Prigionieri di standard obsoleti
di Claudio Maffei
15 GEN -
Gentile Direttore,
alcuni giorni fa su queste pagine è stata riportata
la denuncia del segretario regionale delle Marche dell’ANAAO ASSOMED, Oriano Mercante, a proposito della decisione delle Aziende Sanitarie della Regione di ridurre ulteriormente il numero di Unità Operative Complesse e Semplici. Motivo scatenante è stata
una determina di fine anno dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale con cui si è proceduto ad una rideterminazione dell’assetto organizzativo e quindi ad una riduzione degli incarichi di direzione di struttura complessa e semplice/dipartimentale.
L’Azienda ha immediatamente chiarito che non si è trattato di una decisione autonoma, ma dell’adeguamento ad una specifica indicazione del Patto per la Salute 2010-2012. D’altro canto la denuncia dei sindacati ha riguardato non solo l’ASUR, ma anche le altre Aziende della Regione, visto che quanto previsto da quel Patto per la Salute è stato trasferito come obiettivo alle Regioni nell’ambito del sistema degli adempimenti - punto AAM del questionario 2018, scaricabile
qui – e da queste trasferito alle Aziende. Nel caso delle Marche la riduzione delle Unità Operative Complesse e Semplici/Dipartimentali è stato inserito
tra gli obiettivi 2019 dei Direttori Generali.
Breve riepilogo: in base a standard fissati in applicazione del Patto per la Salute 2012 le Regioni debbono ridurre le Unità Operative Complesse e Semplici (cui nel tempo si sono attaccate le Dipartimentali) e quindi trasferiscono alle Aziende tale obiettivo. Le Aziende cercano di adattare questi vincoli alle mutate condizioni organizzative, ma fatalmente la riduzione degli incarichi precede il completamento della riorganizzazione e quindi, altrettanto fatalmente, i relativi provvedimenti determinano le reazioni del mondo professionale e sindacale.
A questo punto uno si chiede: ma come sono stati fissati gli standard primo motore (pare) immobile di questo processo che ha tra i suoi esiti finali quello di creare contrasti tra il mondo delle Direzioni chiamato ad adempiere e quello dei professionisti e dei loro rappresentanti che “subiscono” gli effetti di tali adempimenti? Uno si aspetterebbe documenti complesssi e strutturati che attraverso algoritmi ragionati portassero prima ad una serie di standard per disciplina per poi arrivare a standard di sintesi. Come ha fatto il DM/70 per la rete ospedaliera che ha definito i bacini di utenza minimi e massimi per ogni disciplina dando un senso al parametro complessivo di 3,5 posti letto per mille abitanti.
Invece no, il documento con gli standard per la definizione del numero “atteso” in ogni Regione di Unità Operative Complesse e Semplici è uno
striminzito documento approvato il 26 marzo 2012 in cui tutto si riduce a quattro formulette, tipo (nel caso degli ospedali): una struttura complessa ogni 17,5 posti letto. Giuro non c’è altro.
Ma ha senso dopo 8 anni in cui il mondo della sanità dovrebbe essere diventato fortemente diverso (tra DM 70/15, Piano della Cronicità, nuovi sistemi di accreditamento, Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali, ecc.) mantenere un vincolo fissato con riferimento a standard così grezzi e datati? Fatto sta che quei vincoli trasferiti alle Regioni e da questi trasferiti alle Aziende in aggiunta ai tetti di spesa del personale, agli accorpamenti forzati e al contestuale potenziamento dei privati collegato a tutti questi vincoli si stanno traducendo in quei contrasti tra professionisti e sindacati da una parte e Direzioni dall’altra che certo non favoriscono quel clima necessario a far crescere e cambiare in modo sano e partecipato la nostra sanità pubblica. Immagino che questo non sia solo un problema marchigiano.
Claudio Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on
15 gennaio 2020
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