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Quale standard di sicurezza per chi somministra il vaccino Covid?

di Carlo Mantovani

07 GEN - Gentile Direttore,
qualche tempo fa è stato portato all’attenzione della politica e del pubblico il problema delle alte percentuali di operatori della Sanità giudicati inidonei o solo parzialmente idonei alle mansioni per cui erano stati assunti. La responsabilità di tale situazione veniva attribuita sostanzialmente al Medici Competenti e quale prova della loro inadeguatezza professionale veniva addotta l’ampia variabilità del fenomeno nelle diverse strutture del SSN, anche tra quelle (in apparenza) equivalenti per targa posta all’ingresso.
 
Pur senza negare la presenza di deficit professionali, ritengo che il dato avrebbe dovuto stimolare una analisi a maggiore spettro e forse minore impronta ideologica. Non mi soffermo sulla valutazione del rapporto tra limitazioni di idoneità e reale condizione di lavoro in Sanità. Vorrei invece segnalare la scarsa attenzione attribuita alla variabilità della valutazione dei rischi, valutazione che ha influsso diretto sul giudizio di idoneità. Perché parlarne ora?
 
Ho visto, in rete e su organi di stampa, immagini delle prime sedute vaccinali per SARS COVID 19. La inoculazione del vaccino è senza dubbio una pratica semplice e standardizzata eppure le immagini mostrano una assoluta e insospettabile eterogeneità di misure di prevenzione e quindi, presumo, di valutazione del rischio associato alla pratica.
 
Si passa dagli operatori in tuta integrale termosaldata e dotati di guanti, cuffia, maschera e visiera a quelli con semplice maschera chirurgica, maniche corte, senza guanti. Nel mezzo c’è di tutto: dai camici monouso, ai camici in cotone (spesso non allacciati), alle le maniche degli indumenti civili che sporgono da quelle del camice, alle felpe. Notevoli anche alcune pettorine recanti scritte e loghi di dubbia efficacia protettiva (e forse anche di immagine). Non mancano capelli lunghi e vezzosamente sciolti.
 
Anche per quanto riguarda gli ambienti viene documentata una certa eterogeneità. Per la maggior parte sono arredati come ambulatori, ma almeno in un caso hanno mobili scuri da ufficio. Non è poi infrequente la presenza di pubblico, talora in giacca e cravatta o in divisamilitare, che assiste compiaciuto all’iniezione.
 
Viene spontaneo chiedersi: quale valutazione di rischio è stata assegnata alla somministrazione dl vaccino e quale rapporto esista tra la valutazione e le misure di prevenzione concretamente adottate? Da un altro angolo visuale potrebbe anche essere condotta una analisi da punto di vista delle buone pratiche professionali.
 
E’ intuitivo che il deficit di protezione aumenta il rischio, ma è ben dimostrato che anche l’eccesso lo può aumentare. E’stata ampiamente pubblicizzata la complessità di preparazione del vaccino e la necessità di rispettare rigorosi criteri tecnici e di standardizzazione. Sarebbe bene che la standardizzazione venisse estesa anche alle operazioni di inoculazione. Ne deriverebbero non solo effetti positivi su operatori e vaccinandi ma si eviterebbe anche di contribuire al disorientamento del pubblico.
Dr. Carlo Mantovani
Medico del lavoro

 

07 gennaio 2021
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