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Giornata Internazionale dell’infermiere. Qualche idea per il futuro della professione

di Marco Alfredo Arcidiacono

10 MAG - Gentile direttore,
la Giornata Internazionale dell’infermiere è uno dei pochi momenti in cui si può provare a far conoscere non solo la missione e le persone ma alcune problematiche di assoluta consistenza. La sanità tocca tutti, non si salva nessuno. Eppure sempre più spesso si vogliono sentire, vedere e affrontare punti critici che possono avere pesanti ripercussioni sul sistema.
 
Quanto tenterò ora di esprimere, brevemente, non vuole essere una polemica ma, piuttosto, una critica costruttiva per trovare soluzioni, una via per trovare un equilibrio che non è poi così distante.
 
Come professore a contratto della facoltà di Infermieristica tocco con mano quel nervo scoperto, le preoccupazioni che stentano a emergere. Non mi interessano i motivi o dietrologie.
 
Per spiegarvi cosa succede partirò dai fatti di cronaca sempre più frequenti e, in diversi casi, taciuti dall’informazione in generale.
 
Una o più persone entrano in un pronto soccorso, dopo aver perso un famigliare, e prendono a pugni e calci tutto il personale. Infermieri, volontari, medici: non importa chi ci si trova davanti, lo scopo è punire il sistema. Il bersaglio è ogni persona che veste un camice bianco, ogni dipendente della struttura. Non si guarda in faccia a nessuno, si mena e basta.
 
E le aggressioni negli ultimi mesi si sono un po’ diradate ma, fino a poco tempo fa, erano divenute quasi all’ordine del giorno.
 
Forse qualcuno aveva anche ragione a lamentarsi ma la necessità di tornare a lavorare in sicurezza, in piena serenità credo possa essere perlomeno un punto di partenza.
 
Sento di personale del Cup bersagliato da insulti e minacce di ogni tipo, da quelle personali alle minacce di morte. Nessuno interviene. Non occorre l’Esercito e non servono manovre repressive, occorre attenzione. Dare una preparazione migliore al personale potrebbe essere una delle opzioni possibili. Un maggior controllo delle postazioni e degli spazi potrebbe essere altrettanto utile.
 
Come ho sempre sostenuto migliorare gli spostamenti casa-lavoro, la gestione dei figli, del welfare di settore del personale della sanità darebbe buoni risultati in poche mosse quindi senza alterare l’intero sistema ma migliorando alcune funzioni o servizi.
 
In questo senso dobbiamo spingerci verso una maggiore integrazione infermiere-medico così da alleviare i carichi di stress di entrambe le posizioni. La via per il futuro mi sembra essere quella, oltre a un ritorno alla formazione e a un miglioramento della condizione di vita degli infermieri.
 
Consolidare e migliorare il nostro ruolo importante nell’integrazione delle strutture ospedaliere con il territorio potrebbe essere, infine, un punto focale tramite cui recuperare il terreno perso. Lo dimostra la letteratura d’Oltreoceano, incentrata proprio su questo aspetto. Si tratta ovviamente di un sistema diverso ma che può essere adottato con gli opportuni adattamenti. Non facile, certo ma sicuramente di impatto.
 
Forse è pura utopia ma se non partiamo dalle idee, dall’analizzare problemi e critiche, se non iniziamo a mettere qualche idea sul piatto allora abbiamo smesso di credere in quel che facciamo. Non posso e non voglio credere che un argomento come questo non tocchi tutti noi, sia chi lavora nella sanità sia chi ne è completamente fuori. Mi sono permesso quindi di dare un mio piccolo contributo per far capire che quello spirito di cui dicevo prima non è scomparso.
 
Marco Alfredo Arcidiacono
dr. Magistrale Scienze Infermieristiche e Ostetriche
Prof. a. c. Università degli Studi di Parma


10 maggio 2019
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