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Salute mentale e assistenza in carcere. Superare le divisioni ideologiche e tornare ad investire

di Pietro Pellegrini

09 APR - Gentile direttore,
il recente documento del Comitato Nazionale per la Bioetica (QS 31 marzo 2019) su "Salute mentale e assistenza psichiatrica nelle carceri" riporta l'attenzione su un tema che dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) non ha ancora avuto una riforma organica. Nonostante gli Stati generali per l'esecuzione della pena e la legge 103/2017 non si è creato un sistema unitario ed organico in grado di assicurare il diritto alla salute a prescindere dallo stato giuridico.
 
La chiusura degli OPG è stata un fatto di civiltà ma non ha risolto tutti i problemi. Tuttavia, a distanza di quattro anni, la legge 81 nel complesso sembra poter funzionare tanto che a fronte di circa 610 posti in REMS vi è un crescente numero di persone seguite dai Centri di salute mentale stimato in circa 6000 persone a livello nazionale, sulla base di una proiezione dei dati del 2017 dell'Emilia Romagna. Sulla base di recenti rilevazioni il dato potrebbe essere anche maggiore ma può essere solo stimato in quanto manca un sistema epidemiologico nazionale.

Per quanto vi siano elementi critici, la chiusura degli OPG è risultato epocale che va evidenziato insieme ai problemi, alle contraddizioni che una tale riforma ha determinato e al contempo vanno visti i passi necessari per completare un sistema di cura e giudiziario di comunità. 

Infatti, pur di fronte a due pronunciamenti del Consiglio Superiore della Magistratura, alla stipula di diversi protocolli regionali tra psichiatria e magistratura, e all'impegno di tanti operatori sanitari e del diritto, le nuove prassi fanno fatica ad affermarsi. Lo stesso accordo Stato Regioni del 26 febbraio 2015 non è più stato aggiornato. Manca un'azione di governo nazionale e coordinata con le regioni, sedi ove affrontare i diversi problemi aperti. 

La definizione delle Buone pratiche andrebbe effettuata mediante una Consensus conference nazionale con il coinvolgimento di tutti gli attori, magistrati, psichiatri, amministrazione penitenziaria, UEPE, garanti, sindaci e servizi sociali, pazienti e loro associazioni, società civile.  
Un tema complesso sul quale si possono fare solo alcune considerazioni.

Le REMS dovrebbero essere "residuali" ma ospitano sia soggetti con misure di sicurezza definitive e sia, per circa il 40%, persone con misure provvisorie. Questo determina da un lato la lista di attesa e dall'altro un peggioramento della qualità della cura. Questa avviene nel territorio e si sta riflettendo sulla qualità delle risposte, le tipologie di REMS ma anche sulla loro natura e utilità.
D'altra parte l'operatività risente della mancata definizione legislativa dei percorsi relativa ai diversi profili giuridici che venivano collocati negli OPG. 

La loro chiusura ha semplicemente fatto emergere una situazione di sofferenza negli II.PP connessa non solo ai disturbi mentali e alla carenza delle Articolazioni Tutela salute mentale, quanto al disagio sociale e alle condizioni stesse della detenzione. 

Una considerazione questa che dovrebbe essere affrontata in modo coerente, sia assicurando adeguati interventi di cura specie alternativi al carcere, sia mediante una profonda riflessione su qualità e metodi rieducativi applicati a tutti i detenuti e non solo per coloro che sono malati. Problemi aperti da tempo come l'alto tasso di recidive nei reati (intorno al 70%), anche se il maggiore sovraffollamento e la ripresa dell'aumento dei suicidi come evidenziato anche dalla recente relazione del Garante Mauro Palma, dovrebbero indurre una riflessione circa l'efficacia della politica attuata, specie nell'ultimo anno, che ha puntato su una presunta certezza della pena (e non del diritto) rendendo più difficile l'accesso alle misure alternative al carcere. 

Sotto profilo legislativo come ricorda il CNB la persistenza dell'art. 148 del c.p. mantiene una grave discriminazione a danno dei malati mentali, i quali subiscono anche lo stigma della non imputabilità, del doppio binario: una "norma si configura come una “legislazione speciale” per persone portatrici di disabilità psico-sociale, espressamente esclusa dalla Convenzione sulla Disabilità".

Il tema della condanna dell'atto-reato si pone nella quotidianità, anche per la cura, perché la persona anche se malata si rende conto di quanto ha commesso ed ha bisogno di capire, di elaborare e per quanto possibile di riparare. Garantire il diritto al processo non significa negare il disturbo mentale ma tenerne conto nell'esecuzione della pena. Imputabilità e pericolosità sociale restano il punto centrale del nostro sistema con tutte le conseguenze in termini di scientificità, adeguatezza, rispetto dei diritti, utilità nei percorsi di cura e abilitazione. 

In questo quadro i disturbi mentali non rappresentano un quadro unitario, bensì un insieme eterogeneo di condizioni cliniche, sociali e giudiziarie. Mentre nelle REMS le persone con disturbi psicotici rappresentano circa il 70%, secondo i dati della Regione Emilia Romagna Report 2017 sulla salute in carcere in Emilia Romagna il problema della salute mentale e delle dipendenze patologiche negli Istituti di pena risulta rilevante e il 16,1% dei detenuti presenta quadri psichiatrici clinicamente significativi.
 
Tuttavia la maggior parte di questi sono costituiti da Disturbi nevrotici e somatoformi (40%), disturbi della personalità 19,4%, Abuso-dipendenza da sostanze 37,8% da eroina, 29,4% cocaina. I disturbi psicotici sono meno dell'8% e non va dimenticato il "residuo ex OPG" di Reggio Emilia e Barcellona Pozzo di Gotto costituito da soggetti seminfermi che sono rientrati nelle Articolazioni Tutela salute mentale nelle quali il numero di posti pare insufficiente e quel che più rileva non costituiscono ambiti terapeutici adeguati. 

In particolare per i disturbi mentali gravi che dovrebbero essere curati al di fuori del carcere. Per individuare le soluzioni da adottare all'interno degli istituti, fuori, con soluzioni innovative, va ripreso il dibattito avendo punti di riferimento chiari e risolvendo problemi semplici ma cruciali: il riconoscimento dell'identità, della residenza (apolidi e senza fissa dimora), la collocazione dei detenuti in ambito regionale, dando la possibilità di fruire di diritti al lavoro, alle relazioni.
 
Soluzioni di prossimità, in grado di favorire la presa in carico da parte dei servizi sociali, dei Dipartimenti di Salute mentale dipendenze patologiche. Una strategia che superi incompatibilità e apra a diverse concezioni dell'esecuzione penale e a proficui rapporti degli Istituti di pena con il territorio, come diverse esperienze stanno dimostrando. Ben venga il dibattito e la possibilità di addivenire a soluzioni nuove anche per i detenuti stranieri.   

Occorre chiedersi se la pena eseguita negli Istituti sia funzionale alla cura e al recupero delle persone anche in relazione ai costi tutt'altro che trascurabili della detenzione (circa 140 euro al giorno/persona). 

Come giustamente ricorda il CNB occorre rivedere la legge sulle sostanze e apre riflessioni sulla gestione del disagio, delle violazioni e sul "patto sociale". Il problema delle persone con Disturbi della personalità, psicopatia, uso di sostanze richiede soluzioni innovative e specifiche. In questa fase, auspicando un superamento delle visioni ideologiche va ripreso l'investimento di risorse, di pensieri, una ricchezza evidenziata anche dagli interventi pubblicati da Quotidiano Sanità, per giungere con un modello centrato sulle pratiche e dare risposte alle sofferenze delle persone. 
 
Questo in coerenza con la legge 180. Riconosciuta la centralità dei Dipartimenti di salute mentale occorre ricordare come siano essenziali risorse di personale ed economiche per dare realizzazione al progetto di riforma e riprendere speranza.

Pietro Pellegrini
Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma

09 aprile 2019
© Riproduzione riservata

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