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Infermieri. Competenze avanzate e formazione universitaria

di Loreto Lancia

20 DIC - Gentile Direttore,
intervengo su una delle questioni che hanno tenuto maggiormente banco nel 2019, ossia quella del riconoscimento delle “competenze avanzate/specialistiche” agli infermieri, perché ritengo che il dibattito sulle prospettive di un uso più appropriato delle risorse infermieristiche nel nostro Paese meriti di essere arricchito, a vantaggio di soluzioni progressiste che collochino realmente il cittadino al centro del SSN, promuovendo una elevata qualità delle cure.
 
Come molti, sono anch’io convinto che il nostro SSN debba riuscire ad utilizzare gli infermieri meglio di come sta facendo ora, ma sono anche consapevole, dal mio osservatorio privilegiato di docente universitario, nonché di presidente della commissione nazionale dei corsi di laurea in scienze infermieristiche, che gli infermieri italiani debbano potersi qualificare di più per offrire trattamenti efficaci, sicuri e a costi più contenuti, anche in contesti di elevata complessità assistenziale.
 
Ma non è solo una questione di appropriatezza nell’uso delle risorse, si tratta di affrontare un tema con implicazioni etiche molto significative, visto i fondamenti su cui poggia il nostro SSN e le minacce concrete alla sua sostenibilità economica
 
Dal pubblico dibattito sono emersi spunti di riflessione molto interessanti, come l’abilitazione differenziata, la responsabilità prescrittiva dell’infermiere e l’infermieristica di famiglia, che nell’ottica di una medicina di precisione, e a fronte di una qualificazione specificatamente più alta, se compiutamente sviluppati potrebbero contribuire a rendere il sistema più efficiente sia sul versante proattivo, come nella medicina scolastica e di comunità , sia su quello reattivo, come nelle emergenze e nell’assistenza domiciliare, favorendo la riduzione delle liste di attesa e lo sviluppo di percorsi diagnostici-assistenziali più centrati sul territorio che sulla costosa assistenza ospedaliera, almeno per alcune aree di grande interesse epidemiologico come quella dello scompenso cardiaco.
 
L’analisi OCSE dei rapporti numerici tra medici e infermieri, anche in relazione al numero di abitanti, restituisce una fotografia di un’Italia fortemente disallineata rispetto al mondo avanzato, il cui giudizio di merito è, però, imprescindibile dalla regolamentazione degli ambiti operativi delle forze in campo.
 
In ogni caso, a mio avviso, questa analisi non va letta in una logica di contrapposizione, che tenderebbe, comunque, a perseguire gli interessi specifici delle parti coinvolte, perché il “nursing” non si contrappone alla medicina, semmai è parte integrante di essa, almeno per quanto riguarda la cura e la prevenzione delle malattie. E’ un dato incontrovertibile, infatti, che il “nursing” spieghi una quota significativa dei successi della medicina.
 
Tornando alla qualificazione degli Infermieri, non vi è dubbio che il coinvolgimento dell’Università abbia prodotto risultati straordinari per lo sviluppo del nursing italiano, sia in termini di produzione scientifica (soprattutto dopo l’istituzione dei Dottorati di ricerca), che di qualità della formazione, anche se si riscontra una disomogeneità nel Paese dovuta in particolare alla carenza di ruoli accademici nella disciplina infermieristica soprattutto negli Atenei del sud, dove spesso sono presenti Corsi di Studio numericamente molto consistenti.
 
Tuttavia, l’attuale modello formativo, soprattutto per quanto riguarda il percorso post-base, a distanza di circa 15 anni dall’attivazione dei Corsi di Laurea Specialistici/Magistrali, meriterebbe di essere revisionato per correggerne alcune distorsioni e consentire un’armonizzazione con il resto del mondo avanzato.
 
A questa causa gioverebbe senz’altro l’istituzione di Corsi di Laurea Magistrale di tipo disciplinare in aree convenzionali per il nursing, quali la pediatria, la geriatria, la salute mentale, l’area critica, ecc..
 
Il master di II livello potrebbe affinare ulteriormente questo sviluppo disciplinare verso competenze clinico-assistenziali sempre più approfondite, da cui potrebbero derivare le abilitazioni differenziate e le responsabilità prescrittive anzidette.
Inoltre, un modello di dottorato di ricerca professionalizzante (Doctor of Nursing Practice - DNP) aiuterebbe lo sviluppo della ricerca in ambito clinico, a tutto vantaggio della realizzazione di quei percorsi diagnostici-assistenziali a cui si è accennato prima e di cui il sistema ha molto bisogno per evitare lo spreco di risorse in prestazioni di dubbia efficacia ed incentivare, invece, gli interventi di alto valore per la salute.
 
Un grave errore sarebbe ritornare al passato, ad una formazione regionale, anche se solo per la parte specialistica, perché, questo aggiungerebbe disomogeneità, ambiguità e confusione al sistema, per la mancanza di standard formativi riconosciuti e condivisi, che solo il modello universitario può garantire.
 
Ciò non toglie che per i tirocini, le modalità di training innovative come la simulazione ad alta fedeltà, il tutoraggio, ecc., occorra una sinergia forte con le regioni e le aziende sanitarie, vincolata a protocolli d’intesa su base nazionale, che mettano al centro il perseguimento dell’alta qualità nella formazione infermieristica. Speriamo che il 2020, anno internazionale dell’infermiere, porti bene!
 
Loreto Lancia
Professore Ordinario di Scienze Infermieristiche
Università degli Studi de L’Aquila
 


20 dicembre 2019
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