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Regionalismo differenziato. Stiamo andando verso la Padania? 

di Michele Masala

20 FEB - Gentile Direttore,
vorrei intervenire sul tema del regionalismo proponendo una chiave di lettura tramite l’analisi degli eventi sviluppati dalla Lega che si sono succeduti nel corso degli anni. Emerge una concatenazione non casuale che indica come ci sia una traiettoria d’azione che punta allo stesso obbiettivo: disancorare sempre più il Nord dal Sud.

Ricordo che un tempo come argomento politico in Italia c'era la secessione, era il tema che sventolava la Lega di Bossi tra le ampolle del Po e il mantra "Roma ladrona, la Lega non perdona".

Era il 1996 quando, nel corso di una manifestazione a Venezia, Bossi proclamò la Repubblica della Padania, costituita da Piemonte, Lombardia e Veneto. Il Senatur presentò anche una “Costituzione” il cui primo articolo enunciava: “il Governo della Padania è autorizzato a dare attuazione alla dichiarazione di indipendenza e sovranità della Padania”.

L’indipendenza non fu, ovviamente, mai riconosciuta da alcun Stato e furono avviate inchieste per attentato all’unità dello Stato e l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano minacciò di arresto Bossi. Costui, constatando l’impossibilità di istituire la Repubblica della Padania, aggirò l’ostacolo archiviandolo provvisoriamente a favore di un altro progetto che invece era possibile sviluppare, quello della devolution: il trasferimento di competenze legislative e amministrative dallo stato alle regioni e del federalismo fiscale. In definitiva, una forma soft di secessione, attraverso l’enhancement della sovrastruttura dei territori, delle sue istituzioni. Un progetto che step-by-step avrebbe avvicinato il Nord alla tanto sospirata autonomia.

Le leggi costituzionali del 1999 e 2001 rafforzarono l’autonomia delle regioni. Quella del 2001, proposta da Calderoli, capovolse la prospettiva proponendo un elenco di materie in cui la potestà legislativa era di esclusiva spettanza delle regioni. Bossi, ministro delle riforme, nel 2005 tentò il colpo di un ulteriore avanzamento del regionalismo, ma il suo progetto naufragò con il referendum del 2006. In seguito gli anni furono silenti e coincisero con la perdita di consenso della Lega che raggiunse i suoi minimi storici.  

Matteo Salvini succeduto a Bossi come segretario nel 2013, si è dimostrato un formidabile stratega politico: è riuscito in pochi anni a far rinascere la Lega portandola ad essere il primo partito del paese tout court. Se l’innesco di accensione del regionalismo è avvenuto con Bossi, Salvini con la sua Lega 2.0, ne ha impresso un impulso rivitalizzante.

Salvini è nato e cresciuto nell’humus politico bossiano a partire dal lontano 1990; i suoi ideali politici rispecchiano fedelmente i valori e la filosofia politica della Lega. Sono molti gli eventi che lo dimostrano: l’incontro con l’allora Presidente della Repubblica Ciampi, al quale non strinse la mano dichiarando di non sentirsi rappresentato, ai cori contro il prefetto di Milano che propose di allontanare da Milano, data la sua cittadinanza italiana e, in un passato più recente, quando nel 2014 lanciò la proposta referendaria di rendere indipendente la Lombardia dall’Italia.

Salvini sta giocando in questi anni una sorta di partita a Risiko sottotraccia, in cui la tattica più importante, come nel famoso gioco, è nascondere astutamente l’obbiettivo finale muovendosi con i tempi e le truppe giuste. I carri armati colorati schierati in massa durante la campagna elettorale sono stati rappresentati dai temi cari a un considerevole strato della popolazione che gli hanno permesso di vincere.

L’obiettivo Padania rappresenta il sogno più vagheggiato e mai tramontato da tutti i leghisti e per raggiungerlo Salvini ha adottato la strategia di eliminare l’argomento dal pubblico dibattito, determinandone l’oblio e l’occultamento. Sono stati banditi dal linguaggio e dalla iconografia della Lega le parole e i simboli Nord e Padania, nei talkshow televisivi nessun politico della Lega ha più parlato dell’argomento. L’intento è quello di confondere per far credere che della Padania non importi più a nessuno. La Padania, invece, sta prendendo corpo e il regionalismo rappresenta l’ultima leva cruciale: la quadratura del cerchio.

Recentemente un importante esponente della Lega, il Sottosegretario di Stato Giorgetti, si è lasciato sfuggire: “Se non si porta a casa il regionalismo non vale la pena tenere in piedi il governo”. Questa affermazione dimostra come si consideri il regionalismo il dossier più importante e identitario della Lega.

Il regionalismo, nel ridefinire l’orizzonte delle competenze della Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna con relativa detenzione finanziaria, finirà per indebolire ancora di più la capacità dello Stato di garantire la solidarietà orizzontale, premessa della vita unitaria di un paese civile e spingerà ancor più le società meridionali in uno stato di arretratezza e povertà.

Al di là delle formule tortuose con le quali si nasconde la realtà, il regionalismo condannerà anche a morte certa la Sanità Pubblica e duole constatare che lo Stato stia abdicando a un suo preciso dovere: non sta onorando quanto stabilisce la nostra Carta nell’art.3.

Michele Masala
Piacenza

20 febbraio 2019
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