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Riflessioni dagli “Invisibili” in prima linea: gli Autisti-Soccorritori

di Giovanni Moresi e Marco Necchini

03 APR - Gentile Direttore,
questa Emergenza ha coinvolto tutti gli “attori” del soccorso, ogni figura professionale è chiamata alle armi, perfino quelle che in Italia non esistono; noi, gli Autisti-Soccorritori. Sì, perché “sembra” un pensiero semplice, normale, eppure nonostante percorriamo ogni giorno molteplici chilometri a soccorrere pazienti dentro soffocanti tute e camici, bardati come qualsiasi figura sanitaria, noi NON siamo una figura professionale riconosciuta.
 
Stiamo lavorando spalla a spalla con medici, infermieri, soccorritori e tecnici, rischiando su ogni intervento di essere contagiati dal maledetto virus.
Ci vestiamo e svestiamo in mezzo alle strade, sotto gli occhi di tutti, supportando il lavoro faticoso e delicato dei colleghi sanitari, su ambulanze, automediche o auto-infermierizzate ma in mezzo alla marea di ringraziamenti non veniamo mai citati.
 
Nessuno sa che oltre ai soccorritori volontari e ai sanitari esistiamo anche noi: gli Autisti-Soccorritori che lavorano assunti con svariate tipologie di contratti, sia nella sanità pubblica che nelle associazioni di volontariato.
 
Si, nonostante tutto, ci siamo anche noi in questa emergenza. Ogni automedica, ogni ambulanza arrivata in casa dei malati è stata condotta da uno di noi. Ore e ore di sirene dentro uno scafandro, su e giù per le città, per le provincie e per le regioni, affrontando dei lunghi viaggi della speranza, con pazienti giovani e anziani intubati, con un carico di responsabilità enorme addosso, oltre alla tuta sulle spalle. Viaggi spesso compiuti insieme a del personale col quale non si è mai lavorato, spesso in carenza di materiale adeguato (DPI).
 
La nostra professionalità in questi difficili giorni l’abbiamo dimostrata senza fare polemica, ma trovando dentro di noi il miglior equilibrio possibile in questa situazione di “guerra”.
 
Abbiamo guidato per interminabili ore, abbiamo aiutato i sanitari, abbiamo re-imparato il lavoro ad ogni turno, abbiamo capito che ogni protocollo e ogni regola erano saltati, ogni direttiva appena sfornata sembrava ormai obsoleta e già vecchia al turno successivo e andava riscritta, perché eravamo noi sulla strada a dettare le regole della sopravvivenza.
 
Anche noi abbiamo paura, vediamo negli occhi dei compagni le stesse sensazioni; tristezza, nostalgia, stanchezza e ci chiediamo se tutto ciò ha un senso. Le nostre braccia sono stanche, le ferie sospese d’ufficio, precettati, ma siamo presenti quando ci richiamano in servizio a coprire i turni dei colleghi malati, per i nostri figli, per i nostri cari, per le persone che amiamo.
 
Nonostante tutto, sebbene vi siano tanti già caduti sul campo, andiamo avanti con senso di responsabilità e coraggio cercando di essere meticolosi e attenti alle procedure operative.
 
La nostra scelta di vita ci ha esposti, pronti a pagare il prezzo per noi stessi, ma sicuramente non siamo pronti a farlo pagare ai nostri cari!
Questa è la nostra paura segreta, quella di colpire chi amiamo per colpa di un “nostro errore” commesso in buona fede s’intende, in una continua procedura di vestizione/svestizione, cercando di fare tutto con buonsenso e precisione, ma sappiamo che non basta mai.
 
Come si fa a combattere un nemico invisibile e a non portarlo a casa con noi? Abbiamo tutti creato zone pulite/sporche anche sulle nostre auto andando a casa, abbiamo gettato le divise nel fuoco prima di re-indossarle pulite, ma è tutto così difficile, impreciso, caotico...
Nonostante i protocolli nessuno di noi era pronto a questo, per la “poca o nulla” formazione ricevuta. Nessuno ci ha capito niente. Ci siamo reinventati il lavoro che ci siamo scelti ogni giorno, cercando di sopravvivere. Il valore aggiunto è stato quello di rimanere umani dentro a quelle tute, sorridendo con gli occhi, trattando i pazienti come nostri fratelli e non come degli appestati. Ma è difficile farlo quando hai paura, di sbagliare, di infettarti, di far ammalare un collega o un suo familiare…
 
Abbiamo sbirciato sui siti provinciali del 112-118 sperando sempre di scorgere il numero di servizi in diminuzione, per iniziare a vedere una luce in fondo al tunnel…
Siamo entrati a scaricare ambulanze in ospedale sperando di vedere sempre meno barelle e corridoi pieni di pazienti; molti Autisti-Soccorritori che hanno la sede della loro postazione 118 proprio in ospedale, fra un’uscita sul territorio e l’altra hanno continuato a lavorare anche all’interno dei Pronto Soccorso, rilevando parametri, aiutando gli infermieri del triage o facendo pedonaggio per i reparti insieme agli OSS.

In fondo all’anima però c’è sempre quel tarlo; ci rode molto il fatto che noi siamo gli invisibili, contrariamente a tutte le altre figure riconosciute e adeguatamente formate.
Per noi che abbiamo viaggiato ore e giorni interi al fine di far funzionare in sicurezza la macchina dei soccorsi non ci sono grazie. Nessuno del resto può ringraziarci, proprio perché noi non esistiamo.
 
Non ci sentiamo eroi, non facciamo tutto questo per poterlo sbandierare, ma contribuiamo nel nostro piccolo a portare soccorso, per il bene del prossimo con il peso delle vite umane da salvare che grava sul cuore.
Siamo fieri ed orgogliosi di far parte della Categoria dei tecnici. Comunque vada, anche se lo Stato Italiano in 28 anni (si tanti ne son passati dal DPR 27 marzo 1992 istitutivo del 118 che prevedeva l’istituzione della nostra figura), non si è ricordato di riconoscere professionalmente noi figli di un Dio minore, vorremo solo ricordargli che non serbiamo rancore e serviamo comunque sotto il nostro tricolore come tutti gli altri, inoltre desideriamo ricordargli che il passato è scritto, ma il futuro invece è una tela bianca, pertanto si può sempre rimediare alle proprie dimenticanze.
 
Se viceversa anche il sacrificio espresso in questa battaglia ancora una volta non sarà servito a sensibilizzare le coscienze e a far riconoscere il nostro “profilo professionale”, noi non molleremo e ne usciremo ancora più forti e più agguerriti di prima, alzeremo la voce, compattati in uno spirito di corpo simile a quello dei nostri Alpini che nonostante tutto e tutti, ancora una volta sono generosamente e tenacemente in prima linea al fianco dei sanitari per il bene supremo di ogni cittadino Italiano: la salute.
Consentiteci infine di rivolgere un sentito GRAZIE soprattutto ai colleghi invisibili deceduti sul campo, dalla Lombardia all’Emilia-Romagna, dalla Campania fino alla Puglia e a coloro che stanno lottando tra la vita e la morte in Terapia Intensiva, nonché a tutti quelli che non conosciamo ma fanno parte di noi e soffrono.
 
Giovanni Moresi
Autista-Soccorritore Ausl 118 Piacenza Soccorso
Consigliere Regionale Co.E.S. Emilia Romagna

 
Marco Necchini
Autista-Soccorritore AREU Lombardia - Brescia
Presidente Co.E.S. Lombardia
Vice Presidente Co.E.S. Italia


03 aprile 2020
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