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In Legge di Bilancio ci sono inaccettabili disparità di trattamento tra professionisti

di Paola Allamprese e Gabriele Norcia

26 NOV - Gentile Direttore,
in un articolo pubblicato su The Lancet il 26 settembre scorso, si propone una riflessione: nel caso della diffusione mondiale del Coronavirus e della profonda crisi che ha generato, sarebbe più appropriato parlare di ‘sindemia’. Un fenomeno complesso, le cui conseguenze vanno descritte non solo sulla base dei caratteri epidemiologici tipici della malattia infettiva contagiosa, ma anche in relazione alla capacità delle comunità umane di tutelare i soggetti più fragili attraverso sistemi organizzati, che differiscono enormemente in relazione a parametri economici, politici, tecnologici, culturali. Sarebbe un errore fatale ignorare questa dimensione sindemica quando si pianificano le strategie di politica sanitaria e più in generale di welfare per uscire dalla crisi e contenerne i danni.
 
D’altra parte, il Servizio Sanitario Nazionale nasce espressamente con questa vocazione polimorfica, finalizzata alla tutela articolata del diritto alla Salute. La Legge 833/78, fin dall’Articolo 1, lo ha disegnato non come complesso di attività in carico a un singolo ente o struttura, ma come concetto dinamico che tiene conto delle funzioni concretamente espletate da una molteplicità di soggetti, sia centrali che locali, nella migliore integrazione possibile tra loro.
 
Nel panorama italiano di Welfare, l’Inail riveste un ruolo di primissimo piano per qualità e ampiezza del contributo offerto: un consolidato contesto di medicina pubblica che, avendo temperato progressivamente i canoni del sistema assicurativo con meccanismi di tipo solidaristico, garantisce tutela assicurativa, prestazioni socio-sanitarie, assistenza, cura, riabilitazione, reinserimento lavorativo, ricerca, leadership nell’attuazione di politiche di prevenzione, in un sistema largamente integrato con quello sanitario regionale.
 
Nell’attuale situazione epidemiologica, l’INAIL tutela le infezioni da SARS COV2 avvenute in occasione di lavoro, una circostanza che interessa in larga misura gli operatori della Sanità. Dall’inizio della pandemia fino al del 30 settembre l’Istituto ha gestito 54.128 denunce di infortunio da infezione da SARS- COV-2. Il 70,3% delle denunce proviene da ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili, e l’8,9% da altre Amministrazioni pubbliche, tra cui le Aziende sanitarie locali.
 
È dunque un fatto, descritto da numeri imponenti e inequivoci, che l’Istituto assicuratore pubblico svolga un ruolo socio-sanitario centrale nel Paese, integrando molte funzioni essenziali al Sistema Sanitario, tra cui la stessa tutela assicurativa pubblica dei suoi operatori.
 
È altresì un fatto, tuttavia, che le figure professionali sulle quali si incardina l’azione sociosanitaria dell’Ente ricevano un inquadramento contrattuale difforme e non paritetico rispetto ai colleghi del SSN, incoerente pure rispetto alle previsioni della legge di riordino del 1978. Come si concilia questa sperequazione con la richiesta sempre più pressante di una prestazione sanitaria integrata, che semplifichino la fruizione del servizio per il cittadino? I circa mille medici dipendenti dello Stato che lavorano per Istituti di rilievo cruciale per la Sanità del paese come INAIL e INPS sono collocati dal CCNL firmato nel marzo scorso, in una sub-sezione del raggruppamento dei Professionisti.
 
L’ARAN non possiede gli strumenti per bonificare, in assenza di adeguato supporto normativo, un’anomalia che denunciamo da anni, ma ne ha segnalato ancora una volta la persistenza auspicandone la risoluzione. In questo scenario di incomprensibile emarginazione, si susseguono gli interventi normativi a sostegno del personale del SSN, che però non si riverberano sulla sezione EPNE e finiscono con il divaricare la forbice. Ne è avvilente dimostrazione quanto sta accadendo oggi con una manovra finanziaria in cui si mobilitano risorse economiche senza precedenti, ma nella quale si deve tristemente constatare la totale assenza di qualsiasi riferimento alle Aree Sanitarie INAIL.
 
Alcuni articoli del ddl Bilancio prevedono, infatti, un aumento del 27% dell’indennità di esclusività per i Dirigenti Sanitari del SSN e l’introduzione di una simile indennità per gli infermieri. Ma, per l’appunto, solo per loro. Medici e infermieri EPNE vengono ancora una volta dimenticati. È una forma estenuante di oblio selettivo: i medici EPNE sono considerati SSN solo quando ci sono funzioni da condividere, assistenza e tutela da garantire, obblighi da osservare, ambulatori da organizzare secondo normative e responsabilità stringenti. Non esistono più, invece, quando si tratta di attribuire il giusto riconoscimento per il contributo offerto.
 
Questa Legge Finanziaria è l’occasione definitiva per affrontare, con un semplice emendamento, una vicenda troppo a lungo ignorata e ad essa dovrà fornire risposte chiare, perché il Paese non può più permettersi una Dirigenza Sanitaria che viaggi a due velocità.
 
Paola Allamprese e Gabriele Norcia
 ANMI-Assomed Sivemp- FPM

26 novembre 2020
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