cembrani

05 MAR - Gentile direttore,
sappiamo quanti numerosi siano gli snodi problematici della nuova legge sulla responsabilità professionale e quali siano le sue difficoltà di analisi pratica confermate dai contrasti interpretativi espressi dalla IV Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza Taraboni e nella sentenza Cavazza (già da me analizzate sulle pagine di queste Quotidiano).

Questo contrasto è stato affrontato dalle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione nella sentenza n. 29 del 21 dicembre 2017, le cui motivazioni sono state però da poco rese pubbliche.

Al di là della vertenza affrontata (un colpevole ritardo diagnostico di cui si sarebbe reso protagonista un medico neurochirurgo per non aver tempestivamente capito che il paziente era affetto da una sindrome della cauda equina sottoponendolo così alle cure necessarie), è doveroso ricordare che è stato il primo Presidente della quarta Sezione penale della Corte regolatrice a chiedere, con decreto del 13 novembre 2017, l’intervento della Sezione più autorevole della medesima per dirimere il contrasto interno riguardo al perimetro applicativo dell’irresponsabilità penale disegnato dalla legge Gelli-Bianco viste le conclusioni costituzionalmente guidate della sentenza Taraboni e quelle dell’esegesi letterale della sentenza Cavazza.

Provando a fare un primo ed ancora provvisorio bilancio di questa sentenza delle Sezioni Unite, la sensazione che si prova nella sua attenta lettura è che la nuova interpretazione data dalla Corte regolatrice all’art. 6 della nuova riforma della responsabilità sanitaria sia lo strenuo tentativo di arginarne gli elementi di incostituzionalità già evidenziati dagli interpreti più attenti e fatti propri dal Procuratore Generale della medesima Corte che, non certo a caso, ha chiesto di sollevare la questione di costituzionalità per la violazione degli artt. 2, 3, 24, 25, 27, 32, 33, 101, 102 e 111 Cost. ritenendo che l’unica interpretazione possibile della novella legislativa sia quella basata sulla lettera della medesima.
 
La qual cosa confliggerebbe non solo con il principio di divieto ingiustificato di disparità di trattamento tra situazione omologhe ma anche con il principio di tassatività della norma penale, con quello della dignità della professione sanitaria per la sua sostanziale etero-regolazione amministrata, con quello del diritto alla salute e con quello della responsabilità personale.

Leggendo con spirito critico la sentenza delle Sezioni Unite penali della Corte si ha così la netta impressione che la nuova interpretazione dell’art. 590-sexies della legge Gelli-Bianco sia così uno strenuo tentativo di salvare la norma proteggendola dai suoi profili (evidenti) di incostituzionalità con la conseguenza che alcuni passaggi nell’argomentazione sono a dir poco forzati, pur dando per ammesso il loro obiettivo che, come aveva fatto l’estensore della sentenza Taraboni privilegiando la sua interpretazione costituzionalmente guidata, è quello di superare definitivamente l’interpretazione letterale dell’art. 6 della legge Gelli-Bianco: strada, quest’ultima, davvero perigliosa perché, assecondando questa via interpretativa, l’esclusione della responsabilità imperita sarebbe circoscritta alla sola fase di selezione delle guidelines o delle bestpractice clinico-assistenziali approvate ed aggiornate ai sensi di legge ma non alla loro imperita esecuzione.
 
Con una imperizia per così dire di risulta - quella che, per capirci, potremmo esprimere come esecutiva – posizionata al di fuori dalla gamma delle condotte penalmente punibili quando anche l’arte della cura, come ogni sapere teorico-pratico, si fonda non solo sulle conoscenze teoriche ma soprattutto su quelle pratiche. Con la conseguenza che sarebbe davvero diabolico escludere dalla punibilità penale quel non saper fare che è il nucleo nobile della perizia professionale.

Muovendo dal presupposto che il canone interpretativi dettato dall’art. 12 delle preleggi prevede la valorizzazione del significato delle parole che deve però tener anche conto dell’intenzione del legislatore, le Sezioni Unite penali della Suprema Corte si sono così cimentate in una interpretazione costituzionale dell’art. 6 della legge Gelli-Bianco, come aveva peraltro già tentato di fare l’estensore della sentenza Tarabori anche se la parte finale di quella sentenza, riproponendo la questione della graduazione della colpa che era già stata oggetto di un’approfondita ermeneutica interpretativa oltre che di un pronunciamento della Corte costituzionale, aveva suscitato negli interpreti qualche legittimo mal di pancia proprio perché questa particolarissima questione, disciplinata dalla riforma del 2012 a caratterizzare la parziale abolitio criminis, era stata poi espulsa dalla legge Gelli-Bianco per ragioni poco chiare per non dire assolutamente incomprensibili.

Anche se quest’idea era stata lasciata dalla sentenza Taraboni nel limbo dell’incertezza che le Sezioni Unite penali hanno ora provato a colmare di contenuti provando a sviluppare il contenuto costituzionale della nuova riforma della responsabilità sanitaria, sicuramente anche per contrastare quanto chiesto dal Procuratore Generale e con l’obiettivo di individuare il significato più coerente del dato precettivo, così plasmando la nuova regola del diritto riempiendo di contenuti il suo deficit di tassatività, purtroppo evidente a tutti, forse anche ai suoi stessi proponenti. La premessa da cui parte il ragionamento delle Sezioni Unite penali della Corte è quella di non muovere particolari critiche alle due sentenze della IV Sezione causa del contrasto interpretativo pur dando per evidente la mancanza di una sintesi interpretativa complessiva capace di restituire la effettiva portata della norma in considerazione (Par. 5).
 
Anche se poi, nello sviluppo argomentativo, la si tradisce affermando che la sentenza Taraboni avrebbe fornito un’interpretazione erronea della nuova abolitio criminis, in contrasto con l’intenzione innovatrice manifestata nella discussione parlamentare che, a mio modesto modo di vedere, non ha certo brillato nell’affrontare gli aspetti etico-pratici degli enunciati. Stessa sorte anche per la sentenza Cavazza, non immune da critiche secondo le Sezioni Unite penali perché il suo estensore sarebbe caduto nell’errore opposto, ovverosia quello di rendere non punibile qualsiasi condotta imperita del sanitario che abbia provocato la morte della persona o una lesione personale, indipendentemente dal grado della colpa.

Affrontando nel merito la questione della nuova impunità, le Sezioni Unite penali della Suprema Corte affermano che la legge Gelli-Bianco, rispetto alla precedente riforma approvata nel 2012, non si muove in deroga ai principi generali stabiliti dall’art. 43 c.p. ma sul terreno della specificazione dell’illecito colposo, ricorrendo all’inquadramento della non punibilità effettuato sulla base di un bilanciamento ragionevole di interessi tra loro concorrenti (Par. 8). L’intervento del legislatore, essendosi focalizzato sui soli artt. 589 e 590 della legge penale (morte e lesioni personali), avrebbe, infatti, lo scopo di aver delineato uno scenario del tutto innovativo rispetto alla precedente riforma in cui la mancata evocazione della colpa lieve non preclude la ricostruzione della novella legislativa che ne tenga comunque conto, anche alla luce di quanto stabilito sulla questione dalla Corte costituzionale.
 
Cosicchè le gravi infedeltà alle leggi dell’arte, formalizzate ed implementate ai sensi di legge, sono riconducibili, secondo le Sezioni Unite penali della Suprema Corte, a queste quattro distinte fattispecie: (1) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da negligenza o imprudenza; (2) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia quando il caso concreto non è regolato da linee guida o da buone pratiche clinico-assistenziali; (3) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso clinico concreto; (4) se l’evento si è verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione delle raccomandazioni contenute nelle linee guida o nelle buone pratiche clinico-assistenziali.

Così le Sezioni Unite penali della Suprema Corte hanno ricostruito la parziale abolitio criminis operata dall’art. 6 della legge Gelli-Bianco con una prospettiva nuova dell’irresponsabilità professionale in cui gli elementi tradizionali dell’illecito colposo trovano una qualche sorta di bilanciamento con la gravità della violazione. Occorre naturalmente chiedersi se questa era davvero l’intenzione originale del legislatore che nella novella legislativa ha fatto esplicito riferimento alla sola imperizia sorvolando sulla punibilità alla colpa non lieve sulla quale si erano concentrati gli apporti della giurisprudenza di legittimità dopo la legge Balduzzi, individuando il significato più coerente del dato precettivo e così plasmando la regola di diritto sia pur in termini generali ed astratti.
 
E, se non fosse così come sembra a me visto il profondo languore di un dibattito politico strumentalmente focalizzato sullo spostamento della responsabilità civile sul versante extracontrattuale per affermare l’aumento del regime protezionistico a favore del medico e così aumentare la schiera dei supporter, resta aperta la domanda del perché le Sezioni Unite si sono spinte così in là nella interpretazione del comando penale andando ben oltre la letteralità del testo sia pur in una direzione costituzionalmente guidata. Saranno gli interpreti a dare una risposta a questo amletico quesito che, a mio modo di vedere, conferma ancora una volta il tentativo di salvaguardare la norma dai profili di incostituzionalità.

C’è, tuttavia, un argomento considerato dalle Sezioni Unite penali che vale la pena di analizzare perché forse, per la prima volta, si ammette la difficoltà di distinguere tra colpa da negligenza e colpa da imperizia (Par. 6) e l’estrema fluidità dei confini tra dette nozioni anche perché le leggi dell’arte non contemplano solo regole di perizia quando, ad es., esse richiedono prestazioni che attengono la sfera dell’accuratezza dei compiti, della diligenza e della prudenza.
 
Dunque: le guidelines e le bestpractice clinico-assistenziali in mancanza delle prime non contengono sole regole di condotta riassumibili nella perizia professionale con la conseguenza che la non punibilità dell’imperizia prevista dalla legge Gelli-Bianco deve essere interpretata non solo in senso letterale ma attraverso il bilanciamento di tutti gli interessi concorrenti in gioco. Con la conseguenza che questa legge non opera la parziale abolitio criminis dell’art. 43 della legge penale avendo essa definito una nuova area di non punibilità del tutto particolare ed in deroga ai principi generali in grado di restituire al sanitario la serenità nell’affidarsi alla propria autonomia professionale agevolando il perseguimento di una garanzia effettiva del diritto costituzionale alla salute (Par. 8).
 
Anche se questa nuova area di non punibilità richiede, secondo i Supremi Giudici, di dare un abito presentabile ad una norma ignuda soprattutto per supplire la mancata evocazione della colpa lieve da parte del legislatore del 2017, recuperando l’interpretazione della gradualità della colpa da imperizia data dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 166 del 1973 e dalla folta giurisprudenza di legittimità formatasi dopo la legge Balduzzi con la quale si è stabilito che la colpa assume connotati di gravità solo quando l’approccio terapeutico risulta marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia, al suo sviluppo e alle condizioni del paziente (Par. 10.2).

Da qui i quattro principi generali della colpa dell’esercente la professione sanitaria stabiliti del Giudice nomofilattico destinati a far discutere.

Non tanto riguardo alle ipotesi di negligenza e di imprudenza anche lieve che, nel caso di morte della persona o di una lesione personale, rappresentano sempre gravi infedeltà alle leges artis in controtendenza rispetto ai precedenti orientamenti giurisprudenziali formatisi dopo la legge Balduzzi. Quanto per l’imperizia che, sia pur esclusa dalla punibilità dalla legge Gelli-Bianco, viene ora rimessa in gioco proprio in relazione alla graduazione della colpa: che potrà essere anche lieve qualora si individueranno linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate rispetto alla specificità del caso clinico e nell’ipotesi in cui lo stesso non sia regolamentato da nessuna di esse. Previsione, quest’ultima, che suscita profondo imbarazzo perché i casi più difficili da affrontare in ambito clinico sono proprio quelli in cui non esistano raccomandazioni scientifiche accreditate pur restando ancora convinto che una cosa è l’accreditamento internazionale, un’altra è l’accreditamento di una medicina amministrata ai sensi di legge.

Un’ulteriore conferma, ove ve ne fosse ancora bisogno, che la nuova legge sulla responsabilità professionale individua un perimetro dell’irresponsabilità penale meno favorevole rispetto alla legge Balduzzi e non era certo questo che i due Relatori della stessa hanno enfaticamente annunciato nei molti interventi pubblici che ci sono stati.
 
Fabio Cembrani
Direttore U.O. di Medicina Legale
Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento 


05 marzo 2018
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