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Perché serve un “medico 4.0”

di Maurizio Dal Maso

18 OTT - Gentile  Direttore,
Quotidiano Sanità  ha più volte trattato i temi della digitalizzazione  e della innovazione nel SSN. Ovviamente questi sono i temi centrali da sviluppare se vogliamo davvero  investire sul  futuro del SSN ma, a mio parere, parlare di digitalizzazione in sanità quando meno del 20% degli ospedali italiani dispone di una vera cartella informatica ovvero di un percorso clinico integrato e digitalizzato  dei pazienti,  in grado di tracciare tutte le attività pre, intra e post-ospedaliere,  può sembrare azzardato o poco utile, sempre che si voglia fare davvero un dibattito a cui seguano linee di azione operative condivise da tutti i soggetti istituzionalmente  deputati  a livello nazionale e regionale, magari, con un coordinamento  efficace anche nei tempi e nei modi di attuazione onde evitare ulteriori e spiacevoli sperequazioni regionali.  
 
Credo che oggi il parametro essenziale sia il tempo ovvero l’impossibilità di aspettare e rimandare ancora discutendo sul “cosa fare” quando, invece, è da tempo che avremmo dovuto fare.  Come si dice in chirurgia “see one, do one , teach one” ma, soprattutto,  “stop talking, start doing”.
 
Occorrerà sviluppare e realizzare nuovi  progetti di cura per raccordare il bisogno/domanda espresso da anni dai pazienti, molto cambiato negli ultimi 20 anni,  alle rete integrata dell’offerta sanitaria, meglio se socio-sanitaria, che invece continua  ad essere rigida e vincolata ad altre logiche normative, contrattuali,  di competenza   o di appartenenza e, per questo,  non correlata efficacemente alle reali esigenze di salute e/o di benessere attese dalla popolazione.  
 
Cosa  proporre, dunque, per fare in tempi rapidi  una vera rivoluzione o meglio “evoluzione” verso una nuova risposta sanitaria meglio allineata ai reali bisogni di salute?   Intanto lavorare tutti  a una vera integrazione operativa dei diversi attori del sistema  secondo le  logiche della “Clinical governance”, dei PDTA, delle Linee guida e dei Protocolli di cura che obblighino tutti i professionisti a parlarsi e concordare prima, non dopo, le azioni cliniche, diagnostiche, terapeutiche ed assistenziali da eseguire.
 
Questo se vogliamo cominciare a dare ad ogni paziente tutto  quello che gli serve, niente di più e niente di meno,  ovvero “the right care, in the right setting, at the right time”.
 
Come fare tutto ciò?  Iniziando  a  decidere  le  aree prioritarie di intervento e i tempi di realizzazione dei progetti di cambiamento strategico  che sono l’unico strumento a disposizione per coniugare innovazione e sostenibilità e che richiedono azioni continue e costanti di monitoraggio e controllo dei risultati raggiunti.   Quali potrebbero essere le prime aree  di intervento ?
 
Ne cito alcune : ridurre la variabilità clinica e quella organizzativa, incrementare l’efficacia/efficienza e la produttività, abbattere i costi della “Non Qualità” ovvero “il fare bene cose inutili” e sviluppare costantemente nuovi processi di produzione nelle organizzazioni sanitarie in termine di prodotti e/o servizi.
 
Per fare questo si dovrà investire in formazione e, soprattutto, diffondere e fare crescere la  cultura del Project Management in sanità, perché questo è lo strumento principale  con cui portare l’innovazione nelle Aziende. Non è un caso che la Conferenza Stato – Regioni il 15 maggio 2019 ha validato la nuova “Disciplina dei corsi di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria propedeutici all’inserimento nell’Elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di Direttore Generale delle Aziende sanitarie e degli altri enti del S.S.N.”  che prevede 24 ore di formazione in Project Management e Project Work. 
 
I professionisti sanitari dovranno inevitabilmente cimentarsi con nuovi orizzonti clinici perché parlare di medicina personalizzata ha senso se poi  questa viene attuata e, per fare ciò, non c’è solo un problema di finanziamento o pagamento delle prestazioni ma, anche e soprattutto,  di conoscenze e competenze ovvero di conquista di una nuova cultura professionale e clinica in grado di adottare nuovi paradigmi e nuovi strumenti.
 
Bisognerà riconoscersi in una nuova  figura  di «Medico  4.0» che non sarà  più  solo un professionista della diagnosi e della cura ma, soprattutto,  un «mediatore competente» tra la tecnologia e la persona, con la sua sofferenza tutta umana e la sua domanda di cure  per rispondere  a  bisogni sempre più  diversificati  e  complessi.  
 
Le nuove tecnologie potranno  contribuire all’innovazione e al cambiamento dei modelli di cura e di assistenza, ricordando che la sanità digitale non è la semplice applicazione di una app, bensì la strategia che sottende la sua implementazione : mobile, hybrid cloud, internet of things, cloud-apls e microservizi, cybersecurity, intelligenza artificiale, big data, blockchain, automazione, robotica  sono tutti strumenti della “digital healthcare” che ci porteranno nella “Medicina 4.0” ma siamo pronti ovvero abbiamo fatto tutto quello che si doveva fare come professionisti per essere in grado di svolgere al meglio la nostra prossima missione? 
 
Abbiamo competenze professionali e gestionali che ci permetteranno di conoscere, ad esempio,  il ROI (return on investment) di una cura e non più i soli dati di sopravvivenza o i costi del farmaco o della procedura chirurgica perché questo sarà l’atteso ovvero conoscere, ad esempio, tramite algoritmi di intelligenza artificiale, quali dei nostri pazienti cardiopatici è ad alto rischio dopo la dimissione rispetto ad altri.    
 
Giova ricordare che il cambiamento è inarrestabile e l’innovazione clinica  e gestionale in campo sanitario o la governi o la subisci.   Questo è il futuro  delle prossime generazioni professionali e quindi non possiamo che augurare loro di sviluppare ottimi progetti e buon lavoro nell’interesse di tutto il SSN ma, soprattutto, dei loro futuri pazienti. 
 
Dott. Maurizio Dal Maso
Sezione di Management della Sanità  -  Accademia Nazionale di Medicina

18 ottobre 2019
© Riproduzione riservata

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