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Restituiamo un diritto: le visite dei familiari ai pazienti

di Raffaele Varvara

05 OTT - Gentile direttore,
mi ha così tanto piacevolmente colpito il contributo di Pietro Pellegrini - Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma – che ho deciso di rafforzare il suo appello alla riapertura delle unità operative ai parenti dei degenti. L’accesso di familiari e visitatori, infatti, è ancora considerato pericoloso e, quindi, rimane interdetto.

Negli ospedali della penisola spuntano regolamenti che applicano diverse gradualità di limitazioni: ci sono strutture che interdicono totalmente le visite dei parenti anche di pazienti critici e/o terminali o che lasciano partorire le neo-mamme da sole; altre impongono limitazioni alle visite dei familiari sia sul versante del numero di visitatori ammessi, sia su quello del tipo di visitatori (sono ammessi solo familiari più stretti), sia sul tempo per la visita (massimo 10 minuti); altre strutture concedono visite più prolungate per pazienti critici e/o in fine-vita.

Al momento del ricovero, dunque, la persona è letteralmente sottratta agli affetti dei familiari e rinchiusa nella sua camere di degenza; queste limitazioni fanno sì che il paziente sia completamente spersonalizzato, come se privarlo della sua dimensione relazionale fosse un normale prezzo da pagare in cambio di terapie volte alla guarigione, in tempo di post emergenza covid.

Negli ultimi anni è aumentata la nostra attenzione sul tema umanizzazione delle cure, perché si è capito che laddove si instaura un adeguato “triangolo relazionale” tra curanti, pazienti e familiari, si abbassano i contenziosi legali. Un esempio su tutti è la rivoluzione copernicana delle terapie intensive aperte.
 
Poi è bastato un virus a farci fare un balzo indietro di 20 anni, a ulteriore riprova che l’ospedale rimane una delle grandi invarianze della società moderna.
Sono tante ancora le resistenze culturali riguardo alla presenza di familiari percepiti come un ostacolo all’assistenza. Tuttavia in molti casi la presenza del caregiver è una valida risorsa per le cure medico-infermieristiche. Numerosi dati della letteratura scientifica suggeriscono che la presenza di familiari e visitatori riduce in modo significativo le complicanze cardio-vascolari e gli indici ormonali di stress.

Se durante la fase acuta della pandemia, le limitazioni all’accesso dei familiari era una misura emergenziale e straordinaria, adesso a fronte di 10 decessi al giorno, bisogna tornare alla normalità, anche in ospedale. Il paziente ha diritto a essere accompagnato, nel tempo della malattia, dalle persone per lui più significative; la presenza dei familiari accanto all’ assistito non è una sorta di «concessione» ma rappresenta una scelta utile e motivata, una risposta efficace ai bisogni del malato e della sua famiglia. Questa scelta esprime il rispetto e l’attenzione dovuti al paziente e alla sua dignità di essere umano.
 
Dott. Raffaele Varvara
Infermiere
Fondatore di "Infermieri in Cambiamento"
Dottorando presso IASSP- Istituto di Alti Studi Strategici e Politici 


05 ottobre 2020
© Riproduzione riservata

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