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Le donne in sanità e la necessità di una visione

di Sandra Morano

24 OTT - Gentile Direttore,
mi rivolgo a lei come testimone e narratore dell’evoluzione del mondo sanitario, nonché della crescita delle donne nella professione medica, definita come l’elemento più nuovo (Stati Generali FNOMCeO), per tentare un bilancio e qualche riflessione sul significato e sul possibile impatto, non solo all’interno del più grande sindacato della dirigenza sanitaria, della III Conferenza Anaao Assomed “Donne Sanità Sindacato” tenutasi a Genova nei giorni 11 e 12 ottobre.
 
La cornice
110 delegate, fra partecipanti e relatrici, rappresentate da un’artista (Margherita Levo Rosenberg) in “una grande rete semovente le cui maglie sono cucite dalle immagini di donne che hanno dato vita a movimenti ed eventi che l’Anaao ha immaginato, organizzato e sostenuto nel corso degli anni”. Una rete simbolica che racconta la necessità della condivisione, dell’interconnessione e della coesione”.
 
Le Tematiche
Le novità e le sfide: il passaggio dal mercato della cura alla società del care, e dal protagonismo femminile all’autorità; la crisi della rappresentanza, il valore della esperienza della cura femminile e al femminile nella ricerca di un modello diverso dall’attuale, non idoneo né al prendersi cura dei pazienti, né a far vivere con agio la professione ai curanti. Un modello che non soddisfa e non facilita neanche le tanto invocate categorie di equità o le istanze di pari opportunità.
 
Le domande
È adeguata l’ottica economicistica al governo del mondo della Sanità?
Esistono modelli più ispirati all’etica della cura o alla “economia civile”?
Le politiche delle pari opportunità sono adeguate ad interpretare i bisogni delle stesse donne che lavorano in sanità?
È il tempo delle donne in Medicina: come sarà il governo che verrà?
 
Dal mercato della cura alla società del care
La posta in gioco: universalismo e welfare vs produttività intesa nel senso peggiore del termine, per come l’abbiamo vissuta in questi anni.
Un sasso nello stagno l’apertura del convegno con una tavola rotonda che idealmente aveva l’ambizione di pensare ad una quadratura del cerchio, che finora si è limitata ad una quadratura dei conti. Un panel interdisciplinare con riferimenti diffusi all’economia civile, degnamente illustrata da Luigino Bruni, al pensiero ecologista femminista della teologa tedesca Ina Praetorius, all’alternativa di un aziendalismo all’insegna della complessità presentata da Paola Adinolfi, a confronto con le letture critiche di parte sindacale e politica dei Senatori Amedeo Bianco e Nerina Dirindin, e con Mara Azzi, vice presidente FIASO, avamposto finale di una oramai improbabile governance virtuosa.
 
Contraddizioni, management inappropriati, istanze inascoltate di curanti e curati: e una prospettiva di governo della Sanità mai più vicina di adesso, per le donne. Una prima impressione a caldo: la novità di tematiche forse conosciute, ma mai intrecciate tra loro, nel prestare attenzione ai professionisti della cura e non alle sue liturgie organizzative; il richiamo, da più parti, alla etimologia della economia (oikonomia), la responsabilità della cura del mondo; le testimonianze di protagonisti di ”lotta e di governo” tra ieri e oggi, tra narrazione e revisione critica. Partecipazione mai così attenta del pubblico, la sensazione che l’economia non è così distante da tutti noi, e che il governo del bene pubblico non possa essere, e di fatto non sia, così lontano da prassi che coinvolgano le nostre vite di tutti i giorni.
 
Il governo delle donne che verrà
“Un passo in alto” il tema della seconda sessione, ovvero donne oltre il soffitto di cristallo: istruzioni per resistere dentro un contenitore fatto da uomini e per uomini. O per cambiare. Il comune denominatore è stata l’esperienza delle (poche) donne che hanno passato il limite di solito concesso e sono arrivate anche molto in alto, con sacrifici immani; oppure, meno spesso, si sono fermate. Da grandi manager a donnesenzaguscio (Luisa Pogliana), passando per gli esecutivi dei sindacati più rappresentativi (Anna Tomezzoli, ANAAO, Michela Spera, FIOM), o per la direzione di Unità Complesse Ospedaliere (Silvia Von Wunster, AOGOI): abbiamo ascoltato storie di “donne di governo” del nostro paese, del nostro tempo. Nelle quali il protagonismo fa i conti con la libertà. Considerazioni in prospettiva: le giovani alla ricerca di modelli possono iniziare a intravvedere tutta la contraddittorietà della spinta paritaria, e incominciare a riflettere, come la Danaeris protagonista de “Il Trono di Spade”, se la via d’uscita non sia immaginare un nuovo modello sociale.
 
“Le donne arrivano nel management con la testa più sgombra, perché meno condizionate a comportarsi secondo i modi di un potere dal quale sono state tenute lontane. Meno formate da una cultura manageriale che si riproduce come indiscutibile perché anche da questo mondo sono state tenute fuori. Meno portate a fare come si è sempre fatto, perché loro non l’hanno mai fatto. Partono da quello che hanno davanti, perché alle spalle hanno solo esperienze di uomini. Vedono cose diverse e vedono le cose diversamente. Per il loro modo di vedere non ci sono riferimenti già dati (Luisa Pogliana, Superare i confini). Perché in fondo loro a questo management sono estranee. E questa potrebbe essere la loro uscita di sicurezza.
 
Tutti i numeri dell’avanzata femminile
La terza sessione si è aperta con la presentazione di tutti i numeri dell’avanzata femminile in fanteria, del sorpasso e del suo arresto alle soglie dello stato maggiore: numeri che sono stati ampiamente sciorinati su tutti i media. Le relatrici (Chiara Rivetti, Maria Gabriella Coppola, Eleonora Albanese) hanno messo a punto un aggiornamento sulle percentuali di laureate per fasce d’età, sulle scelte (e le relative conseguenze) al momento della specializzazione, sull’attuale dotazione di dirigenti e, in tema della attuale conclamata crisi, anche un quadro “di chi fugge e chi resta”: precarietà, mobilità, pensionamenti, licenziamenti. Un quadro del SSN che le donne, che intanto inesorabilmente avanzano, si troveranno davanti, guardando fuori del soffitto infranto.
 
Ma “i dati non sono dati”, i numeri da soli non bastano, anche se sono la nostra fotografia. Quello che succede nelle corsie e nelle nostre vite, cioè il lavoro ai tempi della produttività, ci vede (Ester Pasetti) come un “Sisifo felice” che nella sua fatica quotidiana “ricorda tempi migliori in cui ancora c’era l’entusiasmo per ciò che si faceva e la sensazione di un futuro possibile e migliore”.
 
Conciliazione, conciliazione, conciliazione
Una sessione specificamente dedicata ai classici cavalli di battaglia del sindacato: dal ruolo dei CUG agli ambienti di lavoro, al welfare aziendale, passando per la prospettiva del gender budget (Marlene Giugliano, Caterina Matinato, Simona Bonaccorso, Concetta Liberatore). Non ci stupiamo se le cifre della mancata carriera sono direttamente collegate alla mancata conciliazione, alla non tutela di diritti, come è emerso da tutte le relazioni su questi temi.
 
Per anni questa denuncia è stata l’espressione più diffusa del disagio femminile nel lavoro, scoglio di tutte le contrattazioni, e che rischia di farci rimanere non arricchite, ma paradossalmente indebolite proprio da quella competenza in più che abbiamo solo noi, cioè la capacità riproduttiva. Le donne sono persino stufe di ripeterlo. Poi, i figli si fanno (sempre più tardi, sempre meno) e il buco nero di corse, incastri e sensi di colpa di quegli anni, presto svanisce in un vuoto di memoria. Poi, i bambini crescono in un attimo. Rimane per sempre l’estraneità a sistemi organizzativi che devono cambiare. Per tutti. Perché inseguendo i contenitori, stiamo dimenticando da una parte le nostre esistenze oltre il lavoro, e dall’altra Il lavoro inteso come professione di cura, e non come una prigione di turni scanditi da un cartellino.
 
Nonostante i miglioramenti inseriti nell’ultimo CCNL, persiste, anche fra colleghi, una visione del lavoro bollato da quello che non si riesce a dare (tempo “rubato” per malattia, maternità, part time, legge 104) e non caratterizzato da quello che può fare la differenza: contenuti, competenza, relazione, assistenza, guarigione, come si legge nei Sistemi di Qualità Aziendale. E allora tutti, anche la stampa, si dovrebbero chiedere, considerando anche che in Italia si fa carriera più tardi, se dietro a quel tanto stigmatizzato 10% di donne direttrici di UOC, non ci sia oggi una scelta, e non una rinuncia. O meglio, il rifiuto di investire le residue risorse professionali ed emozionali nel tenere in vita un sistema oramai inconsistente.
 
La direzione di una UOC, come ci hanno raccontato le poche direttrici presenti, ha di complesso perlopiù il virtuosismo delle sostituzioni di personale, l’inutilità di riunioni a catena e tanto lavoro in più da “donare”, se è vero che oggi le strutture vengono offerte, talvolta a scavalco, in forma di eterne FF e quindi con la stessa retribuzione. Riusciranno le donne, una volta al governo di questo sistema in macerie, a “rifiutarsi di indossare le scarpe degli altri, e a cambiare il disegno di base”? (Pasetti)
 
Il Who’s Who del sindacato
Lo studio Who’s Who commissionato all’Università di Genova per disegnare un quadro delle motivazioni che spingono oggi le donne e gli uomini a lavorare nell’Anaao Assomed ci restituisce una comune tendenza a difendere i propri diritti e a valorizzare del ruolo dei medici e dei dirigenti sanitari. La maggiore criticità nel ruolo di dirigente sindacale risulta essere la capacità di motivare i colleghi.
 
Le donne si confermano più orientate alla relazione ed alla attività in gruppo, ma allo stesso tempo denotano maggiore mascolinità nei tratti stereotipati per genere, e si descrivono come maggiormente assertive, indipendenti dagli uomini. I punteggi di burnout si attestano intorno alla media dei professionisti dell’area sanitaria, anche se la realizzazione personale è alta. Solo per il 20% dei rispondenti lavorare in un’ottica di gender equality sembra rappresentare un elemento significativo nel lavoro del sindacato. Molto è cambiato, molto è da cambiare.
 
Le donne, i diritti, la salute 4.0: ci curiamo del futuro
L’ultima sessione, nata da una recente survey proposta dall’Anaao Assomed all’interno della FEMS a 11 paesi partecipanti (Bulgaria, Cipro Nord, Croazia, Italia, Olanda, Portogallo, Romania, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, Turchia) riguardo alle condizioni lavorative delle mediche, ci ha fatto riflettere in un’ottica allargata sulle differenti declinazioni dei diritti e della soddisfazione delle donne che curano nei vari angoli d’Europa. C’è maggiore attenzione al tempo ed alla organizzazione del lavoro, meno alla remunerazione ed alla leadership. Mentre la condizione femminile, cioè i diritti sociali e di salute delle donne sono, ancorchè disomogenei, tuttora lungi dall’essere raggiunti.
 
Le relatrici italiane (Alessandra Spedicato, Gabriella Marini, Teresita Mazzei, Maria Antonietta Monteduro) e le europee Daiva Brogiene (Lituania) e Sila Usar (Cipro Nord) ci hanno orientato a riconsiderare, nella mission della Associazione, quanto sia ancora lunga la battaglia contro la violenza per la salute delle donne, e distante dagli ideali dei movimenti femministi degli anni 60 e 70.
 
Take Home message: Oltre il piano dei diritti
Le parole chiave più sentite sono state economia, azienda, management, diritti, disagio, autorità, forma mentis, cambiamento. Queste ultime, assolutamente nuove nel contesto della sanità e del sindacato, si sono rincorse nella due giorni di dibattito, attento ed intenso, anche nelle parole del Presidente FNOMCeO, Anelli, fino alle conclusioni del Segretario Nazionale Palermo, che nel ricordare le recenti conquiste contrattuali ha definito il lavoro delle donne indispensabile anche perché contrassegnato da empatia e gentilezza.
 
Riprendendo così l’invito di Anna Rosa Buttarelli a preservare la dimensione materiale del corpo, fatta di sensibilità, gusto del vivere, contatto intimo (empatia) ed esteriore. La quale ci ha invitato a considerare quanto le sacrosante battaglie di oggi per i diritti, iniziate nel secolo scorso e non ancora pienamente vinte, ci tengano bloccate in superficie, separate dall’evoluzione della coscienza. In realtà, secondo la filosofa, la possibilità di dialogare diversamente è cambiare la forma mentis. Paradossalmente abbiamo dimostrato che, in condizioni che appaiono oggettivamente meno appetibili, “..le idee le abbiamo noi. Non si tratta quindi solo di occupare posti decisionali (un passo in alto), ma di fare un passo anche in avanti, di lavorare molto di più sulla coscienza radicale, offrendo ad una società in cui è evidente la sofferenza anche degli uomini, una trasformazione di come pensiamo che diventi il mondo, ciò che possa essere il meglio per noi stesse” (Anna Rosa Buttarelli).
 
Caro Direttore, più volte abbiamo ribadito che per governare c’è bisogno di una visione. Ecco un invito ad iniziare a discuterne. Partendo da un concreto percorso che ha portato a questa III Conferenza. A Lei, se vorrà, l’onere di stimolare il dibattito.
 
Sandra Morano
Coordinatrice Area Formazione Femminile Anaao Assomed

24 ottobre 2019
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