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Per combattere la violenza contro i medici la via giusta non è la militarizzazione degli ospedali

di Ornella Mancin

28 NOV -
Gentile Direttore,
vorrei esprimere il mio ringraziamento al professor Cavicchi per la sua analisi come sempre lucida e profonda sul tema della violenza contro i medici, un grazie soprattutto perché offre una visone che va in controtendenza  all'attuale  tentativo di “militarizzare” la sanità come se questa fosse l'unica possibile soluzione a un fenomeno in crescita ,che va sicuramente arginato, ma di cui vanno indagate le cause.
 
La violenza contro i medici è ormai una realtà che fino a qualche decennio fa  sarebbe apparsa impossibile. Chiedersi cosa è successo, cosa è cambiato , perché si avveri,   è sicuramente indispensabile  se si vuole affrontare il fenomeno con cognizione di causa., per evitare semplificazioni e per non dare risposte impulsive che possono risultare inefficaci se non controproducenti.
Le aggressioni ai medici non possono più essere derubricate a fenomeni isolati  dovute a qualche squilibrato o  a qualche violento.
 
Cosa sta succedendo? Qualcosa è cambiamento nella percezione della figura del medico, ne parliamo da anni. La nostra autorevolezza è entrata in crisi, la medicina paternalistica  non esiste più, ma evidentemente un nuovo rapporto medico paziente fatica a prendere piede; fatica soprattutto a crescere quella alleanza medico paziente che dovrebbe rappresentare il superamento del vecchio autoritarismo.
 
Fatica ad affermarsi anche perché non ci sono spesso le condizioni lavorative perché questa alleanza diventi autentica. Come  medici abbiamo perso  autonomia professionale perché dobbiamo sempre più rispondere alle direttive delle Asl, dei dirigenti ospedalieri, della Regione.
 
Quando siamo impegnati  a ridurre le prestazioni e la spesa sanitaria  al di là della necessaria appropiatezza, siamo sicuri di poterci sempre proporre come alleati dei nostri pazienti? Non si crea quanto meno un conflitto  tra quanto ci sembrerebbe necessario fare e quanto invece è consentito?
 
Non solo lavoriamo con sempre meno autonomia ma lo facciamo dentro un sistema sempre più inadeguato: Pronti soccorsi che scoppiano, posti letti che mancano, liste d'attesa sempre  più lunghe.
 
Lo ha detto con chiarezza il Presidente della Fnomceo Anelli ieri  alla tredicesima edizione del Forum Risk Management in Sanità, a Firenze: “L’aziendalizzazione della sanità, che ha trasformato i medici in tecnici, le prestazioni sanitarie in merci, i pazienti in consumatori, ha minato alla base l’alleanza medico-paziente, creando un’evidente frattura nel delicato mondo sanitario, in cui la reciproca fiducia, tra curato e curante, è il cemento che tiene insieme il Servizio sanitario pubblico. Di qui il ripetersi di aggressioni ai danni dei colleghi, su cui viene scaricata la responsabilità e di conseguenza la rabbia dei pazienti e dei loro familiari per ogni vero o presunto malfunzionamento del sistema”.
 
Appare evidente quindi che esiste un'area, secondo me ancora poco esplorata da coloro che hanno avanzato delle proposte di segno repressivo, per risolvere il problema della violenza, che è quella della sua prevenzione.


 
E' del tutto evidente che per non andare noi medici "contro" il cittadino e quindi per non entrare in contraddizione con la nostra deontologia che ci obbliga a partire dalle necessità  del paziente, l'unica vera strada che abbiamo è quella di organizzare le cose in modo da ridurre il fenomeno della violenza, cioè rimuovere le condizioni che la favoriscono, e nello stesso tempo favorire ciò che la destituirebbe di ogni giustificazione.
 
Molto interessante appare ad esempio quella idea di "deontologia sociale" che ha lanciato Trento (QS 26 giugno) e che  si fonda sulla ridefinizione di un patto sociale tra medici  e  cittadini, necessario a mio avviso per rifondare una alleanza in cui il cittadino ha non solo diritti ma anche doveri.
 
Quindi per me non si tratta solo di ridurre quella che con molta eleganza il professor Cavicchi rifacendosi a Shakespare chiama "l'insoleance of office" ma anche di creare quella che in senso contrario potremmo chiamare "amiability of office".
 
Mi rendo conto  che fare un discorso di amabilità nella situazione in cui ci troviamo rischia quanto meno di passare per utopia o per qualcosa di assolutamente velleitario. Ma non posso non sottolineare che la "questione della violenza" non è estranea alla   "questione medica" come ha ben ricordato il professor Cavicchi nel suo articolo, anzi ne rappresenta la sua esasperazione, che  ci fa vedere da una nuova prospettiva ciò che non va , ciò che non funziona, ciò che rischia di degenerare in una pessima sanità e in una pessima medicina.
 
Prevenire la violenza vuol dire quindi vederci impegnati a cambiare le situazioni che la favoriscono e che riguarda sia questioni organizzative (innovare il sistema, assumere medici) sia culturali (e in questo senso è necessario lavorare per una nuova figura di medico e una nuova alleanza medico-paziente).
 
Sono stata colpita da due cose che ho letto su questo giornale (QS 26 novembre 2018):
- che almeno la metà dei medici sono oggetto di aggressioni (1 su 2) e che vi è una violenza di genere perché nella metà di medici aggrediti il 70% sono donne,
- che la Corte di Cassazione abbia sentenziato che tra gli obblighi del datore di lavoro c'è quello di adottare tutte le cautele e le misure atte ad evitare la violenza.
 
Questi dati ci dicono che  una  eventuale politica di prevenzione della violenza deve avere necessariamente un orientamento di genere, che deve portare ad una riorganizzazione dell'esistente che tenga conto della femminilizzazione della medicina.
 
E per un datore di lavoro cosa vuol dire adottare tutte le cautele? Chiamare i soldati  o garantire tutte le condizioni di adeguatezza di un servizio?
 
Si comprende bene che tutto quanto in un modo o in un altro impedisce a noi medici di avere delle buone relazioni con i nostri malati, diventa una concausa determinante nei confronti degli episodi di violenza.
 
Mi auguro che sulla questione violenza una analisi fenomenologica realista prenda il posto di quella molto semplificata, ma anche molto emotiva, e poco meditata, che fino ad ora ho letto  qua e là.
 
Ornella Mancin
Medico di famiglia
Cavarzere (Ve)


28 novembre 2018
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