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Ancora su prevenzione e assicurazioni

di Pietro Cavalli

17 MAR - Gentile Direttore,
ho trovato molto interessante il dibattito su QS tra Vecchietti, assicuratore e Battaggi e Scalisi, medici. Si tratta, nel dettaglio, della proposta assicurativa di implementare uno screening universale per il cancro ovarico e delle necessarie precisazioni sul significato del termine screening da parte dei colleghi medici. Un colloquio civile tra posizioni inconciliabili.
 
L'impressione suscitata dal dibattito è che oggi i numeri, i dati scientifici, la competenza e l'esperienza non siano tanto di moda e che le affermazioni valgano in quanto tali.
Di fatto sembra proprio che le forme avanzate di comunicazione riescano sempre a prevalere su qualsiasi approccio razionale, pur se supportato da analisi rigorose. Ne siamo testimoni quotidianamente in molti aspetti della esistenza contemporanea, e però, quando si tratta di condizioni serie e pericolose (gravi malattie), forse è importante che il dibattito non venga interrotto.
 
Qual è il punto centrale della discussione? Vecchietti, sulla base della condivisibile affermazione di un medico oncologo, secondo cui la diagnosi di cancro ovarico (ma anche di molti altri, immagino) debba essere il più precoce e tempestiva possibile, dichiara la disponibilità di un fondo sanitario integrativo ad occuparsi della questione e ad organizzare un programma di screening specifico per il tumore ovarico. Le precisazioni dei colleghi Battagi e Scalise, esperti in programmi di screening, vengono di fatto del tutto ignorate.
 
Partendo quindi da un'affermazione corretta, Vecchietti sostiene che ad una persona che ha familiarità con il cancro ovarico potrebbe essere fornito, nell'ambito di programma di sanità integrativa, lo screening specifico per cancro ovarico.
Nel ricordare a me stesso che una “persona con familiarità per cancro ovarico”, dovrebbe invece rivolgersi ad un oncologo oppure ad un genetista con esperienza oncologica, ambedue accessibili nell'ambito del SSN, forse è meglio precisare il caso in questione di configura, con elevata probabilità, come una condizione di predisposizione genetica al cancro (non solo ovarico).
 
In questi casi l'identificazione della causa genetica è l'aspetto più rilevante per la gestione clinica del paziente, per i suoi familiari malati ma anche per i familiari sani, potenzialmente portatori di una “anomalia” genetica. Senza ombra di dubbio in questi casi più che il ricorso ad uno screening garantito dalla sanità integrativa, si rende necessario ricorrere ad un corretto inquadramento clinico-diagnostico ed al test genetico appropriato.
 
Ricordo, sempre a me stesso, che nella popolazione ad alto rischio genetico l'opzione più appropriata è, al momento, la riduzione del rischio mediante intervento chirurgico (RRSO: risk reducing salpingo-oophorectomy), da effettuarsi tra i 35 ed i 40 anni, dopo adeguato counselling sulle opzioni riproduttive della donna.
 
L'alternativa, cioè lo screening mediante CA-125ed ecografia transvaginale ha effetti assai incerti. Infatti gli attuali dati di letteratura ci dicono che la mortalità a 11 anni in donne ad alto rischio genetico non cambia, sia che venga seguito il programma di screening, sia che questo non venga attuato. Va sottolineato ancora una volta che gli unici dati disponibili riguardano donne selezionate per rischio elevato e non la popolazione normale, nella quale i risultati dello screening sono, per motivi già spiegati da Battaggia e Scalisi, ancor più modesti di quelli, già molto scarsi, relativi alla popolazione ad alto rischio genetico.
 
Segnalo inoltre che, anche grazie all'impegno congiunto di medici oncologi e genetisti ed alle pressioni di alcune associazione di pazienti, i programmi di sorveglianza genetica per il cancro ovarico sono ampiamente in funzione anche nel nostro Paese. Magari in alcune Regioni si fa di più, in altre di meno, tuttavia il personale del SSN è in grado di affrontare con estrema competenza ed attenzione i casi di cancro ovarico ed il loro inquadramento clinico e genetico.
 
Vale inoltre la pena di segnalare che l'analisi genetica somatica (su tessuto neoplastico) è prevista da tutte le raccomandazioni mediche ed effettuata ormai di routine su tutti i tumori ovarici. Di conseguenza anche l'eventuale e successivo inquadramento genetico-familiare è previsto da tutte le linee guida, nazionali ed internazionali.
Il dibattito in corso sembra quindi confermare che il mestiere del medico oggi sia veramente difficile, complicato e rischioso. Per questo motivo abbiamo la necessità dell'aiuto e della collaborazione di mille differenti professionalità: dai professionisti sanitari a quelli di comunicazione, dai politici ai bioeticisti, dagli esperti di organizzazione sanitaria a quelli di economia, dagli assicuratori agli avvocati.
 
Tuttavia una cosa è il mestiere di medico, altra cosa la Medicina.
Oggi la Medicina si basa sui dati il più possibile oggettivi, se pur falsificabili. Dati, non affermazioni. Se la pubblicità del “bella fuori, pulita dentro” appare insensata dal punto di vista medico, ha almeno il vantaggio di migliorare le diuresi e favorire il trasporto su gomma delle bottiglie.
 
Altre affermazioni, quando riguardano approcci clinici a gravi malattie, dovrebbero invece essere basate su analisi rigorose e sottoposte al vaglio della comunità scientifica. Noi almeno, che abbiamo iniziato a praticare la Medicina da qualche millennio, siamo arrivati a questa conclusione. 
 
Confidando più in generale che la presentazione e la discussione di dati scientifici non venga ignorata o banalizzata e nell'augurare i migliori e più elevati successi economici alla sanità integrativa, auspico tuttavia che tale prospettiva non venga ottenuta a discapito della gestione clinica e della salute dei/delle nostre pazienti.
 
Pietro Cavalli
Medico Genetista
ASST-Cremona

17 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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