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Tutto quello che manca per avere una vera sanità integrativa

di Grazia Labate

18 GIU - Gentile Direttore,
concordo con la sua riflessione che è apparsa su Quotidiano sanità nella sezione studi e analisi a proposito 
de: “La sanità è al collasso? Forse ancora no ma il Paese sì e alla fine il rischio è che crolli tutto”. Da qui vorrei partire per fare ulteriori riflessioni e trovare una cerniera di coerenza su cui andare avanti con un po’ di coerenza. Partiamo dal finanziamento del Servizio sanitario nazionale.
 
Attualmente il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato è:
114.439.000.000 euro per l'anno 2019;
116.439.000.000 euro per l'anno 2020;
117.939.000.000 euro per l'anno 2021.

Salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico. Concordo con la precisazione sulle clausole di salvaguardia, ma essendo stata al Governo so che non ce la possiamo cavare con “il mi dimetto”, si lotta e si combatte con il MEF perché a far data dal 2008, grande crisi, la sanità ha già dato e dunque per l’equilibrio di bilancio si taglia da altre voci di spesa o si rimanda la flat tax, che è un vero schiaffo alla povertà e ai redditi medio bassi o si incomincia a dare una bella caccia all’evasione fiscale, sennò il nostro tanto sbandierato universalismo del SSN si incomincia a chiamare con il suo vero nome universalismo iniquo e tragicamente selettivo.
 
E’ ovvio ricordare che dovremmo curare tutti, con la fiscalità generale, ma non tutti pagano, che l’evasione ammonta a circa 130 miliardi di euro, e che per curare l’epatite C abbiamo dovuto selezionare il livello della malattia per la costosità del farmaco, e così si presentano tutte le innovazioni tecnologiche e terapeutiche per le più gravi patologie dal punto di vista dei costi. Per di più abbiamo di fronte le sfide legate all’invecchiamento.
 
L’Italia è al “quarto posto” dei Paesi Ocse per aspettativa di vita, con 82,8 anni nel 2018. A sottolinearlo oltre all’ISTAT è l’Ocse, l’organismo internazionale per lo sviluppo e la cooperazione economica nel rapporto Panorama della Salute 2018 (“Health at a Glance”). Spendiamo meno e forniamo una copertura Universale. Il paese spende 3.400 dollari l’anno pro capite per la salute, meno della media Ocse che è di 4.000 dollari e nel suo insieme la spesa sanitaria è pari all’8,9% del Pil, in linea con il 9% Ocse. Ma ormai abbiamo raschiato il fondo del barile. I mirabolanti risparmi non so da dove potrebbero derivare.
 
Non ho mai gioito sul fatto che abbiamo un SSN e spendiamo di meno degli altri, perché purtroppo ho sempre saputo che per i nostri disastrosi fondamentali dell’economia come avremmo potuto spendere di più? Per fortuna la genetica, la dieta mediterranea ed un po’ di cultura della prevenzione ci ha dato e ci dà una mano. Tuttavia di cosa ci ammaliamo e quali sono le cause di morte lo sappiamo.  Su 645mila decessi registrati nel 2018, il 36,8% sono stati causati da malattie cardio-circolatorie, il 29,9% dai tumori e il 15% da malattie respiratorie, endocrine, nutrizionali e metaboliche.
Al 6° posto come causa di morte vi è il morbo di Alzheimer. Sono circa 3 milioni le persone affette da diabete, a cui si deve aggiungere un altro milione di casi non ancora diagnosticati. E’ in atto da tempo un profondo monitoraggio del sistema.
 
Ciò ha permesso, nel 2017, dopo 17 anni, di aggiornare in modo razionale e migliorativo l’elenco dei LEA e delle prestazioni diagnostiche , ha permesso di introdurre prestazioni più innovative; pianificare un piano di edilizia ospedaliera di 32 miliardi di euro, di cui 12 nelle zone terremotate o a rischio sismico; ora però questo piano deve partire non si può attendere oltre.

Il rapporto medico-paziente nell’era digitale in Italia, non è ancora molto sviluppato: secondo un indagine condotta dall’Eurispes (2018) il 52,3% degli intervistati, infatti, non ha mai consultato la rete riguardo i propri disturbi, il 41,6% lo ha fatto e in seguito si è recato dal medico, solo il 6,1% ha consultato il medico via internet. I documenti ufficiali sulla spesa pubblica cosa dicono?

Il Documento di economia e finanza 2018 aveva previsto una spesa sanitaria corrente pari a 114.138 milioni di euro con una incidenza sul PIL del 6,7% e un tasso di crescita dell'1,4% rispetto al 2017.  L'incremento stimato è sceso  allo 0,8% nel 2019 e scende anche l'incidenza sul PIL che si assesta al 6,5% con una spesa sanitaria pubblica complessiva stimata in 115.068 milioni di euro. Nel triennio 2018-2020 è invece previsto che la spesa sanitaria cresca ad un tasso medio annuo dell'1,3%, mentre nello stesso arco temporale il PIL nominale dovrebbe crescere in media del 2,9%.

Il rapporto spesa sanitaria e PIL decresce e si attesta, alla fine dell'arco temporale considerato (2020), ad un livello pari al 6,4%. La Nota di aggiornamento al DEF (pag. 47) ha ulteriormente abbassato le stime relative al biennio 2019-2020: infatti l'incidenza della spesa sanitaria sul PIL nel 2019 è stata valutata pari al 6,4%, nel 2020 pari al 6,3%.
 
Ma quelle previsioni di crescita non ci sono più siamo in recessione. Stiamo combattendo per evitare la procedura d’infrazione, che ci costerebbe altri 9 miliardi oltre la già scarsa reputazione del paese. E’ in agguato l’invecchiamento della popolazione. Secondo le proiezioni contenute nel Def, la sola componente socio assistenziale della Long Term Care dopo una fase iniziale di stabilità, crescerà in termini di Pil fino al 2050 quando raggiungerà l’1,5 per cento in più.
 
A livello nazionale la spesa per prestazioni “comprate” dal settore pubblico da privati è pari, al 20,9%, in aumento del 17,8% dal 2012. Significa che un quinto della spesa sanitaria nazionale acquista da strutture non pubbliche.  Cresce la spesa sanitaria a carico delle famiglie certificata dall’Istat.
Ma in alcune Regioni, questa percentuale è superiore alla media, in Lombardia in primis, con il 29,9%, in Lazio con il 27,8%, in Molise con il 24,1% e in Sicilia e Puglia con il 23,5%.  Particolarmente bassa,, è la spesa sanitaria toscana destinata ai privati con solo il 12,5%.
 
Il caso della spesa sanitaria della Lombardia è il più particolare, è infatti la regione con la maggiore porzione di spesa dedicata ai rimborsi verso i privati, ma è una Regione, dal punto di vista dei bilanci, virtuosa. La spesa a carico delle famiglie è cresciuta fino a 37 miliardi, un quarto dell’intera spesa sanitaria nazionale stando ai dati Istat. Stiamo ai dati ufficiali se abbiamo il sospetto che Censis RBM o Gimbe siano di parte.
 
Perché cresce la spesa privata, che assieme al divario Nord Sud, è la vera anomalia del paese? L'indagine conoscitiva del Parlamento sulla sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale nella precedente legislatura  aveva dipinto un panorama complesso e variegato. In cui si evidenziavano come criticità:
- Ricorso a soluzioni alternative, spesso inevitabile, considerando le lunghe liste d’attesa e il limitato accesso alle prestazioni che caratterizzano il sistema pubblico per tempi e metodi per usufruirne.
- La scarsità di politiche di prevenzione per fasce dì età e per patologie rilevanti;
- Le politiche di taglio alla spesa a far data dal 2008;
- IL blocco delle assunzioni del personale medico e delle altre figure professionali non mediche;
- La scarsità di innovazione tecnologica e l’obsolescenza strutturale di presidi e strutture;
- La necessità di implementazione dell’efficienza organizzativa, l’adozione di tecnologie informatiche a tutto campo;
- La ricerca di un equilibrio tra domanda e offerta soprattutto nel campo della riabilitazione e dell’assistenza domiciliare;
- Un serio ed efficace piano delle cronicità.

Sottolineando che la filiera della salute vale da sola l’11% del PIL  si invitava a vedere la sanità come un’opportunità di sviluppo del Paese e non più come mera voce di spesa. Quest’anno altra indagine conoscitiva. L’indagine conoscitiva sulla sanità integrativa in corso partita quest’anno alla Camera dei Deputati attraverso le audizioni effettuate finora, afferma che sono oltre 330 i fondi sanitari esistenti con regole diverse, da sistematizzare. Casse ed enti eterogenei tra loro per coperture, premi, gestione delle attività e prestazioni. Prevalgono i fondi aziendali, diversamente distribuiti tra nord e sud del Paese. Le assicurazioni sanitarie volontarie coprono, solo l'1,5% della spesa privata. Anche enti assistenziali, casse e società di mutuo soccorso, sono pensati per offrire una copertura sanitaria integrativa rispetto al sistema pubblico. Pagando una quota associativa, danno il diritto a sussidi e rimborsi.
 
L’Ansi, Associazione Nazionale Sanità Integrativa e Welfare, ha registrato 509 società di mutuo soccorso operative nel 2018, con adesioni per oltre 600 milioni di euro, in crescita del 20% rispetto ai dati precedenti. Le prestazioni vincolate previste dal decreto Turco nella misura di almeno il 20% per cure dentali e prestazioni sanitarie a rilevante carattere sociale o prestazioni sociali a rilevante carattere sanitario costituiscono oggi il 37% delle prestazioni fornite agli iscritti, per il resto riguardano visite specialistiche o diagnostica, molto poco ricoveri e protesica.

Il welfare aziendale sta entrando sempre più nei nuovi contratti, forte di politiche fiscali favorevoli per imprese e contribuenti. Permette ai dipendenti di usufruire di benefit aggiuntivi, i cui costi sono detraibili da parte dell’azienda. I benefit più richiesti sono relativi all’assistenza sanitaria, ma piani di welfare aziendale possono includere previdenza integrativa, buoni pasto e mensa aziendale, trasporto da casa al lavoro, buoni acquisto e convenzioni con negozi, asilo nido, centri vacanze e rimborsi per le spese scolastiche dei figli.

Questi benefit possono essere ottenuti anche come premi di risultato, compensi aggiuntivi alla retribuzione di base previsti come incentivi alla produttività, ma la loro conversione in servizi di welfare permette di non applicare nemmeno la tassazione del 10%, prevista invece per le erogazioni in denaro fino a 3 mila euro. Insomma a salari bassi e a onerosità fiscale alta sul costo del lavoro, si raggiunge un pò più di produttività e fidelizzazione dei lavoratori con benefit che possono aiutare il singolo e la famiglia a districarsi tra salute, istruzione ed anziani poichè sappiamo che le tutele sono per il lavoratore, per i famigliari a carico e in alcuni casi anche quando si va in quiscenza, si pensi alla LTC in alcuni comparti forti come il bancario e l’assicurativo.

Infatti da una recente indagine del Dipartimento Contrattazione della Cisl, si evince che sono 7 milioni i lavoratori tutelati dalla sanità integrativa. Vorrei ricordare che i  fondi sanitari integrativi sono una realtà di origine contrattuale, sorti a partire dagli anni 70, composti da associazioni datoriali e sindacati. Ciascun fondo è regolato da un proprio statuto, per quanto riguarda iscrizioni, contribuzione, prestazioni e amministrazione. E’ la libera volontà delle parti che li mette in atto e mentre prima del 2008 nulla si sapeva di essi oggi lo stato defiscalizza quelli che si iscrivono all’Anagrafe dei fondi perché ne riconosce una meritori età, perché nella legge 229 li si disciplina ad integrazione della politica della salute per quelle parti di essa che lo stato non riesce a coprire, si pensi alle cure dentali, all’intramoenia, alle cure termali ai tickets, ecc.

Il pacchetto di prestazioni garantite agli iscritti è ormai ampio e include la possibilità di estendere la copertura anche ai familiari e in alcuni casi di usufruirne anche dopo il pensionamento.  Tutelare anche i familiari tramite un fondo ha in genere un costo aggiuntivo alla quota di contrattazione, a eccezione per quanto riguarda il fondo dei metalmeccanici, che lo prevede gratuitamente. Secondo i dati provenienti dall’anagrafe sanitaria dei fondi e presentati in audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera nel febbraio 2019, dall’anno 2010 al 2017, il numero dei fondi attestati dall’anagrafe è aumentato progressivamente (dai 267 fondi sanitari attestati nell’anno 2010 ai 322 nel 2017). Il numero totale degli iscritti è pari a 10.616.405.

Occorre però tenere presente che dal 2017: si è costituito il WILA in Lombardia fondo sanitario per il settore dell’artigianato, circa 400.000 aderenti e che il fondo dei metalmeccanici che nel 2018 vedeva 200.000 iscritti essendo divenuto obbligatorio iscriversi al fondo, passa a 1.500.00 iscritti, e che il recente contratto dei 250.000 statali prevede la sanità integrativa, possiamo ragionevolmente affermare che siamo in presenza di oltre 12.500.000 di cittadini, che usufruiscono di forme di assistenza sanitaria integrativa.

Poi abbiamo le inchieste giornalistiche. Secondo un’inchiesta de l’Espresso, si afferma che  nel 2014 erano 9 milioni gli italiani con assicurazione sanitaria integrativa, saliti a 14 milioni nel 2017 e che saranno 21 milioni nel 2025. Un terzo degli italiani. L’analisi dei dati economici, epidemiologici, demografici e sociali in Italia, in Europa e in molti paesi industrializzati si interroga da tempo sulla sostenibilità dei sistemi sanitari, domandosi se è possibile che il modo in cui l’assistenza viene erogata e gestita possa essere migliorato in modo tale da rendere i sistemi “sostenibili” nel tempo? Basterà la logica della lotta agli sprechi e del reinvestimento dei risparmi?

Sono convinta che l’efficientizzazione del sistema, l’innovazione gestionale, e l’ICT a pieno regime, produrranno maggiori risparmi e meno sprechi che ancora oggi permangono, ma non basterà.  Del resto che cosa abbiamo fatto a far data dal 2008 se non efficientare i fattori di produzione salute e razionalizzare al massimo? Lo scenario della sanità sta cambiando in maniera repentina.
 
Il “ teatro delle cure” vede molti nuovi attori su un palcoscenico che si trasforma continuamente e che ha bisogno di una nuova generazione di “registi” perchè la sfida dell’invecchiamento e della cronicità delle malattie è grande.  Occorre avviare una logica di sistema. Per avviare una logica di sistema occorre lavorare su una nuova cultura politico-istituzionale. La prima cosa da fare è non banalizzare o ideologizzare le discussioni in atto e prendere atto che fin’ora non c’è stato nessun sindacato che abbia detto fine dell’assistenza integrativa e della deduzione fiscale. Che non solo i lavoratori, ma quasi tutte le categorie professionali, compresi i medici e le figure professionali non mediche, usufruiscono della sanità integrativa.
 
E’ nato addirittura il Fondo Sanitario dei medici e dentisti dal 2016. Serve a tutelare la salute degli iscritti all’Enpam e dei loro familiari. Il fondo sarà integrativo rispetto al Servizio sanitario nazionale. L’atto di costituzione è stato firmato a luglio del 2015 ed ha cominciato ad operare. L’elenco delle prestazioni garantite vanno dal rimborso dei ticket a quello delle tariffe per l’intramoenia, passando per le cure odontoiatriche, l’acquisto di lenti da vista e i costi legati alla long term care.
 
“Come medici vogliamo difendere l’universalismo del Servizio sanitario nazionale che è uno dei migliori al mondo e di cui andiamo orgogliosi. È evidente però che la coperta è corta – dichiara il presidente della Fondazione Enpam Alberto Oliveti –. Già oggi oltre ai 114 miliardi di spesa sanitaria pubblica, gli italiani spendono 37 miliardi di euro in sanità privata e 3 miliardi di euro nei ticket, che nel tempo sono sempre di più diventati un mezzo per sopperire alle carenze finanziarie pubbliche, invece che uno strumento per limitare la domanda eccessiva e inappropriata”.

“Il nostro Fondo sanitario integrativo – continua Oliveti – ambisce a trovare un equilibrio tra la coperta corta del sistema sanitario nazionale e la libera professione e a riportare anche i ticket alla loro originaria funzione moderatrice”. Trattandosi della sanità dei sanitari, il fondo integrativo dei medici e dei dentisti è destinato a diventare il termine di paragone per i numerosi operatori del settore. L’ambizione è quella di diventare un modello da copiare per le buone pratiche adottate: coperture a sostegno (e non in sostituzione) del Ssn, valorizzazione del lavoro dei camici bianchi inseriti nel sistema pubblico e di quello dei liberi professionisti nell’erogazione delle prestazioni non comprese nei livelli essenziali di assistenza. Il Fondo è promosso dall’Enpam e vede come fondatori i sindacati Fimmg (medici di medicina generale), Fimp (pediatri), Sumai (specialisti ambulatoriali), Andi (dentisti), Anaao Assomed e Cimo (dipendenti ospedalieri).

In termini numerici la platea degli aderenti comprende i 356.375 medici e dentisti attivi iscritti all’Enpam e i 98.396 pensionati. A questi si aggiungono, oltre alle loro famiglie, il personale degli Ordini dei medici e quello delle organizzazioni sindacali mediche con i rispettivi famigliari, per un totale che può essere stimato tra 1 e 1,5 milioni di persone. La situazione attuale della sanità integrativa in Italia evidenzia che, differentemente dalla previdenza complementare, lo specifico quadro normativo di riferimento si compone di scarne e, a tratti, disorganiche disposizioni legislative alle quali si contrappongono, nella prassi, fattispecie eterogenee in cui sono coinvolti, a vario titolo, una molteplicità di soggetti nella veste di fonti istitutive, di gestori dei fondi sanitari e di erogatori delle prestazioni contrattualmente previste.  Infine, taluni enti, quali le Regioni, pur essendovi legittimati dal legislatore, allo stato attuale, parrebbero essersi limitate a svolgere un ruolo di promozione ed incentivazione alla costituzione degli stessi. L’unico fondo che mi risulta essersi costituito è SANIFOND nel Trentino Alto Adige.

Dunque questa è la realtà a cui aggiungo che in nessun paese europeo caratterizzato sia da SSN che da sistemi mutualistici o di assicurazione obbligatoria in nessun caso le forme integrative di assistenza hanno potuto fare a meno del pilastro pubblico né si sono sostituite ad esso. Anzi l’esperienza dimostra che solo laddove vi sono forti pilastri pubblici è possibile coadiuvare con secondi e terzi pilastri le politiche della salute che sono divenute un problema per tutti i paesi avanzati.

A ciò si lega l’idea della regolamentazione della sanità integrativa esistente che mi ha accompagnato nel 2008, perché di fronte alle chiacchiere o alle battaglie ideologiche la verità era ed in parte ancora è che della sanità integrativa non sapevamo nulla, si concedeva defiscalizzazione senza accertarne esistenza e funzionamento ed era interamente sostitutiva. Non si integrano, per definizione, due sistemi così diversi, uno iper-regolamentato e l’altro quasi per nulla regolamentato, la diversità è troppo forte per favorire un processo di integrazione.

Se manca la regolamentazione è una grave mancanza della politica, quello che oggi si deve rimarcare è l’assurdo che ad 11 anni di distanza dai decreti Turco e Sacconi sui fondi sanitari integrativi, il completamento delle norme attuative non sia stato emanato. Che cosa fare?

Il funzionamento più adeguato e performante dell’Anagrafe dei fondi per il suo pieno funzionamento a regime. Le modalità della cessione in gestione, il regolamento dei fondi, l’organismo di vigilanza e controllo. Lavorare ad estendere i fondi sanitari verso l’apertura agli enti locali per la costruzione di fondi aperti alla popolazione superando il corporativismo e l’iniquità tra le fasce sociali protette e non.
 
L’esperienza maturata in tutti questi anni non può non indurre ad una programmazione di policy making sanitaria, che preveda almeno l’istituzione di un osservatorio con ampie funzioni di monitoraggio e vigilanza su tutte le forme di sanità integrativa, con la finalità di raccordarle al SSN.  Di qui passa la strada della costruzione del secondo pilastro in sanità, ma anche di una vera sanità integrativa. Promesse e fatti concreti spesso non vanno di pari passo, governare i fenomeni è molto più complesso. Ciò che non si può continuare a fare sono o le famosi indagini conoscitive, che vanno bene se servono a decidere, ma che rimangono lettera morta, come spesso è avvenuto e avviene nel Parlamento di questo paese oppure l’eterna diatriba tra SSN e sanità integrativa, o tra pubblico e privato.

Siamo sicuri che con una manciata di danaro in più derivante dalla flat tax in salsa italiana, eliminando attuali detrazioni e deduzioni, siamo in grado in questo paese di favorire i redditi medio bassi? Favorire la domanda interna? Siamo sicuri che avremo scuola, sanità, pensioni migliori? Avete simulazioni sotto mano che vi dimostrino che con l’eliminazione della deduzione di 3615. 20 per la sanità integrativa, le sorti del SSN si risollevano stabilmente?
 
Al di la di un rinnovo dignitoso dei contratti ormai scaduti da 10 anni, saremo in grado di far fronte al costo delle nuove terapie farmacologiche, all’innovazione tecnologica da implementare, al fabbisogno medico ed infermieristico da portare in equilibrio, lo sappiamo che per la cronicità il nostro amatissimo SSN affronta l’assistenza domiciliare per la cura a lungo termine degli anziani fragili o con patologie croniche come se fosse un privilegio: ne gode infatti solo il 2,7% degli ultrasessantacinquenni residenti in Italia e le prestazioni, le ore dedicate a ciascun assistito, la natura pubblica o privata degli operatori e il costo pro capite dei servizi sono i più differenti e variegati, a seconda delle aree del Paese. In particolare, assistiamo a domicilio nel nostro Paese solo 370mila over 65, a fronte di circa 3 milioni di persone che risultano affette da disabilità severe, dovute a malattie croniche, e che necessiterebbero di cure continuative.

Lo rilevano i dati del Ministero della Salute e una survey effettuata da Italia Longeva, network scientifico dello stesso Ministero dedicato all’invecchiamento attivo e in buona salute.
 
Pensiero debole o riformismo palingenetico? Non mi imbarco nel sacrario di chi pensa di avere la verità rivelata ormai da quasi trent’anni che però non produce cambiamento, più modestamente chiedo a prescindere dai punti di vista, un po’ di coerenza: alle forze politiche, a quelle sociali, agli operatori del SSN, al mondo della cultura e della ricerca, sennò tutto appare propaganda, se non demagogia o peggio pubblicità ingannevole.
 
Grazia Labate
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità 


18 giugno 2019
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