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Bene bocciatura dei “tempari”, ma ora superare logica “a silos”

di Paolo Boldrini

04 GIU - Gentile Direttore,
la recente sentenza del TAR del Lazio, che annulla un decreto regionale sui cosiddetti “tempari”, ha suscitato la comprensibile soddisfazione della componente medica, di altre professioni sanitarie, di organizzazioni di rappresentanza civica.
 
Appare come una conferma di quanto queste hanno sostenuto con decisione, circa la necessità di evitare approcci di stampo rigidamente “efficientistico”, che rischiano di compromettere gravemente la relazione di cura e di comprimere in modo intollerabile lo spazio di indispensabile discrezionalità del professionista.
 
Tutto bene dunque? Purtroppo no; la vicenda conferma quanto sia ampia la divergenza fra clinici e programmatori sulle modalità di gestione di una risorsa fondamentale e non recuperabile, come il tempo.

Non è incoraggiante che si sia dovuti ricorrere alla giustizia amministrativa (che ovviamente ha agito con un ruolo di sola interdizione) su un tema che richiederebbe di attivare in modo collaborativo le migliori competenze scientifiche e professionali, per tentare di coniugare qualità delle cure, uso corretto delle risorse e sostenibilità.

La cosa è tanto più sconcertante se si pensa all’enfasi posta in molti recenti atti normativi nazionali e regionali sui concetti di continuità di cura, gestione integrata dei percorsi assistenziali, presa in carico (solo nel Piano Nazionale Cronicità la locuzione “presa in carico” compare oltre settanta volte), ruolo terapeutico del “tempo di relazione” nella cura ed empowerment del paziente. Tutto ciò appare lontanissimo dalla logica del decreto oggetto della sentenza del TAR.

E’ noto che la valorizzazione degli aspetti comunicativi e del tempo utilizzato per l’ascolto reciproco nella relazione medico-paziente fanno parte di approcci diffusi negli ultimi anni, come “Choosing Wisely” negli USA, e “Slow Medicine” nel nostro paese, e si collegano alle aree della “Narrative Medicine” e delle “Medical Humanities”.

Sembra superfluo ribadire che il fattore “tempo” non può essere trattato come una variabile isolata su cui intervenire settorialmente, senza tener conto delle reciproche interazioni con altri aspetti essenziali relativi a risorse, processi ed esiti del processo assistenziale. Una prospettiva più ampia è indispensabile se si vuole passare da una prospettiva “prestazionale” ad una realmente orientata alla valorizzazione complessiva dei percorsi di cura e dei loro esiti.

Sarebbe un passaggio vincente anche sul piano economico: è sbagliato ritenere “a priori” che un aumento del tempo da dedicare al paziente comprometta la produttività, anche a fronte di una contrazione delle risorse disponibili. Vi sono evidenze del fatto che investire maggior tempo nella visita e nell’ascolto comporta non solo assistenza di migliore qualità, ma anche risparmio di tempo e costi nelle fasi successive.

Considerazioni analoghe si possono fare sul tema delle liste d’attesa: alcune positive esperienze regionali nel settore ambulatoriale si sono basate su un approccio sistemico, che ha consentito di agire in modo coordinato, partecipativo e non meramente prescrittivo, su diversi aspetti del problema.

La SIMFER ha già sottolineato come queste considerazioni siano di rilevanza cruciale nel campo dell’assistenza riabilitativa: la presa in carico in  Medicina Fisica e Riabilitazione necessita di tempi sufficienti per la valutazione della persona e del suo ambiente, secondo l’approccio biopsicosociale che ne è un elemento caratterizzante. Tempi adeguati sono necessari per lo sviluppo di una relazione di cura che superi le asimmetrie di conoscenze, per la condivisione del Progetto Riabilitativo con la persona nonché per la comunicazione fra i diversi professionisti coinvolti.

Spiegare ad una persona con lombalgia “benigna” che fare certi accertamenti radiologici è inutile e controproducente; rassicurarla sulle cause e sul decorso; definire con lei un progetto riabilitativo che eviti fenomeni di sovratrattamento senza che questa si senta trascurata e lasciata a sé: tutto questo richiede tempo, ma alla fine comporta un minore e più efficace uso delle risorse, se si considera l’episodio di cura nel suo complesso e non solo la singola prestazione della visita.

Per non parlare di quanto articolato e complessi siano i tempi della relazione di cura in caso di gravi patologie disabilitanti, come ad esempio ictus, grandi traumi, cerebropatie perinatali.

Il persistere di visioni efficientistiche e crudamente “prestazionali” produce spesso fenomeni incrementali controllabili solo con logiche di contrazione unilaterale  delle risorse, come insegna proprio il caso dei “tempari”  regionali.

La SIMFER ha già sottolineato che ciò è in buona parte dovuto al persistere di una visione prevalente dei servizi in termini di singole prestazioni, con la conseguente aggregazione in settori distinti e di norma non comunicanti (assistenza ospedaliera in acuzie, post-acuzie, territoriale, farmaceutica, protesica…). Questa visione “a silos” rende molto difficoltosa la lettura complessiva del percorso di cura, per non parlare del rapporto fra risorse impiegate complessivamente ed esiti finali.

Molti dispositivi normativi (vedi ad es. i LEA) e la maggior parte dei sistemi informativi, cui si collega la valorizzazione delle diverse attività, sono ancora largamente permeati da questa visione. Non c’è da stupirsi se l’attenzione del programmatore finisce per orientarsi essenzialmente sull’analisi dei singoli aspetti quantitativi dell’offerta, e sull’efficientamento delle risorse impiegate per ciascuno di essi.

Tale prospettiva va modificata prendendo in considerazione l’episodio assistenziale nel suo complesso. Nel caso della Medicina Fisica e Riabilitativa, quindi, non una semplice sommatoria di  singole prestazioni, ma un coerente,  aggregato di prestazioni organizzate secondo un percorso predefinito (PDTA), personalizzato in un Progetto Riabilitativo Individuale, in cui sia riconosciuto il valore delle attività di tipo comunicativo-informativo, educazionale, motivazionale che ne costituiscono parte integrante, e siano valorizzate le dimensioni di continuità assistenziale e degli esiti.

E’ certo un percorso complesso e difficile, forse più sul piano culturale che su quello tecnico-organizzativo. Un passo importante può venire dalla revisione dei sistemi di raccolta e di analisi delle informazioni, con il superamento della citata logica “a silos”. Alcuni segnali a livello programmatorio nazionale e regionale sembrano andare in questa direzione; ritengo che i clinici e tutti i professionisti coinvolti nel settore dell’assistenza riabilitativa possano e debbano dare un contributo rilevante in questo processo.
 
Paolo Boldrini
Past President – Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (SIMFER) 


04 giugno 2018
© Riproduzione riservata

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