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Infermieri e salute mentale. Serve un tavolo con tutti gli operatori del settore

di Enrico Cavalli

04 MAG - Gentile Direttore,
le scrivo in relazione alla “bozza” di revisione delle competenze degli infermieri. Come Associazione Italiana Tecnici della Riabilitazione Psichiatrica abbiamo aderito al documento scritto dal Conaps condividendone spirito, metodo e merito. Il mio intervento vuole però rappresentare una riflessione sulla tutela della Salute Mentale in Italia a partire proprio da ciò che l’accordo sulle competenze infermieristiche ha stimolato in termini di dibattito tra gli operatori che si occupano di questa area ed in special modo della riabilitazione psichiatrica.
 
Le riflessioni che portarono allo sviluppo e all’approvazione della L. 180, che ha sancito la chiusura dei “manicomi”, partirono dal dato di fatto che in quelle strutture non vi era possibilità di cura né di riabilitazione delle persone “residenti” per permettergli di rientrare in società e “ritentare” con le proprie competenze una nuova vita; erano diventate solo strutture detentive in cui la dignità di quelle donne e uomini – non sempre intenzionalmente, a onor del vero, ma spesso come conseguenza dell’organizzazione delle cure - veniva celata e distrutta per le necessità di altri esseri umani che, non tollerando di potersi in qualche modo rispecchiare nelle tragiche conseguenze delle patologie psichiatriche, decisero che certe cose sarebbe stato meglio nasconderle e rinchiuderle in luoghi invisibili e “inudibili”. Tali osservazioni si accompagnarono necessariamente a seri ragionamenti e importanti ricerche sulle evidenze della malattia mentale, sulle cause, sugli sviluppi e soprattutto sulle possibilità di cura. Oggi sappiamo che tali patologie hanno un’eziologia multifattoriale e che l’intervento di cura e riabilitazione deve agire necessariamente sui diversi livelli di disfunzionalità: biologici, psicologici e sociali.
 
Questa sintetica e ormai ovvia e risaputa osservazione mi permette di tornare sul tema “competenze infermieristiche” che, nella versione nuova proposta dal tavolo, prevede che l’infermiere possa di fatto diventare il fac-totum della riabilitazione psichiatrica: definire il progetto riabilitativo, occuparsi della terapia, condurre gruppi ed interventi riabilitativi, fino al reinserimento nel mondo del lavoro. Senza entrare troppo nel merito, che speriamo di poter discutere al tavolo preposto, mi chiedo come e con quale formazione un collega infermiere, con cui già lavoriamo nei servizi, possa occuparsi, oltre alle competenze che ha già, anche di tutti questi altri aspetti della riabilitazione psichiatrica e psicosociale attualmente in buona parte di competenza del Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica.
 
Le buone pratiche in questo settore evidenziano come sia fondamentale, per la cura e la riabilitazione di un paziente psichiatrico, la presa in carico da parte di un’èquipe multidisciplinare che metta a disposizione competenze plurali, diversificate e soprattutto che si integrino tra loro. È evidente quindi che, rispetto all’integrazione degli interventi sui tre diversi livelli (bio-psico-sociale), l’infermiere fac-totum non potrà che risultare disfunzionale nel processo riabilitativo. E perché sostengo che l’infermiere diventerà un tuttofare? La logica è prettamente economico-gestionale: di questi tempi le Aziende Sanitarie non cercano altro che appigli per risparmiare; potersi rivolgere ad un unico professionista flessibile, formalmente competente, che possa essere impiegato in base alle necessità aziendali mi sembra già un ottimo motivo per ritenere che nel medio-lungo periodo le altre figure che si occupano di riabilitazione psichiatrica tenderanno a scomparire lasciando al “fac-totum” tutte le responsabilità e competenze. In termini di qualità e professionalità degli interventi, dove stia l’utilità di una simile proposta di revisione ancora mi sfugge.
 
Desidero però tornare al tema principale che è quello del sistema italiano della Salute Mentale. Abbiamo già visto che se la citata “bozza” passasse, sarebbe un disastro in termini di appropriatezza degli interventi; ma ciò non significa che il settore non vada rivisto e riformato: i DSM, l’organizzazione del lavoro e le carenze strutturali e degli organici sono in piena sofferenza e prossime al collasso organizzativo (in parte anche come conseguenza della crisi, ma non solo). L’appropriatezza degli interventi è sempre più “inquinata” da logiche di mercato ed economiche che sono quelle che alla fine si stanno rivelando meno efficienti e meno efficaci nella cura, nella riabilitazione e nella lotta allo stigma sociale.
Oggi il sistema della Salute Mentale avrebbe bisogno di un vero tavolo che coinvolga tutti gli operatori del settore e le associazioni degli utenti e dei famigliari perché c’è la necessità di ripensare i modelli di prevenzione, di intervento ed organizzativi che, come conseguenza della regionalizzazione del SSN, si sono dotati di schemi e strutture spesso differenti tra loro. Basti pensare che, anche a causa di questi ultimi, i dipartimenti faticano a prendersi carico dei nuovi esordi se non dopo diversi anni, quando ormai la cronicità si è fatta strada con tutte le sue nefaste conseguenze psicologiche, relazionali, affettive, emotive e sociali. A quel punto diventa ancora più difficile agire in un senso riabilitativo.
 
Questa è la vera urgenza da affrontare subito per tutelare chi soffre di una patologia psichiatrica, non quella di far fare tutto ad un unico professionista a cui non è neanche stato chiesto se se ne voglia occupare da solo. Noi Tecnici della Riabilitazione Psichiatrica abbiamo scelto di lavorare in questo ambito con consapevolezza, maturità e professionalità che nasce si crea durante il corso di laurea che fin dal primo anno ci permette di entrare in contatto con la sofferenza dell’anima (la psychè greca) che si incanala nella sofferenza del corpo e poi delle relazioni. E lo facciamo con la convinzione che l’integrazione e l’interdisciplinarietà sia fondamentale per una riabilitazione efficace. Per questo è importante poterci sedere ad un tavolo con tutti coloro che si occupano di salute mentale e confrontarci alla pari, ognuno con le proprie competenze e differenze per rinnovare ed innovare laddove il sistema si sta involvendo o si è già cronicizzato.
E bisogna intervenire prima che il modello “custodialistico-manicomiale (seppur modernizzato), che mai ha smesso di presentarsi come soluzione alle problematiche di rispecchiamento della società nei confronti della sofferenza psichica, torni ad essere l’unica vera, possibile, “economica” e comoda soluzione.

Dr. Enrico Cavalli
Presidente A.I.Te.R.P.




 

04 maggio 2012
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